Sui diritti di cittadinanza le scelte parziali del governo Rosanna Moroni |
Liberazione 25 ottobre 1997
La discussione nell'immigrazione è sembrata spesso ridotta ad una disputa tra buoni e cattivi , anziché assumere quel significato politico ineludibile ogniqualvolta si tratti di diritti. Troppo spesso singoli politici e partiti - in particolare An e Lega - assumono posizioni per mietere facili consensi. E niente è più facile che aderire all'incertezza conseguente a condizioni di precarietà di larghe fasce della popolazione, indicando un capro espiatorio inerme. Una tesi insistente è quella secondo cui l'Italia sarebbe un "paese invaso". Falso macroscopico, che genera paura e rifiuto del forestiero.
Nel nostro paese è presente circa un milione di stranieri (includendo l'area di irregolarità, tra 150 e 200mila unità). La percentuale (1,7 in totale, 1,4% di extracomunitari sulla popolazione residente) è di gran lunga inferiore alla media europea, superiore al 4%. L'unica risposta che troppi sanno proporre è la chiusura delle frontiere: ma non c'è muro né barriera in grado di fermare chi sfugge alla fame, alla guerra, alla disperazione. Accogliere queste persone non è semplicemente un gesto di solidarietà o il riconoscimento di diritti: è una scelta di realismo, tanto raccomandato da una destra che lo scambia per licenza di ignorare i diritti inviolabili dell'uomo, sanciti dalla Costituzione.
Altro luogo comune non meno subdolo e strisciante è l'equazione immigrati-criminalità. Chi dice che il tasso di delinquenza è più elevato tra gli stranieri, porta come prova il maggior numero di detenuti. Ma se si usano giusti parametri di riferimento, confrontando fasce di età coincidenti ed analoghe condizioni socioeconomiche, si verifica che non ci sono differenze, nella popolazione carceraria, fra autoctoni e immigrati.
Gli ingressi per lavoro sono in assoluto la parte più rilevante del fenomeno migratorio, ma la legislazione vigente in materia blocca i canali d'accesso regolare e alimenta il bacino di irregolarità. Eppure il nostro mercato del lavoro ha bisogno di questa manodopera. Il Censis, nel '95, stimava in un milione e 500mila i posti di lavoro che nel Duemila saranno scoperti in attività sgradite agli italiani.
Della nostra disoccupazione non sono responsabili gli immigranti, ma la crisi economico-sociale del paese che si cerca di superare anche con il loro contributo. Infatti lavoratori stranieri producono ricchezza e recano benefici a fisco e previdenza; finanziano l'economia italiana con le loro attività, pari al 2% del reddito da lavoro complessivo. Con il loro lavoro regolare producono contribuzioni di cui difficilmente usufruiranno in termini pensionistici, a meno che non chiedano la liquidazione quando lasciano l'Italia (cosa che pochi fanno e che comunque alleggerisce l'Inps della loro posizione). Inoltre sulle paghe dei soli lavoratori dipendenti stranieri si applica una ritenuta supplementare dello 0,50% (il fondo di rimpatrio usato solo per poche decine di casi), che ha fruttato all'Inps oltre 150 miliardi: più di quanto lo Stato abbia stanziato per tutti i servizi destinati agli immigrati.
A coloro che hanno strumentalizzato vere e proprie tragedie - i fatti dolorosi della Maiella e della Puglia - rispondo che episodi come quelli confermano semmai l'inutilità, se non l'errore, di decretare decine di migliaia di espulsioni ogni anno, se proprio il numero così elevato rende impossibile eseguire i provvedimenti. Per Rifondazione comunista le espulsioni devono essere un provvedimento di eccezionale gravità, non uno strumento che sopperisce alla mancanza di una politica per limmigrazione.
Inoltre l'espulsione deve avvenire nel rispetto del dettato costituzionale salvaguardando quindi la presunzione di innocenza e il diritto alla difesa e a un processo regolare. Un aspetto qualificante del disegno di legge del governo era rappresentato dal diritto a votare e ad essere eletti nelle elezioni amministrative. L'esercizio del diritto di voto - cito il ministro Napolitano - è aspetto caratterizzante di quella partecipazione alla vita pubblica locale che è tra le condizioni di unintegrazione decisiva ai fini di una pacifica convivenza civile. E' espressione di cittadinanza.
La scelta di rinviare la questione a un disegno di legge di modifica costituzionale rende il percorso molto più accidentato e incerto. Non vorrei dare l'impressione di giudicare irrilevanti le previsioni relative ai diritti di cittadinanza contenute nel ddl del governo. Però certi segnali positivi, certe scelte importanti non possono essere parziali. Con la legge sull'immigrazione non decidiamo solo la sorte degli immigrati, ma anche il modello di società a cui aspiriamo.