SENATO DELLA REPUBBLICA

XIII LEGISLATURA

N. 2222

DISEGNO DI LEGGE

d'iniziativa dei senatori MARCHETTI, MARINO, RUSSO SPENA,

ALBERTINI, BERGONZI, CAPONI, CARCARINO, CÒ, CRIPPA,

MANZI e SALVATO

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 13 MARZO 1997

Norma per l'esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani

non residenti nel territorio della Repubblica

Atti parlamentari Senato della Repubblica - 2222

XIII LEGISLATURA - DISEGNI Dl LEGGE E RELAZIONI - DOCUMENTI

ONOREVOLI SENATORI. - Il presente disegno di legge, presentato al Senato della Repubblica e, come proposta di legge, alla Camera dei deputati dai parlamentari appartenenti ai gruppi del partito della Rifondazione comunista, ha lo scopo di rendere possibile l'esercizio del diritto di voto per i cittadini italiani non residenti nel territorio della Repubblica, diritto rimasto, fino ad ora, sospeso, seppure affermato nella Costituzione.

Le ragioni di questa «sospensione» sono derivate dalle innumerevoli difficoltà oggettive che l'esercizio di tale diritto incontrava e incontra, le quali attengono soprattutto a tre fondamentali questioni:

1) alle caratteristiche peculiari dell'emigrazione italiana nel mondo (di proporzioni che non hanno confronto con l'emigrazione di alcun altro Paese);

2) al sostanziale abbandono al loro destino dei nostri emigranti da parte di tutti i Governi che si sono succeduti alla direzione del Paese, prima e dopo l'avvento della Repubblica;

3) alle trasformazioni cui, via via, è andata incontro l'emigrazione italiana con il trascorrere del tempo e il susseguirsi delle generazioni.

In particolare queste trasformazioni meritano una attenzione maggiore di quanta ne abbiano ricevuta nell'ultimo mezzo secolo, durante il quale le condizioni del mondo, e l'integrazione dei nostri connazionali negli altri Paesi, sono andate configurando una immagine dell'italiano all'estero, assai diversa dall'agiografica rappresentazione tramandata dai ricordi degli emigranti. In sostanza, pur permanendo molte «sacche» di disagio, l'antica figura dell'emigrante è andata sempre più stemperandosi, per lasciare il passo alla figura del cittadino integrato alla pari, sicché il principio della «cittadinanza» ha finito con il coincidere con quello della residenza. Oltretutto gli sviluppi della realtà nel pianeta- identificati con il termine convenzionale della «globalizzazione» - hanno posto sotto nuova luce concetti desueti come lo ius sanguinis, al quale ancora si collega la legge sulla cittadinanza italiana, e dal quale sono derivate conseguenze abnormi per i nostri connazionali (anche nel loro rapporto con gli Stati esteri) a tutte le latitudini.

Seppure la legislazione italiana sulla cittadinanza fa sì che il titolo di «cittadino italiano» una volta acquisito non debba più decadere anzi sia trasmesso ai discendenti, dovunque risiedano o ovunque siano nati, indipendentemente dal collegamento con la realtà italiana e dal rapporto che questi «cittadini» hanno con la patria italiana -, non si può non vedere che la ricaduta che si pretende di derivare dall'estensione macroscopica della «cittadinanza», secondo il cosiddetto «diritto del sangue», entra in conflitto con gli interessi e la sovranità degli Stati. L'esercizio dei diritti politici che si pretende di derivare in maniera automatica è diventato irreale e provoca conseguenze che rischiano di ritorcersi a danno di quegli emigranti italiani che - con una definizione quanto mai assurda, seppure divenuta di uso comune - si continua a considerare «una Italia fuori d'Italia».

