Perché la crisi di governo italiana di ottobre Luigi Vinci (europarlamentare Prc) Milano, 2 novembre 1997 |
Nella prima metà di ottobre l'Italia è stata attraversata da una convulsa crisi del Governo Prodi, ufficialmente aperta da Rifondazione Comunista (RC): formazione che pur non partecipando direttamente al Governo fa parte della sua maggioranza parlamentare. La crisi si è rapidamente conclusa con un nuovo accordo tra RC e la coalizione di centrosinistra dell'Ulivo - della quale il Partito Democratico delle Sinistra (PDS) è la formazione più consistente.
La crisi ha fortemente sorpreso la totalità degli osservatori stranieri, ma anche gran parte della popolazione italiana. In buona misura questa sorpresa va attribuita ai messaggi tranquillizzanti provenienti dal Governo Prodi e ai mass-media che se ne sono fatti corali portavoce. Essi continuamente hanno affermato che la vertenza aperta sin da primavera da parte di RC a proposito degli orientamenti della legge finanziaria per il '98 si sarebbe risolta senza difficoltà: bene infatti procedevano le "trattative" tra Governo e RC. RC dunque con i suoi messaggi allarmati a proposito della probabilità crescente di una crisi di governo da altra intenzione non sarebbe stata animata che di farsi un po' di propaganda.
In realtà di trattative non ve ne saranno se non dopo l'apertura della crisi. Il Governo Prodi sino alla crisi aveva in realtà sistematicamente evitato di trattare la legge finanziaria con RC, limitandosi a contatti informali nei quali non veniva esposto nessun orientamento preciso.
L'allarme di RC aveva ragioni molto solide.
Per tutto l'anno esponenti di spicco del Governo - da Prodi stesso al Ministro del Bilancio e del Tesoro Ciampi al Ministro del Lavoro Treu - e il Governatore della Banca d'Italia Fazio avevano quotidianamente insistito sulla necessità che la legge finanziaria per il '98 contenesse consistenti tagli alla spesa sociale, soprattutto a quella pensionistica, e specificamente a quell'istituto italiano che nel settore privato dell'economia consente - facendo astrazione da alcune manomissioni parziali a opera due anni fa del Governo Dini - di andare in pensione a prescindere dall'età anagrafica purché si sia lavorato per almeno 35 anni. Questa campagna contro le pensioni aveva avuto un supporto massiccio dall'insieme dei mass-media. La Confindustria e le altre organizzazioni del padronato italiano vi avevano visto - giustamente - il segno di un'intenzione da parte del Governo Prodi, dell'Ulivo e del PDS di collocarsi stabilmente su posizioni neoliberali moderate, e avevano perciò ribaltato la loro ostilità al Governo in una posizione sostanzialmente favorevole. Parallelamente era anche cominciato un cauto ma insistente battage da parte della Confindustria, di una quota dei mass-media e anche di una quota della destra a favore di un cambiamento della maggioranza parlamentare nel senso dell'esclusione di RC e dell'inclusione della destra, o di una quota della destra. Qualche pezzetto dell'Ulivo a questo battage prestava orecchio. La Commissione Europea, a sua volta, aveva a più riprese espresso l'opinione che i tagli alle pensioni fossero indispensabili per l'Italia al fine di tenere fermo al 3% il deficit di bilancio nei prossimi anni: fornendo così un supporto al Governo Prodi, ai mass-media e alla Confindustria che in Italia alla maggioranza della popolazione appare autorevole e non passibile di contestazione. Persino l'Organizzazione Mondiale del Commercio, il Fondo Monetario Internazionale e il Governo tedesco erano intervenuti contro le pensioni, assolutamente non laute, dei lavoratori italiani. Nulla dunque, tra gli innumerevoli anatemi ed esorcismi di rito neoliberale ortodosso e dei proverbi del Trattato di Maastricht era stato risparmiato in questa campagna: se i tagli alle pensioni la legge finanziaria non fosse riuscita a praticarli i "mercati" avrebbero orribilmente punito l'economia italiana, la lira sarebbe andata a picco, i tassi d'interesse sarebbero saliti alle stelle, l'economia sarebbe ripiombata nella recessione, l'Italia non solo non sarebbe entrata nella moneta unica europea ma neppure avrebbe potuto rimanere nell'Unione Europea, eccetera. La conclusione di questa campagna perciò era che la cieca protervia di RC andava superata, con le buone se possibile e altrimenti con le cattive.
Ai messaggi tranquillizzanti di Prodi e a tale imponente campagna per il taglio delle pensioni si accompagnava inoltre all'inizio dell'estate l'apertura di una trattativa tra il Governo, le confederazioni sindacali e le organizzazioni padronali per la "riforma" dell'intero sistema di protezione sociale. Partita con roboanti ancorché vaghissime promesse di giustizia sociale, essa rapidamente aveva finito per occuparsi soltanto di quanto tagliare sul versante della sanità e soprattutto delle pensioni e sulle modalità della distribuzione dei danni tra i vari tipi di lavoratori. Ed era stato soprattutto il Segretario del PDS D'Alema a darsi da fare per portare a questa trattativa il Segretario della CGIL Cofferati, convincerlo a centrarne la discussione sui tagli nella legge finanziaria alle pensioni e infine convincerlo ad accettare che questi tagli fossero consistenti.
