Comitato Politico Nazionale 28-29 novembre 1998 Gli interventi - 1 Enzo Minervini, Livio Maitan, Stefano Cristiano, Marco Ferrando, Milziade Caprili, Citto Maselli, Raul Mordenti, Roberto Musacchio, Domenico Iervolino, Raffaello Renzacci, Franco Grisolia, Gennaro Migliore |
Enzo Minervini
Il carattere di straordinarietà del congresso è dato dal fatto che scegliendo di rompere la maggioranza del governo Prodi in nome degli interessi dei nostri referenti sociali e di classe, e privilegiando ciò alla compatibilità del quadro politico, noi abbiamo compiuto un atto concreto del processo di Rifondazione e saltato un crinale dal quale è difficile tornare indietro. La scelta che abbiamo fatto ci pone oggi come unica forza organizzata in partito capace di esprimere e trasformare in politica un punto di vista critico sullo stato di cose esistente. Sia chiaro: non Siamo gli unici a esprimere criticità sul capitalismo, sulla società, sul pensiero unico, sarebbe puro settarismo pensarlo, dico che siamo l'unica forza organizzata in partito. Questa unicità fa di noi uno strumento prezioso per la classe, per la sinistra, e ci assegna il ruolo politico centrale: dare voce e trasformare in politica i bisogni, le culture, le alienazioni che oggi condannano milioni di persone a una condizione di disagio e infelicità. Costruire un partito che a partire dal peculiare punto di vista critico della sinistra comunista sia capace di aprirsi e contaminarsi con altre culture: dalla concezione della democrazia radicale storicamente agita in Italia dalla sinistra del Partito d'Azione, fino all'ambientalismo, al femminismo ed alla critica dello sviluppo agitata anche da frange del mondo cattolico. Non siamo ancora attrezzati a queste positive contaminazioni. Occorre fare quello che i compagni che ci hanno lasciato con la scissione ci hanno spesso rimproverato: far vivere nei circoli le tematiche del "saper fare"; organizzare battaglie per la democrazia radicale sui luoghi di lavoro, dalla critica delle funzioni di comando nella produzione, fino alla critica dei meccanismi di socializzazione del sapere e dei meccanismi dell'autorità. Costruire un partito comunista capace di fare i conti senza rete con la propria tradizione e di dare voce e organizzazione a quanto oggi si muove fuori e contro il pensiero unico: questo è oggi per me il centro del processo di Rifondazione comunista. Potrebbe essere entusiasmante e forse perfino divertente.
Livio Maitan
Sulla convocazione del Congresso condivido quanto detto dal compagno Zuccherini: mi auguro che ci sia più tempo per affrontare adeguatamente i grandi temi posti nella relazione di Bertinotti. Su questa relazione e possibile unampia convergenza, soprattutto se il documento precongressuale sarà centrato sull'analisi e sui compiti di fase, continuando anche successivamente la discussione sui problemi strategici di fondo. Tra questi problemi, cruciale è quello della critica delle istituzioni attuali con nostre proposte di democrazia partecipata o diretta. Dobbiamo renderci conto che il rigetto della politica così diffuso parte da due presupposti: la convinzione - fondata - che il cittadino non incide sulle grandi decisioni e il giudizio sul ceto politico che è considerato, non a torto, incapace e corrotto. Non dobbiamo lasciare spazio al populismo demagogico delle destre, affrontare noi questi problemi. Dobbiamo porci contemporaneamente il problema del partito: due scissioni serie dovrebbero suggerire che c'è qualche meccanismo che non funziona. Continua in realtà un funzionamento verticistico, che non permette una effettiva e costante partecipazione collettiva all'elaborazione del partito e alla sua gestione. Dobbiamo mutare questa prassi. E dobbiamo far sì che il partito discuta i grandi problemi internazionali, sia nelle sue istanze di base sia nel comitato politico, sia nella Direzione che solo eccezionalmente e del tutto parzialmente li hanno affrontati.
