Il militarismo turco minaccia la fragile pace nel Mediterraneo

Luigi Vinci

(eurodeputato Prc)

Liberazione 16 dicembre 1997

Il Consiglio Europeo (la riunione, per prassi semestrale, dei capi di stato e di governo dell'Unione Europea) nei giorni scorsi a Lussemburgo ha risposto nuovamente in modo ambiguo alla richiesta della Turchia di entrare nell'elenco dei paesi che nei prossimi tempi entreranno nell'Unione Europea. Il primo ministro turco Yilmaz se ne è dunque andato sbattendo la porta.

I motivi per i quali il Consiglio Europeo non riesce a rispondere positivamente alle pressioni turche, nonostante il fortissimo appoggio ch'essi hanno tanto dagli Stati che da gran parte del capitalismo europeo, sono eterogenei, cioè alcuni inaccettabili e altri invece giustissimi. Questi ultimi si riferiscono a come in Turchia ci sia solo una parvenza di democrazia e di diritti civili, si pratichi la tortura contro i detenuti politici e continuino i massacri e le deportazioni della popolazione kurda, le incursioni militari in Iraq e l'occupazione stabile di una parte di questo paese.

Fu già inaccettabile, per questa situazione, che l'Unione Europea firmasse un anno fa con la Turchia un accordo di unione doganale, ed è ancor più inaccettabile che quest'anno lo abbia confermato. Infatti nel frattempo la Turchia si è ben guardata dal rispettare le condizioni - democratizzazione, rispetto dei diritti della popolazione kurda fine della guerra a essa e delle incursioni in Iraq - stabilite dall'Unione Europea per la conferma dell'unione doganale.

E' possibile, ora, assolutamente tutto, nei rapporti prossimi venturi tra Unione Europea e Turchia, e non solo su questo terreno.

La Turchia ha recentemente posto all’Unione Europea una sorta di ultimatum, che suona sostanzialmente così: o date rapidamente una risposta positiva alla mia richiesta di entrata, oppure rinuncerò alla richiesta, non prenderò parte alla prossima Conferenza europea - alla quale dovrebbero partecipare i paesi dell’Unione Europea, i paesi candidati a entrarvi e anche la Turchia - e adotterò ritorsioni.

Ritorsioni economiche, pazienza. Ma la Turchia è governata assai più dal fucile che dalla politica, e i militari turchi hanno sempre mostrato di ricorrere alla guerra quando lo ritenessero utile, magari per rendere ancor più malleabili i loro interlocutori. Lo dimostra la stessa vicenda dell’accordo di unione doganale con l’Unione Europea: la Turchia ha vissuto l’ottenimento di quest’accordo come espressione di debolezza da parte dell’Unione Europea e quindi, anziché ottemperare alle condizioni poste dall'Unione Europea per la sua conferma, ha continuato come prima e peggio di prima a opprimere la sua popolazione e a macellare i kurdi. Avendo visto perfettamente giusto: infatti l'Unione Europea non ha sospeso l'unione doganale.

Dunque dove la Turchia, in parte come rappresaglia e in parte come pressione sull’Unione Europea potrebbe prossimamente agire con mezzi militari? La risposta è: a Cipro. La Turchia occupa militarmente il 37% della superficie di Cipro, e vi ha stabilito, dopo averne espulso la popolazione di lingua greca, un governo turcocipriota, che la comunità internazionale, com'è noto, non riconosce. Cipro è un paese candidato all'entrata nell'Unione Europea.

La Turchia nelle scorse settimane ha dichiarato che, qualora il negoziato tra Unione Europea e Cipro non avesse coinvolto i rappresentanti della parte di Cipro ch'essa occupa, avrebbe proceduto alla sua annessione. Ma al tempo stesso, per indicazione turca, i rappresentanti turco-ciprioti hanno posto all'Unione Europea, per la loro partecipazione al negoziato, la condizione inaccettabile del loro riconoscimento come legittimo governo.

E' chiaro quindi che la Turchia ha usato la questione cipriota come merce di scambio: la durezza della posizione turco-cipriota cioè verrebbe meno qualora l'Unione Europea consentisse all'entrata della Turchia. Ed è chiaro che, in questa logica, e ritenendo la Turchia di dover alzare il tiro, Cipro potrebbe esserne ancora vittima.

Il governo cipriota, consapevole dell'addensarsi di nubi assai fosche all'orizzonte, ha recentemente acquistato missili russi antiaerei, che sono in viaggio. E la Turchia ha appena dichiarato che si riserva di bombardare le installazioni di questi missili. Non manca neppure, dunque, il possibile casus belli. Non è d'altro canto neppure impossibile, alla fine, una nuova transazione, cioè un altro rinvio. Ma è meno facile di ieri inventarsene la ragione. Inoltre tra qualche mese saremmo da capo.

La settimana scorsa si è tenuta a Nicosia una riunione congiunta tra il Gue-Ngl - il gruppo parlamentare europeo del quale Rifondazione comunista è parte - e l'Akel, cioè i comunisti ciprioti che sono il principale partito del loro paese. Questa riunione ha lanciato un grido di allarme. Un nuovo conflitto può aggiungersi a breve ai molti che continuano a travagliare il Medio Oriente. Esso potrebbe coinvolgere direttamente l’Unione Europea, quindi il nostro paese. Occorre prevenirlo. Ci sono solo due possibilità in questo senso: la prima, cedere alle richieste e alla protervia turca; la seconda, fare ben presente alla Turchia, e segnatamente ai suoi governanti e ai suoi militari, che non gliene verrà niente di buono ma solo enormi guai. La prima strada, com'è chiaro, è impraticabile da chiunque sia dotato di un minimo di decenza. Ma per la seconda strada occorre agire subito.