Comitato Politico Nazionale 28-29 novembre 1998

Gli interventi - 2

Salvatore Bonadonna, Franco Turigliatto, Sandro Valentini, Giovanna Capelli, Gigi Malabarba, Mimì Artesi, Alessandro Leoni, Rino Malinconico, Antonio Moscato, Paolo Cacciari, Biagio Stabile

Salvatore Bonadonna

Credo sia necessario, pensando al prossimo congresso, "usare" la relazione di Fausto Bertinotti come un insieme di indicazioni sulle quali verificare la esperienza quotidiana e concreta del partito.

Avverto che spesso parliamo per categorie generali senza un'analisi compiuta, senza una concreta e approfondita conoscenza di ciò che definiamo.

Questo atteggiamento non ci consente di cogliere l'articolazione e la stratificazione che caratterizza la società nell'attuale fase di sviluppo capitalistico su scala globale.

Il "dover essere" non è più sufficiente se non siamo in grado di cogliere, di intercettare, di riconoscere le modalità, le forme di organizzazione, le culture che si propongono oggi. Infatti la categoria della precarietà e quella della frammentazione non ci danno conto di che cosa può maturare in senso alternativo, anzi le forze dominanti rivendicano ed egemonizzano tale precarietà presentata come espressione della modernità dinamica contro la società cristallizzata. Da qui la delegittimazione del conflitto sociale.

Per questo è per noi inderogabile rilanciare una forte battaglia culturale, in senso anche antropologico, per riconnettere i molti e diversi segmenti di pensiero critico e antagonista che pure ci sono e sono ricchi di valori.

Quello che manca e l'indagine e la conoscenza che faccia confrontare le esperienze nuove e diverse che spesso conosciamo in modo superficiale.

Pensiero critico è una indicazione necessaria; costruirlo e farlo vivere come azione politica di massa è una condizione da conquistare.

Franco Turigliatto

Il partito ha reagito positivamente alla scissione, ma soprattutto ha trovato nuovo slancio militante con la nuova collocazione politica. I movimenti, a partire da quello dei giovani, pur tra grandi difficoltà, trovano finalmente una sponda politica di opposizione. Dobbiamo individuare gli strumenti più adatti perché questa incida nella società e nei rapporti di forza tra le classi.

Gli ostacoli sono grandi: il segretario ha parlato di un progetto borghese di frammentazione e integrazione delle masse; condivido questa affermazione, ma la frammentazione ha già fatto passi da gigante, alimentata dalle politiche economiche condotte, dalla mancanza di prospettive, dalle sconfitte.

Dobbiamo lavorare perché la resistenza sociale presente, e le lotte parziali conseguano risultati e si determini una sedimentazione aggregativa delle esperienze, non si riparta ogni volta da zero. La debolezza e la frammentazione delle sinistre sindacali complicano la soluzione del problema.

Certo che è incredibile che la cassa integrazione alla Fiat passi sotto silenzio e che le forze sindacali non la pongano al centro delle loro preoccupazioni. E noi possiamo fare ancora troppo poco; proviamo però a costruire la sensibilità dei lavoratori su una proposta semplice: "la Cig è una forma di riduzione d'orario vantaggiosa per l'azienda e a spese dei lavoratori e dello Stato; vogliamo una riduzione d'orario diversa, lavorare solo 35 ore, ma tutte le settimane".

La piattaforma dei metalmeccanici non rivendica la riduzione d'orario anche se era chiaro a tutti che la nuova fase economica e produttiva la rende più che mai urgente. Le sinistre sindacali hanno perso una occasione importante di battaglia per provare a rompere la cappa del patto sociale.

Sul partito credo occorra fare una doppia operazione di democratizzazione. Ridare più ruolo alle strutture di base e avere piena trasparenza del dibattito dei gruppi dirigenti. È positivo che nel congresso i circoli possano produrre emendamenti e contributi e che questi incidano nella discussione congressuale, ma perché impedire che eventuali emendamenti nazionali, prodotti dalla discussione del Cpn (oltre naturalmente ai documenti) vadano al giudizio dei circoli? Non c'è il rischio di rendere meno chiara la discussione dei gruppi dirigenti?

