Il pluralismo non è un fatto amministrativo

Marco Rizzo

Liberazione 23 ottobre 1997

 

Durante la crisi di governo Rifondazione comunista è stata aggredita duramente dai mass media in generale e dalle televisioni pubbliche in particolare. Il fatto è grave e preoccupante. Non si tratta semplicemente di una informazione "troppo militante", in quei giorni i segni e le tendenze di un possibile regime, che controlla quasi capillarmente gli apparati di consenso, hanno dimostrato una pericolosità per la stessa dialettica democratica.

C'è un "insegnamento" che esce dalla lettura e dalla visione di quanto avvenuto in questo periodo? Siamo in presenza di "dati ed esempi" da inglobare in un'analisi complessiva sui media? E ancora siamo forse di fronte ad una inglobazione in un'unica rete informativa? Oggi possiamo, dobbiamo tentare alcune risposte evidenziando le "prove", cioè quanto si è mostrato e scritto.

Possiamo partire con un'annotazione di principio in questa vicenda che ha visto, come non mai, Rifondazione Comunista oggetto centrale su cui i riflettori delle televisioni e della stampa si sono accesi con una luce particolare.

Firme di prestigio, corsivisti, editorialisti, politologi: in pratica un processo di marketing e di comunicazione senza esclusione di colpi. Dalla cronaca artata agli insulti, dalle analisi di parte alle farneticazioni, dai rari tentativi di capire ai tanti di depistare.

Ecco perché c'è sempre più bisogno - se si vuole comprendere il processo di interazione fra media e politica e tra politica e consenso tra le grandi masse, senza scadere nel propagandismo minoritario - di indagare su questa mastodontica operazione.

Basta ripensare ai palinsesti televisivi, rileggere i titoloni, la stessa collocazione delle notizie per individuare uniformità e tendenza. Si è al punto da poter dire che dalla logica dei media scaturisce la logica politica e viceversa.

Gli esempi sono innumerevoli, ne citiamo alcuni caratteristici anche per la loro diversa caratterizzazione: si va dall'uso di una satira "a senso unico" dell'attore pidiessino Montesano che ha usato più volte il suo programma di intrattenimento pubblico per servilismo di partito, al conduttore del Tg3 Mannoni che ha superato di gran lunga la già grande faziosità della sua testata, per passare alla disinformazione calunniosa del Messaggero che un giorno (quello della crisi) racconta di un Cossutta "spaventato" che richiede la scorta senza voler sapere che questa è stata attribuita "d'ufficio" da oltre un anno per tutti i presidenti di partito, per poi scusarsi pubblicamente alla perentoria richiesta di smentita e che, un altro giorno (quello del dopo crisi), presenta un inesistente dialogo tra Lella Bertinotti ed un commerciante avente oggetto assunzioni clientelari all'Enel possibili dopo la rimozione (addirittura!) dell'intero vertice Enel per poi, anche qui, presentare pubbliche scuse.

Oppure ancora nell'inserto "Io donna" del Corriere della sera troviamo nuovamente la direttrice del Tg3 Lucia Annunziata che ricorda, facendo la storia di Rifondazione, che «dopo solo un anno, dei cinque padri fondatori, ne restavano solo due Cossutta e Salvato, mentre erano allontanati Libertini, Garavini e Ferri», peccato per lei e per chi l'ha istruita che Lucio Libertini è scomparso due anni dopo la fondazione del partito, Sergio Garavini e Rino Serri (Serri-Ferri, non è un refuso perché appare più volte nell'articolo) uscirono invece dal partito, quattro anni dopo la miniscissione dei comunisti unitari. Per non parlare poi dell'Espresso e del suo "cantore" Pansa da sempre all'opera nella calunnia anticomunista.

Il problema, ora, consiste nel vedere come si muoveranno in futuro questi apparati che sono strettamente collegati alle strutture del potere.Sono loro che vedono nella situazione attuale, nella coerente politica del Prc, nelle nostre risposte alle esigenze della società, il pericolo maggiore. Sentono che il loro status è a rischio. Per questo si muovono, si agitano e ci attaccano.

A fronte di tutto ciò noi siamo e saremo rispettosi di tutte le professionalità e non porremo le questioni in termini amministrativi, in primo luogo per la televisione pubblica, evidenziamo però un problema politico culturale: la necessità di rivedere criticamente questa modalità di informazione ricercando caparbiamente un pluralismo rispettoso anche della critica.

Su questo versante ci batteremo con determinazione e senza esitazione alcuna per una battaglia che come spesso accade, difende diritti di tutte e tutti.