TELECOMUNICAZIONI COLONIZZATE

40 mila occupati in meno, l’effetto delle strategie ATT negli USA

Nico Perrone

Liberazione 28 settembre 1997

I quotidiani d’informazione lo hanno considerato una sorta di bollettino della vittoria: "Scambio azionario Telecom - AT&T". Dal punto di visto formale, e a voler rappresentare l’operazione con un pizzico di superficialità, e forse di cattiva fede, le cose potrebbero apparire così.

La sostanza però è molto diversa. Soprattutto se si fa caso a quanto contemporaneamente avviene in un paese a noi vicino, ove la France Télécom, per disposizione legislativa, resterà controllata dallo stato con una quota non inferiore al 51 per cento del capitale (la privatizzazione in corso è stata limitata dal governo Jospin a circa il 20 per cento delle azioni).

Con l’operazione annunciata in Italia, la privatizzazione sarà invece totale. Ma soprattutto si attuerà una significativa presenza di capitale e di potere stranieri nella maggiore società di telecomunicazioni italiana. Sia con la AT&T, sia con la Unisource le trattative hanno avuto per oggetto soprattutto la garanzia di posti nel consiglio di amministrazione. Ma anche gli altri gruppi stranieri, che con ogni probabilità entreranno nel capitale della Telecom Italia - la americana GTE, la banca d’affari elvetico-americana Crédit Suisse-First Boston e un fondo d’investimento americano - otterranno qualche rappresentanza nell’organo di gestione della società.

Lo scambio di pacchetti azionari fra la AT&T e la Telecom Italia, sarà dello 1,2 per cento per il colosso americano nella società italiana, e di meno dello 0,5 per cento - senza rappresentanza nel consiglio d’amministrazione - per la società italiana in quella americana. Che a questo si sia giunti per sollecitazione italiana, viene a sottolineare la posizione di sottomissione nella quale il governo ha cacciato il nostro paese. Se poi si considera che la AT&T ha subordinato questo scambio alla definizione delle trattative per un accordo industriale complessivo, il quadro si fa ancora più allarmante.

Nulla si sa del contenuto di queste trattative, ma i precedenti, sperimentati in altri paesi, indicano che gli interessi della AT&T potrebbero essere quello di vendere prodotti e tecnologie statunitensi, per accrescere la dipendenza delle società partecipate all’estero; quello di mettere le mani sul cospicuo pacchetto di accordi all’estero realizzati dalla Telecom Italia; quello di introdurre la preferenza per un’utenza di élite nello sviluppo dei servizi; quello di imporre una politica commerciale internazionale che subordini gli interessi delle società straniere a quelli della società americana, riproponendo anche le forme di embargo indicate dal governo americano. A parte i rischi sulla politica del personale, ove per incrementare i profitti, ci si devono attendere spinte verso la precarizzazione e il taglio degli organici: analogamente a quanto la AT&T sta praticando negli Stati Uniti, ove ha attuato 40 mila licenziamenti fra il 1993-95 e altri ne tiene in programma.

Da parte americana è giusto quindi parlare - sono espressioni di Dan Somers, direttore finanziario della AT&T - di "una grande pietra miliare nella strategia globale" della società, mentre da parte italiana, a parte lo sperpero scellerato di una risorsa strategica, si conferma la carenza di un piano delle telecomunicazioni imperniato sugli interessi di sviluppo del paese, e non su quelli del profitto di privati azionisti.