Sandro Valentini

Sono d'accordo che la convocazione del congresso sia motivata dalla necessità di svolgere un'analisi sulla fase. La scissione di "vertice" e nel contempo i segnali positivi di nuove adesioni al partito, anche come reazione alla lacerazione provocata dagli scissionisti, la formazione del governo D'Alema-Cossiga da una parte, la crisi dell'Ulivo dall'altra, sono elementi nuovi che ci impongono di svolgere un congresso fortemente politico, per definire la nostra linea, per una iniziativa del partito adeguata appunto alla fase. Non dobbiamo sottrarci, dunque, nel dare un giudizio corretto sul governo D'Alema. Questo governo presenta una novità importante: è guidato dal leader della sinistra moderata; ma i suoi orientamenti politici ed economici attuano una linea moderata che può essere riassunta nel binomio stabilità e patto sociale. Condivido le riflessioni di Bertinotti. Questo governo è fatto per durare ma non è detto che durerà; per farlo dovrà essere capace di risolvere una contraddizione di fondo che potrebbe minarne la coesione politica cementata da una dottrina neoliberista temperata. La sua corsa verso il centro - il centrosinistra ha inglobato Dini, Di Pietro, ora anche Cossiga - per conquistare consensi che non riesce ad ottenere con l'azione di governo, ha determinato una situazione paradossale: il centrosinistra è maggioranza nel Parlamento ma è minoranza nel paese. Il suo moderatismo ha prodotto, inoltre, un nuovo e più diffuso disagio sociale che potrebbe favorire il Polo. A ben vedere vi è una instabilità di questo governo. La nostra iniziativa deve perciò essere tesa ad acutizzare questa instabilità. Per questo occorre una opposizione efficace che sappia coniugare battaglia parlamentare e movimento di lotta, come è accaduto per la scuola. Per questo il congresso deve definire una nostra proposta politica e programmatica per rendere più incisiva questa nostra opposizione. Si tratta - credo - come è stato evidenziato nella relazione, di rilanciare la nostra linea per l'alternativa aggiornandola alla nuova fase. Siamo all'opposizione non per vocazione ma per necessità. Dunque, la rottura è stata una necessità. Per questo riproponiamo le ragioni della svolta, della necessità di una politica riformatrice per il paese. La svolta resta all'ordine del giorno. Il rischio del partito oggi non è l'integrazione ma il settarismo e l'isolamento. L'autonomia è stata rafforzata: abbiamo subito una scissione di destra per difenderla. Occorre ora rilanciare una nostra iniziativa unitaria per determinare equilibri più avanzati. Bisogna tradurre questa linea anche a livello locale tentando di stabilire, su contenuti programmatici forti, intese di governo con il centrosinistra negli enti locali e nelle regioni.

Giovanna Capelli

Condivido le perplessità sui tempi del Congresso, già espresse in molti interventi. Naturalmente non sono pregiudiziali, ma toccano direttamente il tema proposto dal Segretario: un congresso sulla linea politica, sulla sua efficacia, sulla capacità del Partito di praticarla. Nei mesi futuri si offrono occasioni inedite per sperimentare l'efficacia di una collocazione all'opposizione, alludo ad obiettivi di lotta su cui il Partito in fase congressuale già deve rinnovarsi e sintonizzarsi con il mutamento sociale. Il problema delle formazioni e in particolare della scuola pubblica è centrale.

Il governo D'Alema tenta di far passare attraverso la parità il finanziamento della scuola privata, che è l'iceberg legislativo nella situazione italiana di una volontà e di un processo più ampio e profondo di privatizzazione della scuola pubblica, di sua riduzione a puro servizio a domanda individuale, che le famiglie scelgono in base al censo, al reddito e ai propri progetti sul figlio. Così sparisce il sapere e la sua irriducibilità al mercato, e prevalgono abilità e competenze, prive di posizionamento critico.

In questa lotta assume valore giuridico nuovo il ruolo della famiglia. Non a caso il Polo e An si sono esercitate nella definizione dei suoi poteri. Ma il familismo concreto trionfa nello stato sociale dei poveri della ministra Turco e nella concezione della parità, dell'autonomia, del governo della scuola del ministro Berlinguer. Nella ridefinizione del rapporto fra famiglia/statualità si gioca la centralità degli individui e le loro libertà. La lotta contro il finanziamento della scuola privata si può vincere, la potenzialità delle forze in campo è amplissima. A noi agire da Partito, riconnetterla farle pesare politicamente.

Gigi Malabarba

Come dare efficacia concreta alla nostra politica di opposizione e contrastare il patto sociale, che integra gran parte della sinistra nella gestione liberista, senza disporre di un adeguato strumento di lotta sindacale?