Inoltre da parte del Governo o di D'Alema erano state messe in cantiere più iniziative assolutamente inaccettabili: dalla proposta del finanziamento statale, attraverso la legge finanziaria, alla scuola privata - che in Italia significa alla scuola cattolica - a una legislazione che maltratta nel modo più incivile gli immigrati extracomunitari; dalla privatizzazione del settore delle telecomunicazioni e dal tentativo di avviare a privatizzazione il settore dell'energia e quello dei trasporti aerei a varie misure striscianti di "flessibilizzazione" delle condizioni lavorative; dall'accordo con la destra in seno alla commissione parlamentare incaricata della revisione della Costituzione di passare in Italia dalla repubblica parlamentare a quella presidenziale all'indegno tentativo sempre in questa Commissione di mutilare l'autonomia dai governi del settore inquirente della magistratura: ovvero di bloccare i giudici più impegnati contro la corruzione in sede politica e contro la criminalità mafiosa.
Infine tutto l'anno in corso era stato sistematicamente caratterizzato dall'arrogante pretesa in sede parlamentare da parte del PDS e dell'Ulivo di decidere senza discussione e accordo con RC le iniziative che poi tutta quanta la maggioranza parlamentare avrebbe dovuto votare. Ciò aveva anche portato a incidenti gravi, come quando la spedizione militare italiana in Albania era stata osteggiata in sede parlamentare da RC e il Governo aveva dunque deciso di chiedere alla destra di appoggiarla.
L'allarme di Rifondazione Comunista si basava anche sul particolare disegno che attraversava l'insieme dei fatti appena menzionati e che anzi talora ne era l'ispiratore.
Questo disegno era da tempo nella testa di D'Alema. Le sue pressioni avevano convinto all'inizio di quest'anno Prodi e verso l'estate Cofferati: e a questo punto non si trattava che di passare all'azione. L'obiettivo, in brevi parole, era di obbligare RC a subordinarsi al PDS e all'Ulivo: in alternativa, cioè qualora essa non avesse accertato di subordinarsi, obbligare RC ad autoescludersi dalla maggioranza in condizioni di totale isolamento politico e di incomprensione di quest'autoesclusione nella popolazione. In ambedue i casi, pur in modi diversi, RC avrebbe perciò subito un pesante ridimensionamento della sua influenza presso i lavoratori, la povera gente e l'intera popolazione, nonché del suo ruolo in sede parlamentare.
Un ingrediente fondamentale di questo disegno consisteva nella minaccia dell'immediato ricorso a elezioni anticipate - entro l'inizio di dicembre - qualora RC, coerentemente con il suo rifiuto di una legge finanziava che tagliasse le pensioni, avesse aperto una crisi di governo. A queste elezioni anticipate RC avrebbe naturalmente corso isolata - essendo state causate dalla sua rottura con il governo espresso dell'Ulivo: e l'isolamento avrebbe portato a dimensione insignificante la rappresentanza parlamentare di RC, anche qualora essa avesse aumentato i suoi voti. Infatti il Parlamento italiano viene eletto al 75% con metodo maggioritario: quindi per conquistarvi un numero non irrisorio di seggi occorre che una formazione grosso modo della dimensione elettorale di RC sia parte di una coalizione. Ma non solo: RC in queste elezioni si sarebbe trovata in forte difficoltà presso gran parte dei simpatizzanti della sinistra: resi ostili a RC dalla caduta per sua iniziativa di un governo nel quale la più consistente formazione della sinistra italiana aveva i suoi ministri. L'ostilità anzi sarebbe stata dell'intera popolazione: un po' perché tradizionalmente contraria ai ricorsi a elezioni anticipate, per la sensazione di insicurezza che le comunicano, ma soprattutto perché i mass-media avrebbero coralmente agitato la tesi dell'irresponsabilità e dell'avventurismo di RC dinnanzi ai problemi economici dell'Italia e al grande destino che le verrebbe dalla sua entrata nella moneta unica europea. Inoltre, dato quel metodo elettorale largamente maggioritario, un'agitazione anche sul voto a RC in quanto voto sprecato - e quindi sul voto al PDS come unico voto utile a sinistra - avrebbe potuto avere presa. Quindi D'Alema contava anche, in caso di elezioni anticipate, sul ridimensionamento del seguito elettorale di RC.
A ottobre, ricapitolando, RC secondo questo disegno si sarebbe trovata completamente isolata dinnanzi a una legge finanziaria contenente forti tagli alle pensioni. RC quindi avrebbe dovuto decidere in quale modo suicidarsi: se dando una battaglia disperata, il cui esito sarebbero state elezioni che l'avrebbero messa ai margini della politica Italiana, oppure subire, appoggiando la legge finanziaria, una pesante caduta di credibilità nelle classi popolari da un lato e il protettorato del PDS dall'altro.
