Un’altra guerra nel Golfo oggi sembra più difficile

Lucio Manisco

(europarlamentare Prc)

Liberazione 2 novembre 1997

Vigilia dell’ennesimo regolamento di conti degli Stati Uniti con l'Iraq di Saddam Hussein: dopo sei anni di spietate sanzioni economiche che hanno provocato un milione di morti tra i civili, dopo lo sgretolamento di quella grande coalizione militare che aveva messo a ferro e fuoco uno dei paesi più socialmente progrediti del mondo arabo, dopo dozzine di complotti – l’ultimo di matrice israeliana - per eliminare fisicamente il dittatore, l'amministrazione Clinton ci riprova anche se può contare solo sull'appoggio del laburista Tony Blair che nei confronti del regime di Bagdad segue alla lettera le direttive ereditate dalla signora Margaret Thatcher.

Domani il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite deciderà se lavare o meno nel sangue l'onta dell'ultima sfida di Saddam; è improbabile che il massimo organo esecutivo dell’Onu apponga il suo imprimatur alle azioni di bombardamento degli aerei della Nimitz oltretutto in quanto il governo di Bagdad ha indicato nelle ultime ore di voler far marcia indietro sulla messa al bando degli ispettori statunitensi nelle tre commissioni "investigative" dell’Onu (su 100 ispettori internazionali, 32 sono americani e dettano legge con il loro accanimento nel denunziare presunte o inesistenti violazioni irachene in materia di armamenti). Il Consiglio nella sua ultima seduta di venerdì notte appariva incline ad attendere l’esito delle diverse iniziative diplomatiche varate dalla Francia o dalla Russia per evitare un ennesimo bagno di sangue. Bill Richardson, rappresentante degli Stati Uniti, ha fatto sapere dal canto suo che Washington potrebbe anche non attendere una decisione dell’organismo societario data la gravità di questo «attacco iracheno al Consiglio di sicurezza o all’integrità delle Nazioni unite».

A molti membri del Consiglio e alla stragrande maggioranza dei rappresentanti diplomatici nell’Assemblea generale battute di questo genere suonano a dir poco ipocrite, perché sono proprio gli Stati Uniti a rappresentare da qualche mese a questa parte una vera minaccia alla sopravvivenza dell’organismo societario: il piano di riforma dell’istituzione preparato dal senatore Jesse Helms e sottoscritto da Bill Clinton, prevede riduzioni unilaterali dei contributi Usa, controlli dei bilanci da parte del Congresso, liquidazione dei più importanti programmi di assistenza al terzo mondo e altri diktat che concorrerebbero all'affondamento definitivo delle Nazioni unite. Nel frattempo una nuova offensiva aerea anglo-americana contro l'Iraq, oltre a piantare un altro chiodo sulla bara dell’Onu, potrebbe dare spinta propulsiva alla media DowJones e frenare la caduta libera delle borse asiatiche e latino-americane.