"Il dito nell'occhio"

Lettera aperta a Michele Serra

Nichi Vendola

Liberazione 8 dicembre 1998

Caro Michele, è pur vero che gli anni passano, le mamme invecchiano, e le nostre chiome cominciano a inargentarsi (non quella di Sandro Curzi...).

È pur vero che l'incedere fatale del tempo stempera le passioni, ci aiuta a correggere gli estremismi adolescenziali, ci educa alla grammatica della pazienza.

È pur vero che, raggiunta e superata l'età della ragione, ci piace contemplare allo specchio l'icona severa anche se icastica della nostra maturità moraleggiante.

Sì, caro Michele, tutto vero: ma tu ora cominci ad esagerare.

La tua vena, brillante come uno smeraldo, ha smesso da tempo di essere l'acido muriatico della satira contro i potenti.

Ora, quando ti leggo, le mie narici sentono profumo di varechina: quella tua prosa arguta si posa sulla pagina dell'"Unità" come uno smacchiatore, tu togli l'unto a una politica malata di compatibilità. Hai perso lo smalto del corsaro rosso, ti atteggi a grillo parlante dell'Italia normale.

È come se avesse smesso di pompare quel tuo "Cuore" che batteva contro, e le tue risorse di "Male" le vai dissipando in polemiche da benpensante. Se mi distraggo, certi tuoi corsivi mi sembrano scritti da Indro Montanelli. Insomma, dove è finito il Michele Serra che abbiamo amato come un novello Fortebraccio, incazzato e divertente, eretico e militante, fresco come un bocciolo e cristallino come un bimbo?

Ci raccontavi, ogni giorno, che il Re era nudo: ora lavori in sartoria, cuci abiti per le impudiche nudità dei nuovi Principi, e non frequenti più né fiabe né utopie.

Sei diventato monarchico? Capisco che scrivi per chi oggi scopre le polizze di assicurazione come rimedio per le calamità naturali, per chi ama portare fiori alle tombe delle "belle bandiere" ridotte, appunto, a corredo funerario, per chi trova ispirazione politica nell'Ovest dei cow-boys.

Ma tu eri un'altra cosa, surreale come Totò e acuminato come una lama. Eri bello come un comizio proletario, rumoroso come un petardo, cattivo come Catullo. Ora sei triste come Forattini.

Quoque tu, dolce e irriconoscibile Michele? Con l'ugola stridula e lo sguardo ieratico di un bigotto, una sorta Savonarola a buon mercato, sermoneggi sugli studenti in lotta definendoli come una guapperia plebea e facinorosa.

Non credo ai miei occhi. Pure il "Corriere della Sera" bacchetta queste tue amenità reazionarie.

E nella tua polemica salottiera divori come un cannibale decenni di movimento, di speranze, di trasgressioni.

È un cupio dissolvi che lascia senza fiato.

C'è una canzone che dice: "sei diventato vecchio e non adulto". Carissimo Michele, la canterò per te.