Costatate le intenzioni di D'Alema e poi l'adesione a esse di Prodi e di Cofferati, e più in generale costatata durante tutto l'anno l'attitudine del PDS, dell'Ulivo e del Governo Prodi a collocarsi stabilmente su posizioni neoliberali moderate, RC aveva dichiarato - sin da primavera - che su questa strada ci sarebbe stata la crisi della maggioranza parlamentare e perciò la crisi di governo, e che il test decisivo della tenuta o meno della maggioranza parlamentare sarebbe consistito nella legge finanziaria La legge finanziaria in Italia è preceduta, all'inizio dell'estate, da un documento di programmazione triennale di governo - in sostanza da un quadro di intenti - che viene discusso e votato in Parlamento. E dunque a luglio RC, intendendo segnalare con forza la situazione di pre-crisi, si era astenuta su quel documento in Senato: cioè in quel ramo del Parlamento italiano dove l'Ulivo, a differenza della Camera dei Deputati, dispone da solo della maggioranza. Ma D'Alema e Prodi avevano fatto mostra di non voler modificare i loro orientamenti. Non era perciò difficile prevedere che con la presentazione a ottobre da parte del Governo al Parlamento della legge finanziaria sarebbe iniziato uno scontro molto duro.
Inoltre la posizione di RC nel corso dell'estate aveva avuto un'evoluzione - a seguito della vittoria elettorale di sinistra in Francia - che la allontanava ancor più dal PDS, dell'Ulivo e dal Governo Prodi. RC cioè si era orientata non solo nel senso di continuare a tutelare, come l'anno precedente, in linea con le ragioni iniziali della propria partecipazione alla maggioranza parlamentare, la spesa sociale da quei tagli che il neoliberalismo, anche nelle sue versioni moderate di centro-sinistra, e il Trattato di Maastricht impongono come condizione tanto della crescita economica che della moneta unica europea: ma anche nel senso di agire per portare, con le buone o con le cattive, il Governo Prodi a politiche economiche progressive tese, soprattutto, ad affrontare la questione della disoccupazione di massa. In Italia, paese com'è noto assai differenziato sul piano economico, la disoccupazione è largamente concentrata nelle regioni meridionali - dove è circa il doppio della media nazionale e più di tre volte la media del centro-nord. Più in generale essa è in Italia il problema sociale di gran lunga più grave e insopportabile.
Oltre alla suggestione della vittoria di sinistra in Francia - gli avvenimenti politici di questo Paese hanno sempre avuto una grande influenza sull'Italia - e dunque al ragionamento che se c'era anche solo una minima possibilità di imporre all'Italia di non lasciare isolato il corso politico di sinistra in Francia occorreva agire in questo senso con la più ferma determinazione, a corroborare l'intenzione di RC di alzare il tiro c'erano anche altri dati. In primo luogo l'attenuazione della pressione di destra neoliberale da parte delle istituzioni di governo dell'Unione Europea e della Germania sull'Italia: a seguito soprattutto dell'aggravamento della crisi politica e sociale in Germania, della vittoria laburista in Gran Bretagna e, appunto, della vittoria di sinistra in Francia. In secondo luogo i dati dell'economia italiana: il passaggio del deficit da oltre il 7% nel '96 al 3% nel '97, grazie a tagli alla spesa pubblica per 100 mila miliardi di lire, e l'entrata in una fase espansiva. Che cosa perciò faceva più ostacolo a che si cominciasse ad agire su vasta scala contro la disoccupazione di massa, se non gli orientamenti dominanti in sede politica?
Quindi a ridosso dell'estate RC si orientava ad aprire il confronto e se necessario lo scontro con il Governo Prodi, il PDS, l'Ulivo e le stesse confederazioni sindacali per l'obiettivo di una legge che riducesse l'orario settimanale di lavoro a 35 ore senza decurtazione della retribuzione e per quello di un'agenzia statale finalizzata a una terapia di shock contro la disoccupazione nell'Italia meridionale.
Tutto naturalmente indicava a RC che ci sarebbe stato esattamente lo scontro, e dei più duri - ivi compreso, per imporre a D'Alema e a Prodi le proprie ragioni, il passaggio attraverso una crisi di governo. RC era molto preoccupata circa i rischi di una tale crisi: la frattura nei simpatizzanti della sinistra, il proprio isolamento, la possibilità che la crisi sfociasse in elezioni anticipate vinte dalla destra, la drastica riduzione della propria rappresentanza parlamentare. E tuttavia lo scontro e anche l'apertura di una crisi di governo apparivano sempre più a RC, in un'analisi attenta della situazione, come i mezzi indispensabili non solo per fermare l'involuzione del Governo Prodi ma anche per dislocarlo significativamente a sinistra. Mettere in campo, invece, un minore livello di determinazione da parte di RC avrebbe solo significato perdere.
Le carte più efficaci a disposizione del disegno di D'Alema erano indubbiamente, oltre a Prodi, Cofferati e i mass-media.
In più alle specifiche proposte di RC sull'occupazione erano totalmente ostili quasi tutti: i mass-media, ovviamente il padronato, la virtuale totalità delle altre forze politiche, e anche le confederazioni sindacali. E lo stesso dicasi per quanto attiene alla difesa integrale delle pensioni da parte di RC.
