Economia di carta ed economia reale. Giancarlo Saccoman |
Liberazione 27 novembre 1997
Ci stiamo ormai abituando a seguire le notizie sulla "tempesta finanziaria" asiatica come se si trattasse di un bollettino meteorologico, con rannuvolamenti e schiarite. Il bel tempo sembra però ancora molto lontano. In Asia, ed in particolare in Giappone, il crollo delle valute, delle borse e dei mercati immobiliari, ha reso palese la crisi profonda del sistema creditizio e finanziario giapponese, che, pur occupando i primi posti nelle classifiche mondiali, è costruito sulla sabbia. Infatti, alle enormi sofferenze che derivano dalla stasi, ormai settennale, dell'economia giapponese, si aggiungono le perdite su titoli e mercati immobiliari, con una potenziale insolvenza per larga parte del sistema creditizio nipponico che ha già provocato la chiusura di alcune delle aziende più antiche e prestigiose.
Senza un improbabile rapido recupero della borsa e dei mercati immobiliari potrebbe scatenarsi una enorme bufera finanziaria che non mancherebbe di coinvolgere i mercati più deboli, come quelli sudamericani e quelli più legati all'economia del Pacifico, come gli Usa, con prevedibili effetti su scala globale. Le turbolenze finanziarie, sottraendo risorse ai consumi ed all'occupazione, spesso con un ritardo di mesi od anni, provocano importanti conseguenze recessive sull'economia reale, a livello mondiale.
Per questo è importante capire, al di là della cronaca, quali sono le radici profonde di tali fenomeni. Oltre a fattori ciclici, legati alla stessa fisiologia del sistema capitalistico, a seguito della crisi del modello fordista, hanno certo inciso in misura rilevantissima le scelte "ideologiche" neoliberiste, che hanno promosso il "big bag", ovvero la liberalizzazione ed informatizzazione dei mercati finanziari. Ciò ha prodotto la "globalizzazione" e l'enorme dilatazione delleconomia finanziaria con una concorrenza sempre più selvaggia che erode l'economia reale, ovvero produzione, occupazione e spesa sociale. Oggi le transazioni finanziarie ammontano a venti volte quelle reali: è destinata prima o poi a sgonfiarsi con conseguenze disastrose e mostra dunque le cause dell'attuale enorme instabilità dell'economia finanziaria.
Che fare? La terapia è abbastanza semplice, ma di assai difficile attuazione. Occorre ripristinare, ovviamente su scala non più solo nazionale, quel governo politico dell'economia che è stato eroso in questi anni dalle scelte di globalizzazione e liberalizzazione, che hanno ridotto la politica economica alla dimensione di una manovra monetaria, operata dalle banche centrali al solo fine di perseguire quella stabilità dei cambi che hanno invece dimostrato di non essere più in grado di garantire. Occorre dunque cambiare i fini della politica economica, dando ad essa uno spessore più vasto, estendendola dalle semplici variabili monetarie a quelle, assai più importanti e strategicamente decisive di creazione di nuova occupazione, di nuove attività produttive, di nuova qualità della vita.
Questo è il solo modo possibile per ripristinare un efficace governo dell'economia, ma implica una correzione "ideologica" profonda, che sposti l'attenzione dal mercato alla politiche e sappia costruire una maggiore collaborazione e coesione a livello internazionale fra i vari governi. Il problema è però che stiamo andando proprio nella direzione opposta. Nonostante l'evidente pericolo di una crisi finanziaria globale, di una vasta recessione, di una destabilizzazione profonda dell'economia mondiale, su pressione degli Usa resta oggi come obiettivo centrale dell'Organizzazione Mondiale del Commercio, la totale liberalizzazione dei mercati finanziari mondiali. Ciò significa scherzare col fuoco.
Ma non si tratta solo dell'incoscienza di nuovi apprendisti stregoni: proprio sulla "disciplina del mercato" si gioca una profonda ridefinizione dei poteri economici e politici a livello mondiale, con l'emergere di nuove potenze (basti pensare alla Cina), ma anche con la restaurazione di quelle minacciate nel loro primato, come gli Usa, grazie al loro dominio tecnologico e finanziario sui mercati mondiali.. Il rischio è grande, ma, per alcuni, i vantaggi sono tali che vale dunque la pena di correrlo. Il conto viene poi addebitato, a piè di lista, ai lavoratori, con i tagli di occupazione, salario, salute e condizioni di vita. Tutto ciò è inaccettabile, ma la costruzione di una risposta efficace non è certo facile, perché deve tener conto di una situazione economica oggettivamente difficile e deve rimontare il peso di una cultura neoliberiste tuttora imperante, nonostante i disastri che ha determinato. Possiamo però approfittare dello spiraglio che si è aperto in Europa con la scelta della riduzione dell'orario in Italia ed in Francia, che ha infatti un valore più generale, di affermazione iniziale di una politica economica alternativa al neoliberismo ed al mercato, da proporre e generalizzare a livello europeo.