I presentatori di questo disegno di legge si rendono ben conto di andare a toccare questioni che provocano la sensibilità di tanti emigrati, che risiedono da più generazioni a tutte le latitudini del mondo, i quali hanno sempre considerato, e considerano ancora oggi, l'Italia come la «madre-patria». Tuttavia, pur sapendo di toccare un «nervo scoperto», si ritiene essenziale, per le generazioni attuali e per quelle future, avviare un discorso culturale nuovo, corrispondente alla visione «globale» cui non si può sfuggire alle soglie del terzo millennio, quando non vi sarebbe nulla di più anacronistico che immaginare l'esistenza di una categoria di «italiani nel mondo» destinata al ruolo di «enclave italiana» in territorio straniero, cui spetti per diritto eterno la cittadinanza italiana, da tramandare ai figli dei figli, senza considerazione per la realtà nella quale vivono in un altro Paese, nei confronti del quale hanno contratto obblighi, doveri, cittadinanza, con tutte le conseguenze che ciò comporta.

È fuori dubbio - e sarebbe superfluo ripeterlo se non si fosse dinanzi a campagne speculative dettate dalla faziosità politica che deve essere ampiamente considerato il sentimento di tanti italiani che non vogliono dimenticare la terra di origine, per quanto gravi siano stati i torti subìti nel corso della loro esistenza, a partire dal più grande e doloroso che è consistito nell'essere costretti ad abbandonare la propria terra per cercare lavoro all'estero, pagando un pedaggio che, non a caso, è stato spesso definito un calvario, di cui le grandi stragi del lavoro esempio emblematico la miniera di Marcinelle - hanno segnato le tappe tragiche.

Proprio per il rispetto dovuto a questi nobili sentimenti, e per potere affermare a testa alta che il sacrificio di generazioni di emigranti non è stato vano, occorre valutare le questioni come si presentano alle soglie del Duemila, e non immaginarle come erano agli inizi del Novecento.

Nè, d'altra parte, sarebbe giusto tacere di fronte alla mistificazione di quanti pensano che il diritto di cittadinanza derivi dal prestigio del made in Italy.

Si tratta, ovviamente, di questioni diverse, e lontane le une dalle altre, che non hanno niente a che vedere con le questioni politiche e sociali che, oggi, sollevano i cittadini italiani emigrati all'estero. Anzi, a ben vedere, fare coincidere emigrazione e made in Italy, può forse giovare al commercio estero dell'Italia e ad una ristretta cerchia di cittadini italiani che vi sono coinvolti, ma può rappresentare un limite al diritto di piena cittadinanza conquistato da generazioni di emigranti nel Paese in cui hanno trovato una nuova patria.

L'idea più sbagliata che si può avere - ed è, in fondo, quella che ha fatto fallire per tanti anni i progetti del cosiddetto «voto all'estero» - è che si possa procedere, nel Parlamento italiano, all'approvazione di una legge che riguardi l'esercizio del diritto di voto degli italiani all'estero, senza preventivamente concordarne le modalità con gli Stati nei quali i connazionali risiedono. La mancanza di questi accordi, prima ancora che ledere la sovranità di altri paesi, mettendo la Repubblica italiana in conflitto con gli altri Stati, nuocerebbe ai nostri connazionali per i quali si dice di rivendicare il diritto di voto. D'altra parte, è ben noto che l'obiezione più sostanziale e vera all'esercizio del diritto di voto degli italiani all'estero, viene dalle autorità degli altri Stati, alcuni in forma esplicita, altri in forma più nascosta. Ancora recentemente i rappresentanti ufficiali di alcuni Paesi di grande emigrazione italiana hanno fatto conoscere le loro obiezioni di fronte ai propositi enunciati da alcune forze politiche in questo Parlamento.

O si affronta questa questione, oppure non vi sarà soluzione giusta e democratica alla tanto discussa questione del voto degli italiani all'estero.

Per questa ragione, i gruppi di Rifondazione comunista al Senato della Repubblica e alla Camera dei deputati, hanno posto a fondamento del progetto di legge che presentano all'esame del Parlamento l'esigenza di accordi diplomatici tra la Repubblica italiana e gli Stati di residenza dei connazionali considerati potenziali elettori. Questi accordi devono essere negoziati singolarmente con ogni Paese, così come è stato fatto, a suo tempo, per consentire il voto in loco per il Parlamento europeo nei Paesi della Comunità europea. Gli accordi dovranno essere ratificati dal Parlamento, e nel caso qualcuno di essi non fosse approvato dovrebbe essere rinegoziato, senza per questo fare decadere la possibilità di esprimere il voto all'estero nei Paesi in cui gli accordi siano risultati soddisfacenti.