Addirittura Cofferati nel contesto della crisi mobiliterà con estrema pesantezza la CGIL contro RC e si pronuncerà a favore di elezioni anticipate. A determinare un tale accanimento indubbiamente contribuirono suoi specifici convincimenti politici. Mentre, più in generale, l'ostilità delle confederazioni sindacali alle posizioni di RC era causata dal fatto di vedere in esse la messa in discussione di una pratica italiana consolidata di "concertazione" in materia sociale tra governi, confederazioni sindacali e padronato, alla quale i gruppi dirigenti centrali delle confederazioni sindacali sono legatissimi. In concreto infatti la "concertazione" li ha cooptati nell'élite politica e sociale che decide della politica economica italiana.
Sempre in concreto, la "concertazione" è stata sistematicamente in questi anni in Italia il modo privilegiato dai governi e dal padronato per erodere progressivamente e infine annullare conquiste di grande rilievo dei lavoratori e al tempo stesso per evitarne la reazione: grazie da un lato all'intervento moderatore degli appetiti di governo e padronali e dall'altro alla pressione sui lavoratori da parte delle confederazioni sindacali. E' stata dunque questa della "concertazione" la strada per la quale in Italia sono passate la distruzione della "scala mobile" - della crescita automatica delle retribuzioni dei lavoratori in relazione ad aumenti del costo della vita - e l'erosione delle pensioni. Quest'ultima fu consentita due anni fa dalle confederazioni sindacali al Governo Dini - a un governo "tecnico" appoggiato dal PDS: solo un anno dopo quel formidabile sciopero generale proclamato dalle stesse confederazioni sindacali contro il governo della destra guidato da Berlusconi - che quindi entrò in una crisi irreversibile - in quanto esso aveva tentato un'operazione assolutamente identica a quella successiva di Dini, però senza passare per la "concertazione".
Tuttavia al tempo stesso il disegno di D'Alema incontrerà difficoltà crescenti - che alla fine si mostreranno insuperabili. Intanto vari settori del PDS consideravano le elezioni anticipate un'avventura, e nel contesto della crisi si opporranno ad andarvi. Nel loro avviso non era affatto certo che l'Ulivo potesse vincere queste elezioni senza l'alleanza con RC: avrebbe invece potuto vincerle la destra, e quindi l'Ulivo sarebbe stato estromesso dal governo; oppure nonostante il ridimensionamento della sua rappresentanza parlamentare RC avrebbe potuto tornare a essere necessaria alla composizione di una maggioranza di centro-sinistra. Ostili alle elezioni anticipate si dichiareranno anche la CISL - la confederazione sindacale cattolica - da un lato e quasi tutta la destra dall'altro. Le formazioni di orientamento centrista presenti nell'Ulivo, a loro volta, non solo condivideranno le valutazioni prudenti espresse nel PDS a proposito dell'esito di eventuali elezioni anticipate, ma manifesteranno fortissime riserve nei confronti del tentativo egemonico di D'Alema nella sinistra: vedendoci dentro sia il pericolo di un mutamento a loro svantaggio dei rapporti di forza nell'Ulivo che il pericolo dell'avvio di una messa in discussione della loro stessa autonomia. Infine ostile alle elezioni anticipate sarà il Presidente della Repubblica Scalfaro: in parte perché legato al PPI - la formazione cattolica presente nell'Ulivo - in parte perché le elezioni anticipate avrebbero significato il terzo scioglimento anticipato consecutivo da parte sua del Parlamento italiano.
In ultimo il 10 ottobre ci sarà a Parigi la conferenza indetta dal governo francese sull'occupazione. Stando alle informazioni in suo possesso RC riteneva altamente probabile che Jospin avrebbe in quell'occasione adempito all'impegno elettorale dell'introduzione per legge della riduzione dell'orario settimane di lavoro a 35 ore a parità di retribuzione. Ciò che, con ogni probabilità, avrebbe fortemente premuto sulla crisi italiana nel senso di sbloccarla: per la difficoltà del PDS, a quel punto, a continuare a rifiutare in Italia a RC la medesima legge sull'orario di lavoro che il Governo Jospin - quindi un governo guidato da una formazione come il PDS appartenente all'Internazionale Socialista e al Partito Socialista Europeo - si impegnava a varare in Francia. Ed è esattamente in questa difficoltà che D'Alema e con lui il Governo Prodi verranno infine a trovarsi.
Ma se le elezioni anticipate, dunque, erano un'arma scarica, o un bluff, allora D'Alema e Prodi avrebbero dovuto o ricercare un accordo con RC o comporre un'altra maggioranza parlamentare senza RC e con una parte più o meno estesa della destra. Tuttavia se avessero scelto di comporre una tale maggioranza parlamentare ne sarebbe venuto un danno pesantissimo di immagine nell'elettorato di sinistra e nella popolazione italiana a danno del PDS e dell'Ulivo, non più di RC. La destra inoltre avrebbe imposto una legge finanziaria ancor più antisociale: ciò che avrebbe ulteriormente allargato l'influenza di RC. Eccetera.