Stefano Cristiano
Dopo una scissione così drammatica e gravida di implicazioni politiche seguita alla nostra scelta rispetto al governo Prodi, ritengo non solo necessario ma utile il congresso, come momento di ridefinizione della linea e del gruppo dirigente.
Condividendo nella sostanza la relazione del segretario, voglio sottolineare due elementi sottolineati da Bertinotti e per me centrali: il partito, ed il programma fondamentale del partito non possiamo non vedere che l'ultimo anno ha rappresentato un momento di forte arretramento del tesseramento. Se vogliamo invertire questa tendenza è necessario ristrutturare il partito rispetto alla nuova fase. Ecco quindi che l'inchiesta, come momento di indagine della realtà e di ricostruzione di una rete che riunifichi una realtà sociale profondamente disgregata, e la proposta di un coordinamento delle comuniste e dei comunisti impegnati nel sindacato, qualunque esso sia, per rilanciare sui contenuti un sindacalismo di classe, dovranno essere l'asse portante nella costruzione del partito.
La selezione del gruppo dirigente dovrà quindi avvenire sulla base del radicamento reale e della capacita di praticare la linea e non più sulla base di fedeltà o appartenenza più o meno esplicite.
Sul programma fondamentale ritengo che finalmente sia possibile dare vita a quei convegni sulla storia del movimento operaio e comunista, che ci permettano di superare la logica delle vecchie appartenenze, e di costruire una cultura politica che sia quella del partito della Rifondazione comunista, per la costruzione di una nuova strategia per il superamento di questa società.
Marco Ferrando
Ritengo doveroso comunicare formalmente l'intenzione di una parte di compagni del Cpn di presentare per il IV congresso una mozione diversa da quella qui prefigurata dal segretario. Una premessa importante: la ricollocazione all'opposizione si accompagna a processi positivi e rilevanti di rivitalizzazione del nostro partito, che rivelano indirettamente il distacco consumatosi nei due anni passati. Si può così favorire una positiva tensione unitaria, tra noi tutti, sul terreno della difesa comune del Prc, della sua iniziativa di massa, in molti casi della sua gestione.
Ma questa ricollocazione non abroga il confronto politico interno, lo disloca su un terreno più avanzato e impegnativo. In passato infatti il confronto strategico, pur centrale, è stato assorbito e sminuito dal diverso giudizio politico sul governo Prodi. Ora, dall'opposizione, esso può essere meglio esplicitato e sviluppato. Tanto più in un congresso che certo analizzerò le novità della situazione nazionale e internazionale, ma che affronterò intanto il bilancio e le prospettive del nostro partito. Ordine del giorno decisivo dopo due anni eccezionali, una ricollocazione politica, una scissione traumatica. Su questo nucleo centrale del congresso, sull'intreccio tra bilancio e prospettiva, si ripropone una divergenza di fondo: non tra "linea" e "dissenso" ma tra due proposte politiche e strategiche diverse con diversi orizzonti di ricerca.
Nella relazione del segretario manca clamorosamente il nostro bilancio politico di questi due anni. C'è quello negativo del governo Prodi, delle sue politiche liberiste, di flessibilità e privatizzazione, dove anzi si recupera retrospettivamente la denuncia antigovernativa promossa per due anni dalla minoranza congressuale. Manca invece il bilancio del nostro sostegno a quel governo e a quelle politiche, della corresponsabilizzazione all'involuzione dei rapporti di classe. E quando il segretario rilegge la soluzione della crisi come compromesso mancato per altrui indisponibilità, chiarisce che purtroppo la ricollocazione all'opposizione non è stata una rottura con la nostra politica di compromesso. Ciò si riflette nella proposta politica: l'opposizione costruttiva per creare le condizioni d'un centrosinistra dall'equilibrio più avanzato. Si continua a rimuovere il punto centrale: la natura di classe del centrosinistra. Certo, esso può appoggiarsi sul Prc o su Cossiga, esprimere la leadership di Prodi o di D'Alema, basarsi sull'Ulivo o su una coalizione di partiti. Ma come non cogliere, al di là delle varie formule, la base materiale degli interessi organici che rappresenta? Il centrosinistra è la rappresentanza di governo del grande capitale, che (v. Agnelli) lo assume come formula ottimale. Che senso ha aspirare ad un suo equilibrio più avanzato?