Ovviamente non può prendersi in considerazione l'idea quanto mai assurda delle cosiddette «circoscrizioni all'estero» o della «circoscrizione estera», con la quale si configura una distribuzione geografica dell'elettorato potenziale, sì da equiparare gli Stati sovrani a una regione del territorio nazionale, con la conseguenza di provocare le legittime rimostranze degli altri Stati, e non giovando alla causa dei diritti dei nostri connazionali cui si dice di volere contribuire.

Peraltro, se questo principio dovesse mai essere accolto, provocherebbe una insanabile incompatibilità con la visione costituzionale della rappresentanza nazionale. Difatti chi lo sostiene presuppone che i votanti all'estero, oltre al diritto di voto, abbiano anche il diritto ad una rappresentanza parlamentare distinta e separata da quella dei connazionali residenti in patria. La qual cosa, oltretutto, farebbe considerare una parte degli eletti - chiamati dalla Costituzione a rappresentare la nazione e ad esercitare le loro funzioni senza vincolo di mandato (articolo 67) - come un «corpo separato», essendo rappresentanti di una parte retoricamente, e impropriamente, chiamata «Italia fuori d'Italia».

Da queste considerazioni discende la scelta fatta da Rifondazione comunista con la presente proposta, affinchè il voto degli italiani non residenti nel territorio della Repubblica sia considerato parte integrante del voto della circoscrizione di origine dell'elettore sul territorio nazionale, cui le schede votate presso i seggi nei consolati all'estero saranno fatte pervenire nelle forme stabilite del plico diplomatico sigillato (tramite i Ministeri degli affari esteri e dell'interno) in tempo utile per essere scrutinate insieme alle schede votate dagli elettori residenti nella circoscrizione medesima.

Insieme alle moltissime altre considerazioni che impongono una attenta considerazione dei rapporti tra gli Stati, la presente proposta indica l'esigenza di una seria riflessione sugli aventi diritto al voto tra i cittadini non residenti nella Repubblica.

In sostanza la domanda a cui si deve rispondere è la seguente: dovranno essere considerati titolari del diritto di voto tutti coloro che usufruiscono del titolo di «cittadini» (come prevede l'articolo 48 della Costituzione)? Oppure le condizioni di «integrazione» all'estero e le avvenute estensioni della possibilità di acquisire la cittadinanza italiana per i residenti all'estero impongono una rigorosa selezione e, al tempo stesso, l'identificazione di limiti legislativi per quanto attiene l'esercizio dei diritti politici? Così pure per il tipo di elezioni nelle quali tali diritti politici possono essere esercitati: ad esempio, il presente disegno di legge ritiene che l'esercizio del diritto di voto per i non residenti nella Repubblica debba limitarsi alle elezioni politiche italiane ed europee (Camera, Senato, Parlamento europeo), escludendo le elezioni comunali, provinciali, regionali e i referendum.

Il presente disegno di legge (articolo 3) parte dal principio che, nonostante si possa acquisire la cittadinanza italiana senza avere alcun legame, sociale, culturale, politico, storico con l'Italia - magari senza avere mai visitato l'Italia essendo nato e vissuto all'estero, spesso senza conoscerne la lingua oltre che il territorio - questo non possa e non debba produrre automaticamente l'acquisizione dei diritti politici in Italia. Tacere su questo fondamentale principio sarebbe una ipocrisia imperdonabile, oltre che un errore e una colpa politica e una violazione di ogni principio di legalità e di uguaglianza di fronte alla legge e alle norme che regolano internazionalmente i rapporti tra gli Stati.

