Vita da immigrato: tra sporcizia, prediche e schedature

Visita al campo Orsa Maggiore

Nico Perrone

Liberazione 24 maggio 1997

Cassano delle Murge, Bari. Il campo "Orsa Maggiore" è una struttura fatiscente. Doveva servire per alloggiarvi le tende di modesti vacanzieri. I servizi, sin dall’origine, erano ridotti all’osso: dieci cessi, un lavatoio con qualche doccia, una piscina ormai fuori uso, uno sterrato senza verde.

Ora che il gestore del campeggio è fallito, ci hanno assiepato un po’ più di 400 albanesi (durante l’esodo del 1991 ce ne avevano messi 1.200). Nella sala che doveva servire alle riunioni e alla mensa, hanno buttato per terra dei materassi di gommapiuma, in buona parte sfondati, e ci hanno ristretto le donne e i bambini più piccoli: senza una sedia, senza un armadietto, con le poche masserizie per terra. Gli uomini e le famiglie con figli più grandi sono in grandi tende, sporche e piene di buchi.

Il riscaldamento ora non serve più, ma quando serviva non c’era. La vista dei cessi è raccapricciante: gli scarichi sono rotti, la puzza indescrivibile. Un sacerdote della Chiesa Avventizia del 7° Giorno - che accompagna nella visita l’on. Maria Celeste Nardini e me - dichiara che "l’organizzazione non risponde di cessi, pulizia e disciplina". E aggiunge che sarebbero stati gli stessi albanesi a spaccare rubinetti e servizi igienici. Manca il telefono.

L’organizzazione è affidata alla ADRA-OSA (Opera Sociale Avventizia) e, a dire della nostra guida, al ministero questo sarebbe "considerato il campo migliore". Il sacerdote e i suoi collaboratori distribuiscono qualche spazzolino da denti, qualche spuma da barba, sapone liquido, magliette e pantaloni, ma sono pronti a intavolare tremente discussioni se qualcuno viene sospettato di chiedere un secondo paio di scarpe.

Ogni giornata al campo giornata si conclude con un sermone del sacerdote, nel quale vengono propinate considerazioni morali, si commentano gli episodi della giornate e si pretende di avanzare conclusioni.

In una stanzetta alcuni carabinieri, in divisa e in borghese, con l’aiuto di una donna albanese che conosce l’italiano, prendono impronte digitali e dati anagrafici a una lunga fila di donne e uomini persone che aspettano fuori, in piedi, sotto qualsiasi tempo. Riescono a sbrigarne 40 o 50 al giorno. Dicono che solo 3 su 10 sono provvisti di passaporto, che gli altri documenti non vengono ritenuti attendibili e che alcuni sono del tutto sprovvisti di attestazioni d‘identità.

Una giovane madre, con due occhi nei quali si legge la sofferenza, ci ringrazia di essere venuti e accenna a un saluto.