Propongo, con altri compagni, un'altra linea politica: di opposizione di classe al centrosinistra borghese, oggi e domani; che non illuda le masse sulla possibilità di influenzarlo ma invece, all'opposto, lavori per liberarle dalla sua influenza; che certo lavori sulle contraddizioni dell'avversario: ma non, essenzialmente, sulla contraddizione tra Ds e Cossiga per puntare domani a sostituire Cossiga, bensì sulla contraddizione centrale tra la politica borghese del centrosinistra e la base di massa dei Ds per allargare e costruire la nostra egemonia in alternativa ad essi. Per un ribaltamento radicale dei rapporti di forza a sinistra nel movimento operaio e tra le masse, decisivo per una prospettiva alternativa domani. Ciò ha implicazioni concrete importanti. Sul versante del rapporto coi movimenti, con una logica nuova, fuori dal movimentismo d'immagine e tesa a proposte concrete su forme di lotta e d'organizzazione, obiettivi vertenziali, sbocchi politici, parole d'ordine unificanti. E sul versante politico-istituzionale: non possiamo continuare a far parte delle giunte di centrosinistra regionali e di grandi città, se non subordinandoci alla gestione locale delle finanziarie nazionali e della concertazione.
Le divergenze di linea politica ci riconducono a un'immutata divergenza strategica. Condivido la proposta di un'ulteriore approfondimento, anche dopo il congresso, sul nostro programma fondamentale. Ma la proposta politica del segretario sottende un impianto strategico: quello del compromesso sociale riformatore, già alla base delle scelte generali del III congresso. Vi si rimuove il bilancio di due anni e si impugna, con il riferimento esaltativo alle socialdemocrazie europee, un falso modello. Facciamo di Jospin un mito, rimuovendone la realtà. Nessuno nega le diversità tra socialdemocrazia francese e centrosinistra italiano, né il tentativo di parte della socialdemocrazia europea di allentare le maglie del "rigore", in funzione antirecessiva. Ma perdurano nel patto di stabilità politiche di flessibilità, privatizzazione, sacrifici. Come le politiche di Jospin in fatto di espulsioni di immigrati, mantenimento della legislazione della destra sui licenziamenti, e addirittura progetto di riforma pensionistica a capitalizzazione. Di qui il disincanto popolare verso Jospin, oggi su tutta la stampa francese, e le reazioni sociali di lotta.
Proponiamo un indirizzo strategico alternativo che riconosca la crisi del riformismo e recuperi il tema decisivo, rimosso, della Rifondazione comunista nella svolta d'epoca di fine secolo: il rapporto vivo, quotidiano, tra obiettivi immediati, opposizione di classe e alternativa di sistema. Non rimuovendo la ricerca, anzi promuovendola: ma in una prospettiva anticapitalistica e rivoluzionaria. Non credo, infine, che queste divergenze generali vadano rimosse o nascoste in qualche emendamento, se non con una reciproca finzione; ma esplicitate, serenamente, in tutto il partito.