Per questa ragione la proposta presentata da Rifondazione comunista indica i limiti all'acquisizione del diritto di voto, peraltro prevedendo termini molto meno restrittivi di quelli posti dagli altri Paesi per i loro cittadini residenti all'estero: saranno esclusi dal voto gli espatriati da oltre diciotto anni, che non abbiano soggiornato in Italia per almeno tre mesi (anche in periodi non consecutivi) negli ultimi dieci anni; così pure coloro i quali abbiano acquisito la cittadinanza italiana in seguito a matrimonio con una connazionale all'estero; infine coloro i quali siano nati all'estero da genitori (o da un genitore) italiani.

Per quanti godano dello status di «doppia cittadinanza», il «voto italiano» preclude il voto nel Paese di residenza, e presuppone, perciò, un'opzione dell'interessato (oltre la regolamentazione attraverso gli accordi tra la Repubblica italiana e gli altri Stati), allo scopo di fare coincidere doveri e diritti tra il cittadino e lo Stato stesso (servizio militare, fisco, scuola, lavoro, previdenza, e così via).

Il disegno di legge esamina anche la particolare condizione dei marittimi italiani, escludendo che possano esercitare il diritto di voto a bordo delle navi nel corso della navigazione, in quanto vengono a mancare le elementari condizioni della libertà e della segretezza del voto, essendo la nave proprietà privata dell'armatore dal quale l'elettore dipende come marittimo.

Viene affermato, inoltre, il diritto per gli elettori e le elettrici italiani residenti all'estero di scegliere di rientrare in patria per esprimere il proprio voto. In questo caso devono essere create le condizioni affinchè l'elettore o l'elettrice non debbano sopportare oneri finanziari di alcun tipo per raggiungere la località del voto nel territorio della Repubblica e per fare ritorno nella località di residenza all'estero.

Da questa impostazione generale ben si comprende che il metodo per l'esercizio del diritto esclude il voto per corrispondenza o per procura, presuppone il voto in appositi seggi istituiti presso i consolati d'Italia all'estero, ritenendo una conquista irrinunciabile quanto è stato scritto nell'articolo 48 della Costituzione della Repubblica: «Il voto è personale ed eguale, libero e segreto».

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

1. I cittadini italiani non residenti nel territorio della Repubblica, che hanno i requisiti per essere elettori ai sensi delle vigenti disposizioni di legge, esercitano il diritto di voto per le elezioni del Senato della Repubblica, della Camera dei deputati e del Parlamento europeo, presso le sedi consolari dell'Italia all'estero, previo accordo tra la Repubblica italiana e gli Stati in cui i cittadini risiedono.

Art. 2.

1. Il Governo stipula accordi con gli Stati di cui all'articolo 1, allo scopo di assicurare le operazioni elettorali, di voto, e lo svolgimento della campagna elettorale dei singoli partiti e candidati, stabilendone la compatibilità tra le norme vigenti nel territorio degli altri Stati e i princìpi fissati dall'articolo 48 della Costituzione.

2. La ratifica degli accordi stipulati tra la Repubblica italiana e gli altri Stati è autorizzata da parte del Parlamento, almeno un anno prima dello svolgimento delle elezioni cui si riferiscono.

3. La mancata autorizzazione alla ratifica da parte del Parlamento rende nullo l'accordo stesso; in tale caso esso deve essere rinegoziato, oppure le disposizioni della presente legge restano inoperanti per il solo Paese al quale l'accordo fa riferimento.

Art. 3.

1. Si devono considerare elettori, con diritto di esercitare il voto nei seggi istituiti all'estero presso le sedi consolari italiane, i cittadini italiani che hanno trasferito il loro domicilio o hanno stabilito la loro residenza all'estero, anche temporaneamente, ed a qualsiasi titolo, purchè risultino regolarmente iscritti nelle anagrafi dei cittadini italiani residenti all'estero (AIRE) e nelle liste elettorali del comune di origine, o di ultima residenza nel territorio della Repubblica, almeno sei mesi prima della data di svolgimento delle elezioni per il Parlamento italiano o per il Parlamento europeo.

Art. 4.