Di fatto perciò nello scontro duro che si stava per aprire RC non solo avrebbe contato su più alleati di fatto, un po' ovunque; non solo avrebbe enormemente beneficiato della decisione di Jospin di praticare per legge in Francia la riduzione dell'orario di lavoro a 35 ore a parità di retribuzione: soprattutto - data l'improbabilità elevata di elezioni anticipate - Prodi e D'Alema, magari dopo aver sostenuto il più possibile le loro posizioni intransigenti, con tutta probabilità avrebbero dovuto addivenire a un accordo con RC, ovvero effettuarle concessioni sostanziali.
Questo dunque era il ragionamento di RC: che alla fine, per tutte queste ragioni, con ogni probabilità ce l'avrebbe fatta.
Resta da dire che una possibilità che la crisi invece non fosse reversibile ovviamente c'era - tanto per l'estrema determinazione con la quale D'Alema aveva intrapreso il tentativo di fare il vuoto alla sua sinistra che per la pari determinazione di RC a conquistare un accordo che le desse larga soddisfazione. RC non avrebbe mai accettato di piegarsi a una legge finanziaria che tagliasse ampiamente le pensioni e che non contenesse elementi di politica economica di svolta sul terreno della lotta alla disoccupazione di massa e coerenti con il passaggio in avanti della Francia. Non avrebbe riproposto alle classi popolari italiane lo spettacolo demoralizzante di tante volte del vecchio PCI, che dichiarava la più ferma intransigenza sugli obiettivi sociali ma poi li scambiava con benefici in sede istituzionale - non avrebbe quindi arretrato nella sua battaglia per le pensioni e per il lavoro in cambio del proseguimento della sua partecipazione alla maggioranza parlamentare. Non avrebbe mai accettato di subordinarsi a orientamenti neoliberali moderati e ancor meno al loro fondamentale portatore oggi in Italia - il PDS di D'Alema. Non avrebbe dato anche il suo contributo al processo, inoltrato, di allontanamento delle classi popolari italiane dalla politica, dalla sinistra e dalla democrazia: ma continuato a battersi, anche al prezzo di pesantissimi sacrifici, per la loro ripoliticizzazione e il loro ritorno alla lotta di classe.
La crisi, come volevasi dimostrare, durerà dunque una settimana e si chiuderà con un accordo. Essa partirà nel modo più arrogante - Prodi presenterà la sua legge finanziaria con ampi tagli alle pensioni. RC perciò dichiarerà la propria uscita dalla maggioranza parlamentare ovvero che il Governo Prodi non aveva più maggioranza parlamentare. Il PDS a sua volta attaccherà RC nel modo più furibondo e i mass-media lo asseconderanno totalmente. Poi la possibilità di elezioni anticipate evaporerà rapidissimamente, RC rilancerà la proposta di una trattativa e Prodi e D'Alema saranno costretti ad accettarla e a concedere a RC gran parte di quanto aveva chiesto.
Quindi la guerra a sinistra accuratamente ricercata e costruita da D'Alema anziché riuscire a mettere ai margini della politica italiana RC e a spostare organicamente il Governo Prodi su posizioni neoliberali moderate si è risolta con il rilancio della partecipazione del tutto autonoma di RC alla maggioranza parlamentare e con uno spostamento consistente a sinistra delle posizioni del Governo. E la migliore dimostrazione che è stata esattamente questa la conclusione della guerra di D'Alema - il risultato cioè della crisi di governo dell'inizio di ottobre in Italia - la si può vedere nel nuovamente mutato atteggiamento della Confindustria nei confronti del Governo Prodi: essa cioè è tornata a opporglisi duramente.
Inoltre il tentativo di D'Alema di sottomissione degli alleati o di distruzione di chi non ci sta si è imbattuto in una grave sconfitta. Ed è emerso con molta chiarezza il carattere avventurista degli orientamenti praticati da D'Alema e i gravi guasti che essi recano alle classi popolari e alla stessa democrazia italiana. Basti guardare - l'ho già accennato - ai risultati disastrosi dell'iniziativa di un anno fa di D'Alema di promuovere, attraverso apposita commissione parlamentare da lui presieduta, la "riforma" della Costituzione, e quindi dell'assetto istituzionale dell'Italia. Ne ho già accennato. Inoltre con quest'iniziativa e anzi con il complesso dei suoi atti D'Alema ha rappresentato il principale fattore di difficoltà e di instabilità, per l'intero anno e mezzo della loro esistenza, della maggioranza parlamentare e del Governo Prodi. Benché sostenuto dal vigoroso culto della personalità di molta parte dei mass-media, il disagio nei suoi confronti nell'Ulivo nello stesso PDS è crescente, e prima o poi qualcosa avverrà.
La strada della svolta nella politica economica di governo conquistata da RC, è chiaro, non è per niente spianata. La soluzione positiva della crisi di governo non ha certo cambiato i modi dominanti di pensare nel PDS, nell'Ulivo e nel Governo Prodi: ha però mostrato tutta la fragilità che ormai attraversa questi modi di pensare, e ha inoltre dato spazio nel PDS, nell'Ulivo e nel Governo Prodi alle posizioni - che ci sono - più a sinistra.
