Uomini e mercato: Quando le cifre svelano la povertà.

Nico Perrone

Liberazione 23 luglio 1997

Nell’Unione Europea - sono cifre dell’Eurostat, l’organismo ufficiale per le statistiche comunitarie - nel 1993 c’erano 57 milioni di persone che vivevano al di sotto della soglia di povertà. Oggi si calcola che siano molte di più.

Nel 1996, negli stati della UE, c’erano circa 19 milioni di disoccupati, pari al 10,8 per cento della forza lavoro (fonte OECD). Ma questi dati - che sono indispensabili per comprendere il quadro dell’economia europea - vengono ritenuti superflui dai compilatori dell’annuario economico di "The Economist", apparso ora anche in traduzione italiana. Una pubblicazione con molte statistiche di carattere generale, divise per materia e classificate, con informazioni specifiche relative a molti paesi (ma con inspiegabili esclusioni: Albania, Giordania, Siria, ecc.), nonché con l’indicazione di abitanti e PIL per tutti gli stati. Il libro è arricchito dell’indicazione delle fonti e di un glossario.

Se questa pubblicazione, per le omissioni citate all’inizio, risulta quindi inutile per una valutazione responsabile dei fenomeni che pretende di illustrare, essa serve tuttavia a rispondere a un interrogativo che ci riguarda, sul quale politici e giornalisti s’interrogano - alimentando un complesso d’inferiorità nazionale e un clima di soggezione nei confronti delle interessate rampogne che il nostro paese riceve dallo International Monetary Fund, dalla OECD e dalla UE - ma senza mai trovare risposte fondate.

L’interrogativo è quello se l’Italia sia o no una grande potenza economica. La risposta, stando ai dati raccolti dall’annuario, è senza dubbio positiva. L’Italia - a livello mondiale - è al quinto posto per prodotto interno lordo (PIL), al quinto per la produzione industriale, al sesto per l’export, al terzo per attivo nella bilancia dei pagamenti, al sesto fra gli erogatori di aiuti internazionali, al settimo fra i consumatori di petrolio, all’ottavo per la produzione chimica, al quarto per afflusso turistico, al quarto per numero di medici per abitante, al nono (nonostante la penalizzazione di una lingua internazionalmente poco conosciuta) per libri pubblicati. Ma riesce anche a essere oltre il ventesimo per numero di omicidi (gli Stati Uniti sono al diciottesimo posto), al diciassettesimo per l’emissione di rifiuti tossici e nocivi, al trentaduesimo per emissioni di anidride carbonica. Un bilancio niente male, che per essere meglio compreso dovrebbe confrontarsi con la percentuale dei disoccupati, che il libro, come abbiamo detto, non registra. Ma questo non dev’essere casuale: è anche così che s’influenza la stampa e l’opinione pubblica a considerare come significativi solo i dati relativi al mercato, cancellando del tutto quelli relativi agli uomini.

The Economist, Il mondo in cifre, Roma, Internazionale, 1996, pp. II-218, lire 20.000.