Non si possono proporre comitati di lotta tematici nei luoghi di lavoro per organizzare il conflitto, senza fare i conti con appartenenze di area sindacale che li soffocano. Né il partito - che giustamente deve coordinare i propri militanti sindacali - può surrogare l'assenza di un sindacato di classe. Non si può nascondere l'esigenza, diffusa nel partito, di una discussione ampia sul sindacato, evocandone la complessità. La paura di affrontare seriamente l'argomento ha sicuramente prodotto più guasti. Se si vuole, come credo, rifondare dal basso una sinistra sindacale antagonista (a partire dagli eletti nelle Rsu) per ricreare le condizioni anche di rotture e di ricomposizioni, bisogna avere un progetto.

Quando si coglie la centralità dei luoghi del conflitto in atto, come oggi nei trasporti, è necessario puntare sugli strumenti più utili. Quando si coglie, dentro la centralità del lavoro salariato l'esigenza di unità del lavoro, del non lavoro e del precariato, i militanti sindacali antagonisti devono costruire forme organizzate nuove, proprio perché le confederazioni non possono offrire strumenti di superamento della frammentazione sociale che contribuiscono a creare.

Mimì Artesi

Trovo la relazione del compagno Bertinotti largamente condivisibile. Non concordo invece con i tempi e i modi del congresso annunciato. Ancora una volta non avremo tempo per parlare di politica; ancora una volta, pressati dalle scadenze congressuali, dovremo rallentare l'impegno rinato dopo la scissione a lavorare fuori dai circoli, nelle scuole, nei luoghi di lavoro, nelle assemblee pubbliche.

Sarebbe stato più importante dare corpo alla richiesta di fare politica in modo più coraggioso e visibilmente antagonista che ci viene dai nuovi iscritti, dai giovani, dalle compagne e dai compagni che a noi si sono riavvicinati.

Non concordo con un documento congressuale che non sia a tesi emendabili anche dall'alto: l'emendamento possibile a livello di circolo e poi di federazione è in realtà poco praticabile. Personalmente non mi sento di spaccare la riconquistata unità della mia federazione dividendo compagne e compagni che oggi lavorano insieme dopo aver superato le divisioni passate.

Compagne e compagni che vengono da una scissione per alcuni dolorosa e comunque faticosa.

In nome del desiderio di mantenere questa nuova armonia verrebbero sacrificate le legittime divergenze e le valutazioni politiche in un unanimismo che attiene alla volontà e non alla ragione politica.

Alessandro Leoni

Ritengo che la conseguenza più importante della recente scissione sia quella di aver rimosso tutta una serie di possibili alibi per i nostri limiti d'iniziativa esterna e di vita interna al partito.

Da ciò un'accresciuta responsabilità, anche soggettiva, per tutta la dirigenza del Prc. Il IV Congresso dovrà, pertanto, rilanciare il processo rifondativo, come è stato indicato dall'introduzione a questo Cpn, ma anche riprendere, con rinnovata consapevolezza, la battaglia contro tutti i settarismi, vecchi e nuovi.

L'approfondimento dell'analisi e della riflessione su temi centrali quali: la natura e le possibili dinamiche del cosiddetto "nuovo riformismo" europeo; l'iniziativa dei comunisti rispetto alla vicenda sindacale che, pur con tutto il realismo necessario, rilanci una adeguata proposta ricompositiva delle esperienze anti-neocorporative; la riappropriazione di un fecondo coraggio intellettuale da investire sul terreno progettuale, sono i fronti sui quali impegnare le nostre energie.

Una prospettiva residuale, quella dell'approdo "tardo Pci" al governismo, si è eclissata; dobbiamo evitare di scivolare in un’altra residualità: quella, cioè, di un'indistinto metafisico movimentismo che sostituisca alla, difficile, conoscenza della realtà la, più o meno, brillante suggestione.

Rino Malinconico

La relazione del segretario è positiva per più ragioni. In particolare perché precisa due punti fondamentali che attengono alla collocazione immediata del nostro partito: la qualità della nostra opposizione, da un lato; il bersaglio fondamentale della nostra iniziativa politica, dall'altro.

Sul primo aspetto Bertinotti avverte che l'opposizione va configurata come scelta generale rispetto all'intera società, come apertura ad una innovazione strategica. Dunque, non una opposizione tattica, di mera contingenza politica. Sul secondo punto la relazione allarga, e per certi versi supera addirittura, il paradigma stretto del "pensiero unico" e della globalizzazione, sollecitando, implicitamente ed esplicitamente, a un'attenzione più stringente verso le nuove trasformazioni delle economie, degli assetti politici, dei rapporti sociali. Si allude, io credo, alla nuova capacità di iniziativa delle socialdemocrazie, al loro progetto di dislocare la spinta neoliberista in una cornice che integra talune fasce sociali e le loro rappresentanze; e frantuma, con rinnovato vigore e nel medesimo processo, la tensione spontanea delle classi e delle condizioni subalterne a muoversi tutte insieme, a definirsi come blocco ed unità sociale.