L'apertura in Italia di questa svolta di politica economica è cioè anche un'importante indicazione di come, nell'aria diversa che si comincia a respirare nell'Unione Europea, le stesse socialdemocrazie più moderate (tali sono il PDS e, in sostanza, la stessa coalizione dell'Ulivo) non riescano più, se incontrano alla loro sinistra ostacoli rilevanti e determinati a battersi, a praticare i loro orientamenti più o meno organicamente neoliberali, e siano invece costrette a sostanziali rettifiche e concessioni.
Al tempo stesso questa svolta di politica economica sta cominciando a far capire al grosso della popolazione italiana che non è affatto obbligato, per risanare il bilancio statale o per prendere parte alla moneta unica europea, tagliare la spesa sociale e le condizioni di vita dei lavoratori e della povera gente. A fargli capire che non è affatto vero che una politica positiva dell'occupazione non sia praticabile se non a costi insostenibili per le imprese e per il sistema economico. A fagli capire, dunque, che le regole di politica economica del neoliberalismo e i "parametri" del Trattato di Maastricht sono anche e prima di tutto espedienti ideologici al servizio delle convenienze del grande capitale e della quota superiore delle classi medie.
Il Governo francese, infine, non è rimasto solo nel suo tentativo di delineare un percorso verso la moneta unica europea sostanzialmente alternativo rispetto a quello imposto negli anni scorsi dalle destre neoliberali europee e sancito nel Trattato di Maastricht.
L'accordo con RC impegna il Governo Prodi a non effettuare - con la legge finanziaria per il '97 - tagli alle pensioni degli operai e di tutti quegli altri lavoratori dipendenti che svolgano funzioni "equivalenti" a quelle degli operai. Questa proposizione non va sottovalutata, per più ragioni. Intanto le confederazioni sindacali avevano già consentito al Governo di erodere le pensioni della totalità dei lavoratori dipendenti non operai. Paradossalmente, cioè, esse avevano risolto le divergenze che le attraversavano a proposito della distribuzione dei tagli alle pensioni concordando con il Governo tagli per tutti i lavoratori dipendenti salvo che per gli operai. Inoltre in Italia esiste da venticinque anni un "inquadramento unico" del lavoro dipendente che ha abolito le distinzioni tra operai e impiegati. In conclusione, quella proposizione non solo ha ridotto molto i tagli alla spesa pensionistica voluti dal Governo: essa soprattutto ha totalmente disorganizzato la possibilità di effettuare tagli di una qualche consistenza alla spesa pensionistica sul versante del lavoro dipendente a retribuzioni basse e medie, spostandoli cioè quasi completamente sul versante delle pensioni erogate dal settore pubblico a condizioni di privilegio e di quelle delle figure a reddito più elevato. Infine l'accordo tra Governo e RC di fatto comporta che questi siano gli ultimi tagli di una storia ormai lunga di attacchi alle pensioni dei lavoratori italiani
Quest'accordo prevede anche che alcune cure sanitarie - quelle relative a malattie molto gravi o croniche - tornino, sempre nel contesto della legge finanziaria, gratuite - ne siano cioè aboliti i "ticket" a carico dei pazienti .
Sul piano dell'occupazione l'accordo tra Governo Prodi e RC prevede una legge sulla riduzione dell'orario di lavoro a 35 ore settimanali a parità di retribuzione - da varare a fine gennaio sulla base dei risultati di una trattativa sulle modalità tra Governo, confederazioni sindacali e padronato Ma tale riduzione di orario dovrà in ogni caso essere pienamente attuata entro l'1 gennaio 2001. Inoltre l'accordo prevede la creazione di un'agenzia statale per l'occupazione nell'Italia meridionale, da finanziare con i proventi della privatizzazione del settore delle telecomunicazioni. Quest'agenzia tuttavia non avrà potere di effettuare direttamente assunzioni (come richiesto da RC, con l'occhio soprattutto al versante delle attività socialmente utili: quindi al versante della tutela ambientale, di quella del patrimonio culturale urbano, del recupero delle periferie urbane degradate, delle cure a malati, anziani, portatori di handicap, eccetera), bensì solo di attivare indirettamente lavoro (attraverso finanziamenti a municipalità, regioni, cooperative, imprese private).
L'accordo poi definisce un più forte impegno di governo contro l'evasione fiscale - piaga in Italia di grandi dimensioni. Il Governo Prodi pertanto finalmente effettuerà - sempre attraverso la legge finanziaria - consistenti aumenti degli organici e miglioramenti tecnologici dei settori dell'amministrazione statale preposti ai controlli fiscali.
Inoltre il Governo Prodi si è impegnato a condurre sistematiche consultazioni, a proposito dei suoi orientamenti generali e prima di qualsiasi provvedimento importante, dell'intera sua maggioranza parlamentare: ciò che più esattamente significa la fine dell'esclusione di RC dalle discussioni e dalle trattative che definiscono gli orientamenti e i provvedimenti del Governo.
Formalmente, infine, l'arco temporale dell'accordo si riferisce solamente all'anno prossimo: RC infatti ha rifiutato un impegno di partecipazione alla maggioranza parlamentare che duri sino al termine della legislatura - cioè di tre anni - in quanto in sostanza sarebbe stato un impegno al buio.
