Bertinotti: nomine in base ai programmi

«Per gli incarichi pubblici serve un sistema di legittimazione diretta»

Paolo Barbieri

Liberazione 2 dicembre 1997

Le dimissioni di Guido Rossi dalla presidenza Telecom lo hanno reso esplicito: il conflitto sulle nomine nelle aziende pubbliche rappresenta una grana seria per la maggioranza. E Rifondazione getta il sasso nello stagno: Bertinotti tuona contro i rischi di nuova lottizzazione e lancia l'idea di riformare l'intero sistema delle nomine, a partire dalla Rai. E' proprio la Rai il principale fronte di polemica: la gestione attuale non ha garantito il pluralismo, e per Bertinotti le nomine fatte dai presidenti delle camere non funzionano più.

Deve decidere il parlamento sulla base di candidature dichiarate, con relativi programmi. «Sospendiamo le polemiche sui vertici e sui dirigenti - propone - e facciamo due mesi di dibattito pubblico per arrivare alle nomine in base, appunto, ai programmi». Obiettivo: mettere fine alle attuali candidature "finte neutrali".

La proposta non riguarda solo la Rai; su tutte le nomine pubbliche serve un metodo più simile a un'elezione, candidature programmatiche per avere legittimazione diretta e responsabilità personale. "Quando l'autorità preposta sarà chiamata a scegliere si assumerà - dice Bertinotti - la responsabilità per quell'uomo e per quel programma». L'idea non piace a D'Alema, che di nomine non ama dibattere in pubblico: «Primarie? Ma per cosa? Anche per i vertici della Rai? Ma i vertici della Rai - replica - li nominano i presidenti di camera e senato, non il governo».

Sergio Bellucci, responsabile Prc per le comunicazioni di massa, entra nel dettaglio: l'ipotesi è che tutte le nomine, dalle authority alle imprese di proprietà dello stato, passino l'esame del parlamento. Sulle nomine di competenza strettamente parlamentare, spiega, «la proposta è che tutti i gruppi parlamentari avanzino candidature in modo esplicito, indicando singole professionalità alla scelta del parlamento. Per le aziende pubbliche proponiamo l'individuazione di candidati sulla base di progetti da essi elaborati: anche autocandidature, dunque, da sottoporre a un voto delle aule parlamentari».

Ma per le aziende pubbliche al parlamento spetterebbe l'individuazione, assieme al presidente, di un "collegio di governo": non rappresentanti parlamentari ma «i tecnici - dice Bellucci - che collaboreranno alla gestione».

No secco del Prc, invece, alla proposta (Pds) dell'amministratore unico per la Rai: «Intanto vorremmo sapere chi lo nomina. E poi, questo amministratore dovrebbe scegliersi un gruppo a cui delegare alcune funzioni. Si tornerebbe così alla logica della cooptazione da parte di una sorta di commissario, una figura alla quale noi siamo contrari». Per adesso però la maggioranza non sembra recepire l'appello di Bertinotti a uscire dalla discussione sugli organigrammi e ad affrontare quella sulla funzione del servizio pubblico: cosi, mentre il presidente della Camera Violante annuncia che la nomina del successore di Giuliano Amato all'Antitrust avverrà a fine anno come previsto, dai Verdi parte l'ennesimo siluro ai soci di maggioranza dell'Ulivo, Pds e Ppi. «Vediamo con sospetto e perplessità - accusa infatti il senatore Semenzato - la riproposizione di nomi che hanno avuto responsabilità nel condizionare gli indirizzi di grandi enti pubblici nei decenni passati». Per il ministro Maccanico le polemiche di questi giorni sono il sintomo di una «nevrosi da stabilità di governo». Sarà, certo sono nevrosi che non giocano all'immagine di rinnovamento che il centrosinistra vorrebbe offrire al paese.