Milziade Caprili
Abbiamo definito la nostra opposizione a questo governo come costruttiva. Qualche accenno di questa opposizione si è già visto ma è poco, troppo poco. Eppure non mancano gli argomenti: dal lavoro alla scuola, dalle riforme istituzionali alla politica estera. Su questi temi abbiamo pure delle buone proposte ed abbiamo messo in piedi qualche buona iniziativa. Il problema è, a parer mio, la continuità e l'articolazione. Prendiamo il tema della scuola su cui non si può dire che non abbiamo proposte e che non abbiamo contribuito a concretizzare iniziative di lotta. Nonostante questo in molte, moltissime realtà non abbiamo marcato una presenza anche appena sufficiente e potremmo rischiare - una volta "archiviato" in qualche prevedibile ed orribile modo il tema della parità - che le questioni collegate alla scuola si affaccino di nuovo all'agenda della politica all'inizio del prossimo anno scolastico. Qui, proprio rispetto alle modalità della nostra iniziativa politica, si dovrà concentrare il lavoro anche congressuale dei nostri gruppi dirigenti. Penso ad un lavoro che non ha niente, ma proprio niente di burocratico: che non vuole essere una torsione negativa, una caricatura dell'organizzazione. Gramsci avrebbe detto che non si tratta di far risorgere forme di cadornismo, di una pura tecnica di comando. Anzi: deve entrare in campo l'importanza che noi diamo alla cultura come capacità di intendere i fini e, così, di concentrare le energie sui mezzi atti ad ottenerli. Penso che regionale per regionale, federazione per federazione si debbano valutare partendo ovviamente dai problemi che le singole realtà pongono, le iniziative da assumere, gli obiettivi che possiamo darci, i tempi, i modi, le alleanze, persino le condizioni materiali che questo nostro modo di agire dovrebbero sostenere. Si è avviata una discussione sui gruppi dirigenti. Bene. Ma non è proprio la cronaca anche un po' miserevole della ultima scissione a rimandarci la necessità di una selezione dei gruppi dirigenti più rigorosa perché tutta concentrata sulle qualità dei compagni e compagne nel pensare, programmare, seguire la costruzione dei conflitti e le modalità politiche che più sopra richiamavo. Proprio perché avevo presente questa che considero una vera e propria priorità, ho ritenuto in un primo momento che il congresso potesse essere celebrato a fine 1999. Poi ho sentito in molte riunioni che nel congresso si riversava un vero affidamento, che l'analisi della fase, un pezzo del programma a questa analisi collegato, la scelta di gruppi dirigenti, tutto questo aveva bisogno di un rapido passaggio congressuale. Ma dobbiamo essere sinceri: qui ci vuole proprio un soprassalto di energie positive per evitare congressi tutti concentrati al nostro interno su beghe e beghette. È possibile, dobbiamo saperlo, perché il clima politico nel partito mi sembra sufficientemente avvertito di questo pericolo. Pare quasi un rituale dire - come va detto e ripetuto - che dobbiamo aprire i nostri congressi, e che attorno ai circoli territoriali ci sono tanti pezzi di società che possono interloquire con noi e che non possiamo relegare a un ruolo di spettatori di una politica, di scelte che possono interessare ed essere condivise.
Citto Maselli
C'è un passaggio nella importantissima analisi compiuta da Bertinotti in un'introduzione che non ha precedenti nella storia di questo partito, in cui sottolinea come i processi di globalizzazione in atto hanno bisogno di un addormentamento sistematico dello spirito critico delle masse. Non attraverso qualche specifico bombardamento ideologico ma attraverso un'azione mediatica e culturale ben più abile e mortuaria: la passivizzazione intellettuale. Ecco, io credo davvero che la lotta contro questa offensiva, intelligente quanto barbarica del grande capitale finanziario internazionale debba diventare un punto centrale ma soprattutto strategico del progetto da mettere a punto nel nostro prossimo congresso. Per capire come e quanto si tratti di una delle poste in gioco fondamentali nei tentativi di accordi internazionali che propongono l'Ocse oppure direttamente Brittan per conto dell'Unione Europea e in accordo con Blair - guardiamo al modo in cui vi viene proposto l'annullamento delle legislazioni nazionali che difendono le imprese, gli autori, le culture presenti nei singoli paesi: l'affermazione d'un pensiero unico e passivizzante nel pianeta è una realtà concreta e organizzata, non e un'invenzione nostra o de Le monde diplomatique.