Con quest'accordo tra Governo Prodi e RC i terreni dello scontro politico in Italia dunque cambiano - si spostano nettamente in avanti.
Scontro politico che sta già cominciando, naturalmente. La discussione sulla legge finanziaria è attualmente in corso in Parlamento: RC tenterà di migliorarla ulteriormente e altri tenteranno di peggiorarla. E' attualmente in corso l'ultima tornata della trattativa tra Governo Prodi e confederazioni sindacali per definire esattamente chi siano i lavoratori dipendenti "equivalenti" agli operai, poi i risultati di questa discussione entreranno nella discussione parlamentare sulla legge finanziaria: RC continuerà ad agire per coprire con questa proposizione il maggior numero di lavoratori e altri agiranno in senso opposto. A gennaio comincerà una non agevole trattativa tra Governo, confederazioni sindacali e padronato per definire le modalità specifiche della legge sulla riduzione a 35 ore settimanali dell'orario di lavoro a parità di retribuzione entro l'inizio del 2001. Il padronato tenterà di impedire che a una legge che fissa l'entità della riduzione dell'orario di lavoro e la scadenza entro la quale realizzarla si arrivi, e potrebbe trovare buona sponda nelle confederazioni sindacali, o in alcune di esse: RC potrebbe dunque trovarsi nella necessità di effettuare una pressione più o meno rude sul Governo Prodi affinché esso tenga fede all'accordo che ha chiuso la crisi.
La durezza estrema dello scontro di ottobre ha lasciato non pochi segni, infine, nel corpo stesso di RC. Intanto molti elementi di debolezza soggettiva sono emersi, alcuni dei quali anche non previsti.
RC esiste da meno di sette anni, e in questo periodo non è ancora riuscita a effettuare un salto sostanziale tanto del suo insediamento organizzato nelle classi popolari che della sua influenza presso i vari tipi di agenti che operano negli apparati che orientano i modi di pensare della popolazione - negli apparati "ideologici". RC rimane dunque una formazione assai debole su piani sostanziali - soprattutto guardando alla dimensione e alla qualità dei suoi obiettivi di rappresentanza intransigente degli interessi delle classi popolari e di conquista della condizione di grande partito di massa, con capacità di grandi mobilitazioni sociali, eccetera.
La debolezza di RC negli apparati "ideologici" e nei loro agenti ha fatto sì che nel periodo più duro della crisi essa non sia riuscita neanche minimamente a reagire a un attacco falsificatorio delle sue posizioni e pesantemente denigratorio - ivi compreso il linciaggio quotidiano del Segretario Bertinotti - condotto dai mass-media, televisione di stato in testa, per conto del PDS.
Quest'esperienza ha anche consentito a RC di costatare come il degrado concreto della democrazia in Italia sia giunto a un livello assolutamente preoccupante, e questo oggi anche per il concorso al degrado da parte di forze politiche e sociali di centrosinistra un tempo della democrazia totali partigiane. Il PDS di D'Alma infatti oggi non solo sta invadendo gli spazi abbandonati - a seguito di Tangentopoli - dalla DC e dal PSI, ma a questo fine ne sta reclutando i peggiori arnesi e sta assecondando e anche generalizzando le tendenze antidemocratiche operanti nell'ultimo periodo del dominio della DC e del PSI. Delle proposte della commissione parlamentare presieduta da D'Alema in fatto di passaggio alla repubblica presidenziale e di riduzione dell'autonomia del settore inquirente della magistratura ho già detto. Aggiungo adesso che alla repubblica presidenziale dovrebbe accompagnarsi, nelle intenzioni del PDS, anche un rafforzamento del potere di governo rispetto a quello parlamentare. Ho già accennato alla legge elettorale prevalentemente maggioritaria - il PDS inoltre la vorrebbe cambiare in un'altra totalmente maggioritaria. Ho già detto della "concertazione" tra Governo, padronato e confederazioni sindacali: ovvero della posizione neocorporativa dalla quale i gruppi dirigenti delle confederazioni sindacali si sono fatti catturare. I mass-media italiani infine sono ormai costituiti in una sorta di partito unico neoliberale semplicemente articolato in due correnti - una estremista al servizio della destra e l'altra moderata al servizio del centro-sinistra - che dunque scatta compatto e distruttivo ogni qual volta senta anche solo scalfiti gli orientamenti fondamentali di politica economica neoliberale o le indicazioni del Trattato di Maastricht, oppure avverta critiche alla centralizzazione - neoliberale - dei poteri statali nelle mani dei governi. Il canale della televisione statale più sottoposto al controllo del PDS, che nei giorni più duri della crisi apre un notiziario politico serale con una manifestazione di casalinghe del PDS contro RC e parla dell"assurda crisi" aperta da RC, bene simboleggia tanto il clima creato dai mass-media nel loro insieme in quei giorni che la reale attitudine del PDS di D'Alema nei confronti della democrazia. In RC è cominciata una riflessione su questi processi di degrado antidemocratico, con l'intenzione di aprire rapidamente contro di essi un fronte di battaglia.
