Rifondiamo la giustizia Giuliano Pisapia |
Liberazione 24 ottobre 1997
Dopo la crisi di governo, si apre una fase nuova. Il disegno di legge sulle 35 ore, la diminuzione dei tagli dello Stato sociale, l'aumento dei fondi destinati alla lotta all'evasione, le esenzioni per i soggetti più deboli in tema di sanità, sono tutti segni di una svolta nell'azione della maggioranza che appoggia l'attuale governo. E in questo contesto che diventa sempre più urgente riprendere il confronto anche sul tema dei diritti, delle garanzie e degli strumenti per rendere più efficace la lotta alla criminalità organizzata.
Già sono state fatte, in un anno di attività parlamentare, significative riforme per rendere l'amministrazione della Giustizia più celere ed efficace e, nel contempo, più rispettosa delle garanzie individuali. Sono stati approvati importanti provvedimenti, e altri, come la depenalizzazione dei reati minori e le misure alternative alla detenzione, potranno essere approvati in tempi brevi (non si tratta, si badi, di concedere impunità o indulgenze, come dimostra la sconfitta del tentativo del Polo di depenalizzate anche il finanziamento illecito ai partiti).
Ma di altro, ormai, si parla nel Paese: basti pensare al problema dei collaboratori di giustizia, al blocco dei beni in caso di sequestro di persona nonché, più in generale, alle riforme istituzionali in tema di giustizia. Per quanto riguarda i cosiddetti "pentiti", si va - come troppo spesso accade - da un eccesso all'altro. Dall'esaltazione acritica all'aprioristico giudizio di inattendibilità delle loro dichiarazioni. Dalla totale impunità per chi ha commesso gravissimi reati di sangue, al tentativo di delegittimarne l'uso. II legislatore, fino a oggi, è (giustamente) intervenuto in più occasioni per favorire la collaborazione da parte di membri di organizzazioni criminali, mentre è stata sottovalutata la necessità di garantire una reale difesa a chi è accusato - talvolta giustamente ma talvolta anche ingiustamente - da chi ha deciso di collaborare con l'Autorità Giudiziaria. Alcune limitate modifiche potranno rafforzare questo importante strumento di indagine e la lotta alla criminalità senza incidere nel diritto di tutti a un giusto processo. In una prospettiva di riforma è necessario, a mio avviso:
a) che eventuali benefici (in tema di sconti di pena e di libertà personale) siano concessi solo dopo che un Giudice abbia verificato in dibattimento la veridicità e l'attendibilità delle dichiarazioni dei collaboratori;
b) separare gli organi di protezione da quelli di investigazione;
c) impedire che chi collabora con la giustizia possa avere rapporti con altri imputati o testimoni (per evitare scambi di informazioni o dichiarazioni concordate);
d) ricercare sempre riscontri oggettivi alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.
Proprio a questo proposito è stata ripetutamente chiesta, soprattutto dai partiti dell'opposizione, la modifica dell'art. 192 del codice di procedura penale ("le dichiarazioni rese dal coimputato sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermino l'attendibilità"). Norma formulata in maniera così tassativa, proprio per la "necessità di circondare di maggiori cautele il ricorso a un simile mezzo di prova alla luce della sua attitudine ad ingenerare un erroneo convincimento giudiziale" (relazione al nuovo codice di procedura penale). II problema non, è quindi, quello di modificare l'art. 192 c.c.p. ma di applicarlo correttamente - a garanzia degli innocenti e non certo dei colpevoli - tenendo conto della sua ratio e della volontà del legislatore (il che, purtroppo, non sempre avviene).
Tanti altri sono i problemi su cui dobbiamo confrontarci: dalle intercettazioni telefoniche alle unioni civili, dalla difesa dei non abbienti ai tempi lunghissimi della giustizia civile. E accanto a ciò i grandi temi della riforme costituzionali, a partire dall'ultima proposta formulata dall'on. Marco Boato. Si tratta, credo, di un punto di equilibrio. Tanto più se si fa un confronto con il testo iniziale e non si dimenticano i tentativi di alcune forze politiche, tesi a condizionare pesantemente l'autonomia e l'indipendenza della magistratura (ad esempio in tema di obbligatorietà dell'azione penale). E si raffronta con le inaccettabili ipotesi in tema di semipresidenzialismo e di federalismo.
Esaminando la più recente "bozza Boato" - e sempre che non venga modificata in senso peggiorativo -, non si può negare che la stessa riaffermi con forza l'obbligatorietà dell'azione penale - cioè l'obbligo per l'accusa di perseguire comunque i reati, chiunque sia il colpevole - e l'indipendenza dei magistrati del pubblico ministero da ogni altro potere. Nel contempo, vengono introdotte alcune norme tese a garantire maggiormente la "terzietà" del giudice (ossia la sua imparzialità), e a rafforzare fondamentali garanzie per tutti i cittadini (ragionevole durata del processo, tempestività dell'accusa, diritto di difesa e istituzione di uffici pubblici di assistenza legale, per superare la discriminazione tra chi può permettersi un avvocato e chi no).
Nella direzione di un rafforzamento delle garanzie di autonomia e indipendenza della magistratura, si muove, a mio avviso - e ben comprendo che vi possano essere valutazioni del tutto differenti - anche la proposta di attribuire l'azione disciplinare a un organo realmente autonomo e indipendente (un procuratore generale eletto dalla nuova Camera delle garanzie, il Senato, con la maggioranza dei tre quinti e con tassative incompatibilità). Discorso delicatissimo, sul quale bisogna riflettere a lungo. Senza dimenticare, però, che oggi l'azione disciplinare - e la facoltà di disporre ispezioni presso Procure e Tribunali - è di competenza del ministro della Giustizia (organo politico e di parte), che la può esercitare in maniera facoltativa (e quindi discrezionale).
E abbiamo visto come, in passato, sia stata utilizzata nel tentativo di delegittimare singoli magistrati e inchieste contro la corruzione o la criminalità organizzata. Solo attribuendo l'azione disciplinare (e il potere ispettivo) a un organo "super partes" sarà possibile evitare - così credo - ogni sospetto di un uso politico del potere disciplinare. Sono queste alcune delle vere sfide alle quali dobbiamo rispondere e sulle quali dobbiamo arrivare, per quanto possibile, a proposte unitarie. Discutiamone, dunque, senza pregiudizi: con l'obiettivo di venire incontro alle aspettative dei cittadini, nella prospettiva di una giustizia equa, non vendicativa né indulgente, e che non sia, come purtroppo a volte accade, forte con i deboli e debole con i forti.