Un freno al mercato Le correnti riformiste sono in tutto il mondo favorevoli ad un intervento dello stato nelleconomia, tranne che in Italia Nico Perrone |
Liberazione 8 ottobre 1997
Il discorso sullIRI ma, più in generale sulla funzione dello stato nelleconomia, è antico, e resta attuale anche durante una tempesta di privatizzazioni come quella che stiamo vivendo. Su di esso si sono misurate - e scontrate -, come ancora oggi avviene, posizioni ideologiche diverse.
Per semplificare, si può dire che le correnti riformiste sono state e sono favorevoli, in tutto il mondo - Stati Uniti compresi - a qualche funzione imprenditoriale dello stato, e spesso lo sono ancora (si veda Jospin in Francia, ma non solo), tranne che in Italia. I cattolici di questa funzione dello stato fecero una bandiera, dal convegno dei laureati di Azione Cattolica di Camaldoli (1943) ai determinanti interventi sulla parte economica della nostra Costituzione. I comunisti del PCI (ma si ricordi la tardiva autocritica di Amendola) rispetto a essa furono guardinghi, o contrari, perché la ritenevano una soluzione ibrida che contrastava con le nazionalizzazioni dei loro comizi di allora, e conduceva alla costituzione di organismi dai quali sarebbe derivato maggior potere per i partiti di governo: ma fu conseguenza anche di quel loro atteggiamento, la completa esclusione delle sinistre dalla gestione dellENI, dellIRI, dellENEL e, su un piano programmatico e funzionale diverso, della Cassa per il Mezzogiorno.
Certo è che lIRI - nel dopoguerra era il più rilevante, per certi versi lunico, se non si considerano le ferrovie e lINA, strumento di coordinamento dello stato imprenditore - dovette subire attacchi molto forti da parte della diplomazia degli Stati Uniti, la potenza egemone della coalizione uscita vittoriosa dalla guerra. Al governo italiano, negli anni che vanno fra la seconda metà degli anni 40 e la prima metà degli anni 50, si chiedeva infatti di smantellare lIRI in quanto ente pubblico e di metterne le quote sul mercato, in modo da creare le premesse per una liberalizzazione del sistema economico che avrebbe consentito anche ai capitali stranieri lingressso nei settori strategici del nostro apparato produttivo. E si chiedeva, in modo ancora più perentorio, di non lasciare sotto il controllo dello stato lindustria petrolifera italiana (dapprima lAGIP, ma dopo il 1953 anche lENI di Mattei).
Allora governava De Gasperi, molto ligio - per paura del dilagare del comunismo - ai voleri degli Stati Uniti. Tuttavia proprio De Gasperi, e con lui tutta la Democrazia Cristiana, seppe resistere alle forti pressioni americane, che arrivarono a minacciare persino il ritiro degli aiuti economici. Il progetto americano si sta realizzando pienamente, invece, in questi anni di post-DC, e col riformismo nostrano assurto a responsabilità di governo.
Proprio un economista americano, Samuelson, pur muovendosi in un orizzonte sostanzialmente di mercato, ha ricordato (Corriere della sera, 7 ottobre) che, accanto a certi tagli che il mercato sollecita, va conservata qualche funzione dello stato nelleconomia, per salvaguardare alcuni irrinunciabili istituti di welfare. Ebbene, negli anni che seguirono la crisi del 1929, la funzione imprenditoriale dello stato fu riconosciuta persino negli Stati Uniti, attraverso la costituzione di holding con capitale pubblico - come la Tennessee Valley Authority -, come propulsiva in quei limitati progetti di welfare che furono avviati in America.
Quando si parla dellIRI (avevo avanzato il problema su Liberazione, 10 dicembre 1996 e 12 settembre scorso), si pensa a una sua nuova funzione - da realizzare attraverso la cooperazione con i privati - rispetto alla formazione, alloccupazione, alla progettazione e alla realizzazione di infrastrutture, alla gestione di fondi strutturali, allutilizzazione dellambiente, dei beni culturali e delle università. Lo stesso Ciampi (4 marzo 1997) ha riconosciuto necessaria tale funzione dellIRI: "Potrà avere un futuro nel Sud e nella progettazione". In termini perentori devono essere fissate però alcune condizioni: ammontare degli investimenti, trasparenza di gestione, ritorno in termini di utili e occupazione. Così lIRI potrebbe anche costituire un argine, sia pur minimo (una dimensione che persino Samuelson riconosce necessaria), contro un dominio del mercato che, per sua stessa natura, non può farsi carico di problemi occupazionali e di sviluppo di aree svantaggiate.