La debolezza, a sua volta, dell'insediamento organizzato di RC nelle classi popolari ha impedito ai suoi militanti nei giorni più duri della crisi di poter contrattaccare in modo capillare e anzi li ha chiusi nelle loro sedi.
Ma soprattutto parte consistente dei quadri a livello intermedio non ha affatto agito per preparare adeguatamente l'insieme dei militanti in vista della crisi, nonostante i continui allarmi dal livello centrale di RC: essendo orientata essa pure, in sostanza, da quei messaggi soporiferi del Governo Prodi per i quali alla crisi non si sarebbe arrivati. In molte federazioni i gruppi dirigenti hanno continuato per mesi e fino al giorno stesso dell'apertura della crisi a occuparsi delle elezioni municipali di novembre, costruendo liste e relazioni unitarie con le formazioni dell'Ulivo e discutendo con esse della composizione dei futuri governi municipali, tranquilli e indifferenti a tutto il resto della politica. E' chiaro, tra parentesi che con questi metodi di direzione e di lavoro un più ampio insediamento organizzato di RC nelle classi popolari è solo destinato a rimanere un sogno. La crisi ha dunque consentito a RC di capire meglio come i suoi limiti organizzativi e di diretta influenza nella popolazione siano dovuti anche a difetti rilevanti di orientamento di una parte dei suoi quadri. Infine una parte non esigua dei gruppi parlamentari e dello stesso livello dirigente centrale l'urto nel periodo più duro della crisi non lo ha proprio retto. Anche su tutto ciò è iniziata in Rifondazione Comunista una discussione, e un bilancio verrà tratto.
L'elettorato di RC, infine, pare avere risposto alla crisi di governo aperta da RC in modo divaricato.
In una parte di esso, quella più colta politicamente, tanto dentro alle classi medie che al lavoro dipendente, hanno prevalso le riserve sull'opportunità di uno scontro così duro e così impegnativo in sede di obiettivi e soprattutto ha prevalso la contrarietà all'apertura della crisi di governo, temendo che non fosse reversibile. Questa parte dell'elettorato di RC da un lato è quella più sensibile al tema dell'unità a sinistra e dall'altro è quella più influenzata dai mass-media. Eccezione importante in essa è stata rappresentata dai lavoratori metalmeccanici legati alla FIOM-CGIL e dalla stessa maggioranza del loro livello dirigente centrale: da parte dei quali nel corso della crisi si sono avute molte iniziative che affermavano tanto la necessità di tenere unita la sinistra italiana, e quindi di non far cadere il Governo Prodi, che quella, però, di una svolta nella politica economica del Governo e dell'Ulivo, in particolare attraverso una legge che riducesse l'orario di lavoro. Quest'intervento dei metalmeccanici della FIOM concorrerà esso pure, dunque, alla positiva soluzione della crisi.
Un'altra parte dell'elettorato di RC invece oltre ad aver condiviso lo scontrò duro e i suoi obiettivi ha pure condiviso l'apertura della crisi di governo ovvero è anche stato disponibile a rischiarne l'irreversibilità. Si tratta, in via generale, della parte più popolare e di più elementare politicizzazione di RC. Per capire meglio la composizione di questa parte dell'elettorato di RC si può andare a vedere la composizione dei partecipanti alla manifestazione indetta da RC a Roma a fine ottobre - poco dopo cioè la chiusura della crisi. Si è trattato di un'imponente manifestazione di 200 mila persone pressoché totalmente collocate, militanti di RC o simpatizzanti che fossero - bastava leggerne gli striscioni e ascoltante gli slogan - quasi completamente in questa parte dell'elettorato di RC. Essi dunque erano in parte minore lavoratori e pensionati sui cinquanta-sessant'anni e in parte maggiore giovani di popolo, soprattutto disoccupati o lavoratori precari, di vent'anni.
I sondaggi elettorali in tutto il corso della crisi e successivamente, inoltre, hanno continuato ad assegnare a RC percentuali molto elevate - attorno al 12% - simili a quelle di prima della crisi, e qualche volta anche in ascesa.
Tutto ciò offre molti utili spunti a una riflessione aggiornata sugli effetti complessi nella condizione sociale, nelle attitudini politiche e culturali e anche nel modo di stare a sinistra che i tumultuosi processi di questi anni nell'economia, nella politica e nell'informazione hanno determinato in Italia. Senza una tale riflessione sarà difficile per RC mettere a fuoco il suo programma da un lato e le modalità dall'altro delle sue iniziative di mobilitazione sociale e della sua stessa costruzione organizzativa.
L'esperienza di questa crisi sta dunque aprendo in RC una discussione impegnativa, non breve e, su alcune questioni, neppure molto facile.
L'orientamento di massima dominante è comunque nel senso di tenere ben ferma la rotta degli ultimi anni - quella del netto spostamento a sinistra di RC rispetto al vecchio PCI, dal quale viene la maggioranza dei suoi quadri. Questa d'altro canto è la sola rotta suscettibile di consentire a RC di rappresentare adeguatamente - cioè in antagonismo al neoliberalismo e più in generale al capitalismo - le classi popolari italiane.