1. Sono esclusi dall'esercizio del diritto di voto presso le sedi consolari italiane all'estero, come previsto dall'articolo 3:

a) coloro i quali sono espatriati da oltre diciotto anni e non sono in grado di dimostrare, o attraverso l'esibizione del passaporto personale o con dichiarazione rilasciata dal sindaco del comune di origine o di residenza in Italia, di avere risieduto nel territorio della Repubblica per almeno tre mesi, anche non continuativi, negli ultimi dieci anni;

b) coloro i quali, avendo acquisito la cittadinanza italiana in seguito a matrimonio contratto con cittadini di nazionalità italiana, o essendo nati all'estero da genitori, o da un solo genitore, italiani o di origine italiana, non dimostrano, attraverso l'esibizione del passaporto personale o con dichiarazione rilasciata da due testimoni e autenticata dal sindaco del comune ove hanno soggiornato, di avere risieduto nel territorio della Repubblica per un periodo di almeno tre mesi, anche non continuativi, negli ultimi dieci anni.

Art. 5.

1. Lo status di doppia cittadinanza preclude il diritto di voto per le elezioni politiche italiane, se non diversamente stabilito dall'accordo tra la Repubblica italiana e lo Stato di residenza del cittadino, di cui agli articoli 1 e 2. Comunque, e in ogni caso, deve essere attestata presso l'autorità diplomatica italiana all'estero e, contemporaneamente, presso l'autorità del Paese di residenza, l'opzione del titolare del diritto di voto a favore del voto per elezioni riguardanti l'Italia, che esclude il voto politico nel Paese di residenza e viceversa.

2. La medesima procedura di cui al comma 1 deve essere applicata per la elezione del Parlamento europeo nei confronti dei cittadini con doppia cittadinanza residenti nei Paesi comunitari. Per i cittadini residenti nei Paesi extracomunitari non è consentita l'opzione di cui al medesimo comma 1, qualora non esista accordo in tal senso tra l'Unione europea e il Paese di residenza del cittadino titolare del diritto di voto.

Art. 6.

1.Gli elettori che, pur risiedendo all'estero, intendano esercitare il loro diritto di voto in Italia, possono farlo presso una sezione elettorale della circoscrizione di origine o di ultima residenza in Italia, nelle cui liste elettorali sono iscritti ai sensi dell'articolo 3.

2. Il rimpatrio degli elettori di cui al comma 1 e il loro ritorno al Paese di residenza all'estero non deve comportare oneri finanziari a loro carico.

Art. 7.

1. I marittimi italiani che si trovano all'estero alla data delle elezioni politiche italiane, o per il Parlamento europeo, e sono in possesso dei requisiti richiesti per essere elettori, possono esercitare il loro diritto di voto presso il seggio elettorale della sede consolare italiana più prossima al porto nel quale sono sbarcati.

2. È escluso l'esercizio del diritto di voto a bordo delle navi in navigazione.

Art. 8.

1. L'esercizio del diritto di voto da parte dei cittadini italiani residenti all'estero deve essere finalizzato alla rappresentanza unitaria della nazione, e non può dare luogo ad una rappresentanza diversa o separata da quella eletta dai cittadini residenti in Italia. Il voto dei cittadini italiani residenti all'estero è considerato parte integrante del voto espresso nella circoscrizione italiana nelle cui liste elettorali tali cittadini sono iscritti; gli eventuali eletti rappresentano la nazione ed esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato, anche se non residenti nel territorio della Repubblica, come stabilito dall'articolo 67 della Costituzione.

Art. 9.

1. Presso ogni comune sede di ufficio elettorale circoscrizionale è istituita la lista elettorale dei cittadini italiani residenti all'estero originari della circoscrizione, o ivi residenti prima dell'espatrio. Nel caso previsto dalle lettera b) del comma 1 dell'articolo 4 la legge fa riferimento alla residenza del cittadino italiano che ha originato il diritto.

Art. 10.

1. L'iscrizione nell'elenco degli elettori della circoscrizione dà diritto a ricevere il certificato elettorale tramite il consolato italiano sotto la cui giurisdizione territoriale risiede il cittadino all'estero.