Raul Mordenti
La bella relazione di Bertinotti ci propone per il prossimo congresso di coniugare la ripresa (dopo il "grande freddo" di questi ultimi anni) del processo della rifondazione con la necessaria "elaborazione del lutto" della scissione. Il partito ha reagito bene, con nuovo entusiasmo, senza cadere in settarismi o in estremismi. Eppure danni gravi ci sono stati, soprattutto "di immagine" e di rafforzamento fra le masse del diffuso disgusto per la politica; a questo si aggiunga il danno gravissimo che ci deriva dalla presentazione di un simbolo identico al nostro: i risultati delle provinciali di Roma (temo) riveleranno queste difficoltà, nonostante il gran lavoro fatto dalla federazione romana. Al congresso dovremo porci due domande decisive: "Come è potuto succedere? Come impedire che succeda ancora? ". Se una posizione che rappresenta circa il 5% degli iscritti, contava il 30% del Cpn, il 50% del vertice effettivo del partito e oltre il 70% dei parlamentari, ebbene ciò significa che c'era qualcosa di radicalmente sbagliato nella democrazia interna, nella selezione dei gruppi dirigenti e degli istituzionali. In termini teorici generali ciò allude al "problema-partito" che gramscianamente è un aspetto delicato e cruciale del più generale problema del rapporto fra intellettuali e classe: l'autonomizzazione dei vertici e degli istituzionali (cioè la loro scissione, ricorrente nella nostra storia) indica un rapporto labilissimo fra costoro e la classe e segnala la difficoltà ed il ritardo dell'egemonia del proletariato sui suoi stessi rappresentanti. In termini politici occorre chiedersi: ci sono stati, oppure no, fenomeni di verticismo, di burocratismo, di familismo perfino? la cooptazione personale dall'esterno del partito direttamente in cariche nazionali o parlamentari è stata o no eccessiva? e la scelta dei dirigenti e degli istituzionali è stata sempre fatta dal basso, sulla base dellaffidabilità e della bravura, oppure è stata fatta dall'alto, sulla base della "fedeltà"? Anche per questo abbiamo bisogno di un congresso del tutto diverso da quello, "blindato" per correnti e mozioni inemendabili, che ci ha condotto alla crisi attuale; sperimentiamo la forma nuova proposta da Bertinotti di un congresso su documenti (non parlerei di mozioni) effettivamente emendabili dal basso, garantendo che (al contrario di quanto successo nel congresso scorso) le posizioni espresse in sede congressuale non possano essere usate per discriminazioni o vendette.
Roberto Musacchio
Gli avvenimenti di queste settimane confermano la giustezza delle scelte fatte, a partire dal tema: "O svolta o rottura".
Ora il problema è l'efficacia della nostra opposizione. A partire dal fatto che dobbiamo essere in grado di dispiegarla e di legarla a un progetto.
Dobbiamo confrontarci con un governo che ha un progetto di governabilità e modernizzazione e che vuole darsi una prospettiva di stabilità, anche se è denso di contraddizioni.
Un governo che ha un collante in operazioni di riassetto dei poteri. Penso ad esempio all'intreccio tra privatizzazioni di settori dei servizi (Enel, trasporti, ecc.) e delle municipalizzate che apre all'intervento di grandi e piccoli gruppi economici e modifica la mappa degli interessi e dei comandi su funzioni e territori.
Opporci a questo chiede connessione tra lavoratori, utenti, disoccupati con un progetto di lavoro e di sviluppo. E lotte in questi settori ci sono. L'attenzione deve essere massima anche perché riguarda le possibili alleanze locali.
D'altra parte l'incrocio tra lotta per il lavoro, per la democrazia del lavoro, per l'occupazione, per un diverso sviluppo richiedono intrecci fattivi. Le elezioni Rsu dimostrano una aspettativa democratica. E indicano una strada. Lotta per i contratti e contro la concertazione e per una diversa politica economica sono due facce della stessa battaglia. Sugli scenari, credo dovremo andare a fondo sulle contraddizioni della globalizzazione affrontando nodi duri come quelli posti dalla questione ambientale.