La relazione del segretario, insomma, pone al partito la necessità di aggiornare l'analisi complessiva della fase. Questo anche il tema del Congresso. Una tale impresa non ha, non può avere le caratteristiche della ordinarietà. Non le ha anche perché sconta una disabitudine generale, nel Prc e fuori, a muoversi sul terreno della "critica dell'economia politica". È del resto evidente che un congresso avviato a ragionare, così come suggerisce il segretario e come è necessario che faccia, dei rapporti sociali - e cioè dei caratteri specifici del rapporto di capitale (ma qui dovremmo pur dire se qualcosa è cambiato sui temi di fondo della valorizzazione, del ciclo produttivo, della crisi economica) - e del lavoro - e cioè delle classi e della dinamica di classe (ma anche qui dovremmo pure affacciare una lettura convincente di alcuni temi dalla proletarizzazione del lavoro a contenuto intellettuale alla alienazione, dalla flessibilità del mansionario all'articolarsi del ceto gestionale, dalla connessione tra tempi di vita e di lavoro allo spreco assoluto degli uomini nelle forme della disoccupazione, del degrado e della marcescenza sociale) -, un congresso avviato ad una siffatta discussione si "complica" enormemente, e positivamente, di teoria. Non potrà muoversi nel solo orizzonte della politica. Per questo, perché la sua straordinarietà risiede in questa necessità impegnativa di analisi e di proposta, il Congresso sarebbe stato utile pensarlo in tempi più lunghi e con più ricchi passaggi di dibattito.

Discuteremo, invece, in tempi stretti. Potrebbe andar bene anche così. A patto però che nella nostra discussione ci sia piena consapevolezza del dato di fondo: che il Congresso apre e non chiude la riflessione sui temi essenziali della Rifondazione comunista.

Antonio Moscato

Sulla data del congresso le due esigenze di una definizione rapida della linea per la fase e dell'apertura di un dibattito approfondito (e quindi non breve) su problemi mai affrontati possono essere conciliate concludendo una prima fase del congresso a marzo (rieleggendo gli organi dirigenti) e aprendo una discussione di più ampia portata sul programma, sulla strategia in Europa, sulle concezioni organizzative (le attuali hanno facilitato le scissioni al vertice). Questa seconda fase potrebbe concludersi in autunno.

Un dibattito ampio, richiede tempo ma anche sforzi. Se gli emendamenti possono partire solo dai circoli, devono avere subito circolazione nazionale, o si riducono a uno sfogatoio. Per questo occorre un vero bollettino di discussione che arrivi a tutte le federazioni, e ai circoli e ai compagni che si abbonano. La veste può essere modestissima, ma un tale strumento libererebbe "Liberazione" dal rischio di diventare un bollettino. Nel bollettino ci sarebbe anche spazio non solo per gli interventi, ma per le informazioni sulle esperienze dei circoli e delle federazioni.

"Liberazione" è migliorata, e deve proiettarsi sempre più all'esterno (essere cioè un vero giornale).

Ma non basta diffonderla, occorre affiancarle altri strumenti. Dopo anni di forte spoliticizzazione di una parte notevole dei nostri iscritti, ogni federazione deve produrre materiale molto semplice, aiutare i circoli a produrre bollettini di pochi fogli da inviare a iscritti e simpatizzanti. Ce ne sono già di diverse federazioni, il centro dovrebbe far circolare le esperienze migliori. C'è bisogno anche di questo, perché molte idee dell’avversario sono penetrate nella nostra base, per la povertà della discussione politica sui grandi temi nazionali e internazionali, per la carenza di attività formative, ecc.