2. L'elenco degli elettori di ogni circoscrizione deve essere fornito agli uffici consolari italiani tramite il Ministero degli affari esteri, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, e comunque non oltre il trecentosessantacinquesimo giorno antecedente la data delle elezioni. L'elenco degli elettori deve essere posto a disposizione del Consiglio generale degli italiani all'estero (CGIE) e dei Comitati dell'emigrazione italiana (COEMIT), affinchè gli interessati possano prenderne visione e chiedere in tempo utile la correzione degli eventuali errori, o le necessarie modificazioni anagrafiche.

Art. 11.

1. L'osservanza delle norme stabilite all'articolo 4 è demandata alla responsabilità degli uffici elettorali circoscrizionali cui spetta la compilazione della lista degli elettori.

2. L'osservanza delle norme di cui all'articolo 5 compete ai Ministeri degli affari esteri e dell'interno, cui spetta la tempestiva comunicazione agli uffici circoscrizionali dei dati necessari per la compilazione delle liste degli aventi diritto al voto.

Art. 12.

1. I certificati elettorali che danno diritto all'esercizio del voto devono pervenire al cittadino avente diritto al voto, entro e non oltre il sessantesimo giorno antecedente alle elezioni, tramite l'ufficio consolare presso il quale è istituito il seggio.

2. Ogni e qualsiasi contestazione deve essere rivolta agli uffici elettorali circoscrizionali, tramite i COEMIT e le autorità diplomatiche e consolari italiane.

Art. 13.

1. Presso ogni ufficio consolare italiano all'estero sono istituiti uno o più seggi elettorali in ragione di un seggio ogni mille elettori.

Art. 14.

1. Il voto è esercitato dal titolare del diritto, in forma diretta e personale; l'identità

dell'elettore è accertata dal presidente del seggio cui l'elettore deve presentare il passaporto italiano unitamente al certificato elettorale.

Art. 15.

1. Ogni seggio elettorale è costituito da un presidente e da non meno di due scrutatori, nominati dai COEMIT in accordo con l'autorità consolare italiana, oltre ad un rappresentate di ogni lista in competizione designato dal presidente su indicazione del COEMIT.

Alt. 16.

1. Le operazioni di voto di cui alla presente legge devono svolgersi la domenica antecedente a quella fissata per l'esercizio del voto nel territorio della Repubblica.

Art. 17.

1. Al termine delle operazioni di voto le schede e i verbali dei seggi sono trasmessi, per via diplomatica, in appositi plichi sigillati, al Ministero degli affari esteri e, da questo, al Ministero dell'interno che procede alla trasmissione dei plichi, ancora sigillati, ai rispettivi uffici circoscrizionali.

2. Gli uffici circoscrizionali provvedono affinchè le schede siano inserite nelle rispettive urne prima di dare inizio alle operazioni di voto sul territorio nazionale.

3. La eventuale manomissione dei sigilli provoca l'annullamento del contenuto dei plichi pervenuti dall'estero, cui provvede il capo dell'ufficio elettorale circoscrizionale, dandone atto in un verbale sottoscritto dai rappresentanti di ogni lista in competizione e ponendo nuovi sigilli ai plichi che sono posti a disposizione dell'autorità giudiziaria per i provvedimenti del caso.

Alt. 18.

1. Per le modalità tecniche delle operazioni elettorali non previste dalla presente legge il Governo è delegato ad adottare un apposito regolamento. Al Governo spetta, altresì, la responsabilità della vigilanza affinchè le norme previste dalla presente legge e, in particolare dagli articoli 4, 5, 6 e 7, siano pienamente rispettate e applicate.

Art. 19.

1. La regolamentazione delle forme e dei modi della propaganda elettorale deve essere stabilita sulla base degli accordi tra gli Stati di cui all'articolo 2. La RAI-Radiotelevisione italiana Spa è tenuta ad assicurare nei programmi per l'estero parità di condizioni a liste, partiti e candidati.

Art. 20.

1. Agli oneri finanziari derivanti dall'attuazione della presente legge si fa fronte, per il 1997, con gli stanziamenti iscritti sui competenti capitoli del bilancio dello Stato.