Domenico Iervolino
Non abbiamo bisogno di qualificare come costruttiva la nostra opposizione. Bisogna piuttosto vigilare perché la politica della maggioranza di governo non diventi distruttiva per il paese e per i lavoratori.
Abbiamo compiuto una scelta difficile ed impegnativa collocandoli all'opposizione, mettendo in questione la cultura della governabilità ad ogni costo, che riduce l'arte del governo (che è capacità di guidare i processi di trasformazione) a pura tecnologia del potere e della gestione del consenso. Anche in questo si realizza l'invasione della vita quotidiana da parte del mercato, la trasformazione della politica in un mercato politico. Perciò la nostra scelta di opposizione non è una mera collocazione parlamentare, ma lo scontrarsi con questi meccanismi che condizionano la politica in tutte le società a capitalismo avanzato. Da questo punto di vista, l'Italia è davvero un laboratorio politico. Lo è per le forze dominanti, lo deve diventare anche per la sinistra di alternativa. Il nostro ruolo è ancora una volta quello dell'intellettuale collettivo di gramsciana memoria, che oggi forse è un terapista collettivo, che opera per guarire la società nelle sue diverse espressioni. Bisogna insomma ritrovare le strade per reinventare lagire politico e sociale, democratizzando la vita quotidiana, nell'epoca della globalizzazione.
In questa prospettiva si può anche parlare di una lotta politica per costruire equilibri più avanzati, che non significa necessariamente sbocchi a livello di governo, in termini immediati, ma apertura di spazi di democrazia.
È questa, a mio avviso, la condizione per trasformare quella che è oggi una egemonia del centro a livello europeo in una vittoria della sinistra. Ma per operare in tale direzione occorre piè che mai un soggetto politico, un partito da rifondare, una rifondazione da riavviare, da rimettere un movimento e da rendere visibile anche nel nostro simbolo, così come nella nostra prassi quotidiana.
Raffaello Renzacci
Il prossimo congresso del partito, dovrà diventare l'occasione per avanzare nel percorso di rifondazione dell'esperienza comunista. In particolare dovremo sviluppare una analisi autocritica sul modello di partito che ci siamo dati e soprattutto sui limiti che un funzionamento troppo sbilanciato sul gruppo dirigente ha determinato in termini di democrazia e partecipazione. In questo senso non è possibile riproporre un congresso sotto tutela del gruppo dirigente nazionale. È un fatto positivo che si proponga un percorso congressuale che contenga l'emendabilità dei documenti congressuali, ma sarebbe limitativo se questa prerogativa fosse riconosciuta solo a partire dai congressi di circolo e non come spazio plurale riconosciuto già nella fase di elaborazione dei documenti. Dietro l'apparente democraticità degli emendamenti che nascono dal basso si propone in realtà l'immodificabilità, anche parziale, di ogni singolo contenuto di quanto verrà definito nei documenti congressuali. Il congresso dovrà recuperare il nostro ritardo sul terreno sindacale e tentare di trovare quelle che Bertinotti ha definito soluzioni complesse. Dentro la Cgil i nostri compagni dovranno lavorare per consolidare l'esperienza del Forum per l'Europa sociale come passaggio obbligato nella direzione di una sinistra sindacale ampia.
Per il successo di questo percorso occorre però che si realizzi da subito l'unificazione tra alternativa sindacale e l'area dei comunisti. Non vi sono oggi impedimenti a concludere positivamente il percorso unitario, sia sul piano della convergenza programmatica che sul piano delle garanzie di pluralità della nuova aggregazione. Sarebbe importante ed utile che dopo più di due anni, i militanti del Prc dentro la Cgil ritrovassero una sede sindacale comune ed unitaria. In fondo è questa la vera e unica garanzia che potrà permettere ai nostri militanti sindacali di avere un ruolo non marginale nel processo di ricomposizione della sinistra sindacale.
