La politica agricola comunitaria

Set-aside e rendita parassitaria

Fabio Rosati

Liberazione 28 novembre 1997

Le politiche agricole comunitarie penalizzano sempre di più le produzioni mediterranee a favore di quelle continentali, colpendo le zone più deboli: la collina e la montagna. Questa politica è il frutto di scelte che intervengono, con misure di incentivi, a premiare la rendita improduttiva, favorendo la grande proprietà speculativa e spingendo i paesi del bacino mediterraneo non comunitario a produrre per il mercato del nord-Europa a prezzi sempre più bassi, perché le condizioni di lavoro di queste popolazioni permettono uno sfruttamento maggiore a vantaggio delle multinazionali, della ricerca e della commercializzazione che permette loro di realizzare profitti maggiori.

Il problema delle scarse risorse alimentari, che colpisce già fortemente questi popoli, evidenzia ormai con chiarezza che le politiche agro-alimentari della Comunità, con l'introduzioni delle quote produttive su quasi tutte le produzioni agricole, vengono determinate da due parametri: quello della disponibilità finanziaria dell'Ue e quello dei possibili consumi delle popolazioni ricche. Occorre aprire una seria verifica con l'Ue perché si chiuda la fase della politica dei prezzi, introducendo vincoli e misure legate a parametri per la tutela delle piccole e medie aziende agricole e dei lavoratori, per garantire produzioni di qualità che tutelino i consumatori.

C'è bisogno di attivare politiche agro-alimentari legando gli incentivi finanziari alla quantità di lavoro per unità di prodotto, contribuendo a scoraggiare la rendita parassitaria, a premiare il lavoro, l'impresa produttiva e le produzioni tipiche mediterranee. Dal quadro della spesa comunitaria, dal '92 al '96, per i prodotti vegetali, si evince che essa è aumentata di quasi 5.927.000 di ecu, i seminativi di questo aumento hanno assorbito 5.891.000 di ecu. Per i prodotti animali, negli stessi anni, l'aumento è stato di 1.492.000 ecu, per il comparto della carne bovina di 2.273.000. Da queste cifre emerge la forte penalizzazione delle produzioni tipiche del sud-Europa, che vedono ridotte le quote di finanziamento per queste produzioni.

L'aumento della spesa ha favorito quindi le produzioni del nord-Europa, contribuendo di fatto all'abbandono dell'attività agricola da parte di centinaia di migliaia di lavoratori, aumentando così in queste aree il già elevato numero di disoccupati.

Perché si verifichi un'inversione di tendenza, è necessario che gli aiuti comunitari alla produzione agricola siano erogati in relazione alle giornate effettivamente svolte dal lavoro dipendente e da quello autonomo, con la certificazione ed il controllo dell'avvenuto rispetto dei contratti nazionali e dei versamenti dei contributi.

Il governo italiano deve attivarsi affinché l'Unione europea si doti di una capacità di ricerca alternativa a quella delle multinazionali, con progetti legati al territorio ed alla valorizzazione delle colture eco-compatibili, con produzioni che salvaguardino i consumatori. Per il latte, i cereali, la carne e la bieticoltura, è necessario che vengano rideterminati in sede europea le politiche delle quote di produzione. Il sud-Italia è diventato un campionario di contraddizioni dovuto alle molte miopie della politica agricola europea.

Per tanti produttori è difficile trovare appezzamenti di terreno da affittare: il set-aside, l'incentivo per la messa a riposo dei terreni, consente al proprietario un vantaggio economico così elevato da far diventare poco conveniente la locazione. Per avere diritto al premio del set-aside non è obbligatorio essere coltivatori diretti ed ecco che quello che doveva essere un metodo per evitare l'eccesso di produzione ed eventualmente permettere il recupero ambientale dei terreni, si traduce in una nuova rendita improduttiva per i grandi proprietari.

Un Paese come il nostro non si può permettere di mandare allo sfascio il settore primario con le sue infinite ricchezze.