Paolo Cacciari

Sono tra quei compagni che non sentivano un gran bisogno del Congresso! Il solo modo per evitare di rinchiudersi ancora all'interno delle quattro mura dei circoli e delle federazioni è iscrivere il congresso in un percorso più lungo e largo: riempirlo di contenuti programmatici (avremmo dovuto fare una conferenza) e farne un pezzo di quel cantiere permanente che deve portarci alla elaborazione del "programma fondamentale" di rifondazione del pensiero e dell'azione dei comunisti. Dubito che un "normale" congresso di consolidamento e riaffermazione della giusta scelta di passaggio all'opposizione basti a farci apprezzare da quanti (a partire dalle nuove generazioni) guardano a noi con attenzione. Credo che serva operare con più coraggio in due direzioni: 1) innovare i modi e le forme del nostro agire politico, dei nostri comportamenti, dei nostri strumenti organizzativi al fine di adeguare il partito alla "strategia lillupuziana" di costruzione dal basso della lotta anticapitalista (molto buona l'indicazione di Bertinotti di costruzione dei "comitati di lotta"); 2) riempire di contenuti "alti" la nostra proposta politica di "alternativa". Provocare un corto circuito al "pensiero unico" dominante immettendo "grandi causazioni ideali" (Bertinotti), vale a dire: determinazioni di senso, domande di potere di decisione. Non solo quanto e quale lavoro, ma cosa e per chi produrre, senza di ciò la ricomposizione tra classe-persona-ambiente (e viceversa) non potrà mai avvenire. Senza di ciò non potremmo mai venire riscritte le politiche economiche, energetiche, industriali in un orizzonte "fuori mercato", dentro, invece, i bisogni profondi di pace, sicurezza, cooperazione sociale e tra i popoli. Anche salvare la vita a Ocalan, sta qui dentro.

Biagio Stabile

Ritengo necessario l'apertura di un franco dibattito strategico sul partito. Meglio la chiarezza che le false unanimità soprattutto per un partito come il nostro che non avendo spazi di potere da difendere può permettersi il dibattito più ampio possibile. La scissione chiude una fase di vita del nostro partito, ed apre la fase del fare politica. Quanto è accaduto richiama l'esigenza di una riflessione di fondo. Sono passati otto anni dalla nascita del Prc, è improrogabile un bilancio dell'esperienza sociale e teorica, guardando in modo schematico risulta evidente una trasformazione della linea politica proposta nel corso di questi anni.

L'atto di nascita del Prc fu segnato dalla parola d'ordine: per un'opposizione politica ai processi di ristrutturazione capitalistica in atto nel nostro Paese; tale resistenza doveva essere l'espressione della Costituzione intorno al partito di un blocco sociale anticapitalista e di muoverci in controtendenza rispetto agli altri partiti, alla politica dei ceti separati, degli apparati del centralismo. Nei primi anni Rc costruì un vasto consenso in settori avanzati del movimento operaio e sindacale e si propose come sponda politica ai numerosi conflitti, si pensi ad esempio alle grandi mobilitazioni in tutto il Paese contro gli accordi di luglio 1992-1993 alla grande manifestazione dei consigli (300 mila a Roma), la grande battaglia nel Parlamento e nel paese contro il maggioritario. Proprio la riforma elettorale segna la svolta politica del Prc, nascono i cartelli elettorali dei progressisti del '94 e il patto di desistenza del '96, passano i 100 giorni il Prc si colloca nell’area di governo per un nuovo corso riformatore, abbandona l'idea di un progetto autonomo delle classi proletarie e si propone come forza politica istituzionale che potrebbe condizionare la strategia ed il programma della classe dominante. Dopo due anni di sostegno al governo Prodi si arriva ad una nuova scissione che per fortuna è solo di vertice e di parlamentari; certo il partito non era preparato a questa svolta, oggi una politica di opposizione richiede un salto di qualità forte, relativo al rapporto tra istituzioni e società e partito e movimenti. L'opposizione non può chiudersi nelle istituzioni a difesa dello spazio dei partiti, opporsi all'autoritarismo comporta in primo luogo promuovere il protagonismo delle masse, diffuso profondo radicamento, bisogna ricominciare a fare politica fare uscire i circoli all'esterno, penso alla cruciale lotta degli studenti dei disoccupati. Da qui bisogna ripartire e iniziare ad invertire la tendenza, bisogna ricostruire le condizioni per una nuova ricomposizione del conflitto di classe sul terreno della lotta politica bisogna interloquire con i settori sociali che pagano il prezzo della ristrutturazione capitalistica. L'obiettivo del padronato con l'avallo della sinistra riformista è quello di espellere il conflitto di classe. Occorre lanciare segnali chiari alle nostre genti, segnali che parlino nei fatti dei problemi del Paese e che diano risposte e sponde concrete all'opposizione sociale che comunica col disagio reale che vive nella società. Solo in questo modo si risolve positivamente quell'elemento simbolico che pur tanto pesa in politica e si qualifica l'immagine di una nuova forza politica molto di più che nella guerra del simbolo.

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