Franco Grisolia
La recente scissione ha dimostrato che il rischio per la vita del partito consiste non nel chiaro confronto politico tra posizioni diverse, ma nel mascheramento delle divergenze. Non affrontare le divergenze strategiche con tale confronto significherebbe privare gli iscritti del diritto democratico di determinare la linea generale del partito. Tanto più oggi in cui giustamente, a differenza che nel terzo congresso, si garantisce a tutti la possibilità, una volta scelto il documento - e quindi la linea strategica - di riferimento, di esprimere su di esso eventuali emendamenti. Il prossimo congresso si realizza dopo una esperienza di più di due anni di partecipazione alla maggioranza e nel momento del passaggio all'opposizione. Ciò permette, in un quadro meno influenzato da problemi contingenti, di affrontare con più chiarezza la discussione sul bilancio dell'esperienza fatta e sulla strategia che la ha determinata. Ciò che è tanto più importante nella misura in cui la maggioranza della direzione del partito non pone in nessun modo in questione la linea strategica del passato. È questo il senso delle affermazioni sulla "opposizione costruttiva", su "un passo indietro (la rottura) e due avanti (verso il centro sinistra) " con la ricerca di "equilibri più avanzati". Ciò che rischia di riproporre in futuro ipotesi illusorie di "compromesso riformatore", con risultati disastrosi per il partito. Ma che già nell'oggi pone a rischio la coerenza della nostra azione ad esempio nei rapporti coi movimenti e su terreni su cui pure ho sentito accenti nuovi, come quello sindacale (nel quale, per quanto riguarda la Cgil, è necessario che i militanti comunisti traggano il bilancio del fallimento sia dell"Area dei Comunisti" che di Alternativa Sindacale, per lanciare la prospettiva di un'area conseguentemente classista; pur nell'ambito di una sinistra sindacale riunificata). È necessario trarre un serio bilancio del passato. È necessaria una analisi precisa del ruolo della socialdemocrazia sia italiana che europea, che oggi viene utilizzata centralmente dalla borghesia per sviluppare, in forma "temperata", la sua offensiva "neoliberale" per la massimizzazione dei profitti (e questo sia nella sua versione di "destra" alla D'Alema, sia in quella di "sinistra" alla Jospin). È necessario quindi abbandonare ogni strategia di compromesso o ricomposizione per sviluppare verso il centro-sinistra e le sue espressioni di governo, sia nazionali che locali, una coerente opposizione di classe e comunista, per una prospettiva di alternativa anticapitalista. È quanto intendiamo proporre al partito con la nostra mozione nel prossimo congresso.
Gennaro Migliore
Le ragioni di questo congresso sono, a mio parere, le ragioni della rifondazione. Dopo la scissione, il passaggio all'opposizione, andiamo ad un confronto serrato e di definizione compiuta dell'analisi di fase e dei nostri compiti. Un confronto che non è una ricerca conclusa, ma che ha l'obiettivo di scrivere almeno l'agenda della rifondazione. Per questo una articolazione del nostro dibattito è necessaria, magari con un congresso a tesi, per adeguare il partito tutto alla nuova fase che affrontiamo. Ad esempio è indispensabile nominare il Mezzogiorno tra i centri d'analisi, non solo come fenomeno, della attuale modalità di accumulazione e di modernizzazione capitalistica. Napoli e la Campania hanno svolto un ruolo per la costruzione del conflitto in questa parte del paese già da tempo passata all'opposizione: non solo la dinamica "centro/periferie", ma una questione nazionale e mondiale. In questo senso i processi di espulsione dalle cittadelle protette del capitalismo sono qui indagabili con più forza nella coppia integrazione/frantumazione. Serve però più coraggio per indagare le frontiere inesplorate di questa società che ripropone l'esclusione come modello. Anche il nostro partito dovrà aprirsi di più e meglio. A partire dalla assunzione piena delle differenze di genere, non solo nei documenti, ma anche nella pratica reale della costruzione del partito; della questione generazionale come una forma concreta delle contraddizioni della attuale fase capitalistica, ovvero la crescita abnorme della precarizzazione come estensione del comando capitalistico che sulle giovani generazioni, da tempo, produce le più violente sperimentazioni.