Comitato Politico Nazionale 28-29 novembre 1998 Un congresso per costruire lalternativa di società La relazione di Fausto Bertinotti |
Liberazione 29 novembre 1998
Pubblichiamo una sintesi della relazione del segretario Rifondazione comunista, Fausto Bertinotti
Care compagne e cari compagni, questa relazione, malgrado il contributo che i membri della segreteria hanno fornito, non si presenta con quel carattere compiutamente organico che sarebbe richiesto. Credo che si possa anche giustificare questo limite, tenendo conto della intensità delle scadenze di lavoro e di campagna elettorale che abbiamo avuto in questo periodo. Questa e la prima riunione del Cpn che teniamo dopo la scelta impegnativa che abbiamo compiuto e che ha determinato il passaggio all'opposizione del nostro partito. Senza particolare enfasi possiamo dire che questa scelta ha rappresentato un nuovo rilevante atto nel processo della Rifondazione comunista. Si è trattato di una innovazione nella prassi politica, più che nella teoria ed ora siamo chiamati a definire la nostra strategia al livello della innovazione che la nostra scelta ha determinato.
La scissione
La scissione che abbiamo subito è stata, alla prova dei fatti, inutile oltre che gravemente sbagliata. Naturalmente abbiamo subito una perdita dolorosa, ma questo non nasconde un fatto addirittura clamoroso, cioè che quella scissione ha avuto una conseguenza trascurabile nel corpo del partito. Essa si e manifestata, anche pesantemente, a livello dei gruppi dirigenti e soprattutto nella rappresentanza elettiva, ma non ha avuto conseguenze rilevanti nella base del nostro partito, a livello dei circoli. Anzi nella base del nostro partito si e verificata una reazione estremamente positiva, particolarmente forte dove più numerosi sono stati i dirigenti che ci hanno abbandonato. Dobbiamo capire bene cosa è successo, perché questo ci parla della natura e della composizione del nostro partito.
Ma tutto questo non giustifica l'aggressività che verso di noi si manifesta da parte dei compagni che se ne sono andati. Si tratta di un fatto davvero singolare: di solito è il partito che subisce la scissione che si mostra particolarmente animoso verso chi se ne è andato. Nel nostro caso sta succedendo il contrario, e anche questo dimostra che motivi ideali per la scissione non ve ne erano. Dal canto nostro dobbiamo comunque bandire ogni atteggiamento di ripicca e guardare invece ai processi reali che si stanno sviluppando.
Questa reazione del partito, questa ripresa dell'interesse attorno a noi, non riusciranno, con ogni probabilità, a farci superare le difficoltà dell'attuale passaggio elettorale amministrativo. I risultati di queste elezioni non potranno essere letti, qualunque sarà il loro esito, con un segno politico omogeneo, dato si tratta di sommare situazioni estremamente diverse tra loro. Non solo, ma dobbiamo tenere conto delloscuramento che stiamo subendo da parte dei mass-media, la confusione che inevitabilmente si verificherò tra simboli troppo simili, gli stessi avvenimenti traumatici che ci hanno coinvolto.
Assai più significative dei risultati elettorali di domani, sono dunque le reazioni che ci provengono dal corpo del partito. Non si tratta solo di una reazione emotiva alla scissione, si sta verificando una rinnovata partecipazione all'attività politica, una nuova potenzialità che abbiamo acquisito anche in conseguenza del nostro passaggio all'opposizione che promuove una nuova soggettività politica. Questa nuova attenzione si esprime anche attraverso le iscrizioni al partito, in particolare modo di giovani che pongono a noi un problema di innovazione nel nostro rapporto con loro e con la società nel suo complesso.
Il congresso
Noi confermiamo oggi la scelta di convocare il congresso del partito in tempi brevi, stabilendo un itinerario che ci porti all'assemblea congressuale nazionale per la prima settimana di marzo o per gli ultimi giorni di febbraio. Comunque la scelta che compiamo è quella di fare un congresso straordinario e la motivazione sta nella nuova situazione che abbiamo di fronte e non solamente perché l'avevamo già deciso prima della scissione. Bisogna raccogliere le nuove potenzialità proprio nel senso di sviluppare la possibilità di partecipazione. Tutta la costruzione del congresso va finalizzata a questo obiettivo; il congresso stesso deve costituire un fatto nuovo di apertura del partito nei confronti della società.
Certamente vi è un limite evidente in questa scelta che propongo di compiere: facciamo un congresso in tempi strettissimi, entro scadenze politiche che non possono essere saltate. Penso alla scadenza elettorale amministrativa di primavera, le elezioni europee, che rappresentano per noi un banco di prova politico fondamentale, l'elezione del Presidente della Repubblica, la minaccia della convocazione del referendum sulla legge elettorale. Sono quindi comprensibili le proposte alternative che possono essere avanzate rispetto alla convocazione del congresso, come conferenze organizzative e programmatiche. Dobbiamo perciò scegliere non in base a ragioni assolute, ma prevalenti. Naturalmente anche l'attesa che abbiamo creato con le nostre precedenti decisioni è un elemento da considerare. L'insieme di queste considerazioni fa pesare la bilancia a favore della convocazione del congresso straordinario.
So che vi sono anche altre obiezioni che dobbiamo esaminare, quali quelle avanzate dal Forum delle donne e che riguardano la preoccupazione di rinchiudere il nostro dibattito congressuale sulla costruzione dei gruppi dirigenti, piuttosto che sulla attenzione ai nuovi soggetti sociali. Ma io credo che questi rischi sarebbero maggiori se rinviassimo la data del congresso e procedessimo alla riorganizzazione dei gruppi dirigenti in modo separato dalle scelte politiche. Noi dobbiamo fare un congresso incentrato sulla definizione della linea politica e per attuare quella apertura alla società, di cui avevamo parlato già nel precedente congresso, e che però fin qui non siamo riusciti ad attuare.
Svolta o rottura
I fatti ci hanno fornito un'evidente conferma della giustezza della scelta che abbiamo compiuto nella attuale vicenda politica. Le ragioni dell'alternativa secca tra svolta e rottura sono oggi più chiare. Avevamo detto che senza la svolta riformatrice avrebbe prevalso una tendenza moderata, ed è quanto è effettivamente successo. Tra il governo D'Alema e quello di Prodi non c'è una continuità inevitabile. In mezzo ci sta una scelta fortemente voluta. Erano infatti possibili altre soluzioni alla crisi di governo. Quella di ritirare la finanziaria e riaprire un confronto fra tutte le forze che avevano vinto le elezioni del 21 aprile '96, oppure quella di dare vita ad un governo tecnico, per così dire di decantazione. La scelta che ha dato vita al governo D'Alema non è stata affatto imposta dagli eventi, ma è stata determinata dalla ricerca della stabilità con un segno moderato.
La Grosse Koalition
Questo governo, da poco sorto, mostra delle evidenti contraddizioni, ad esempio quella tra D'Alema e Cossiga, cioè uno degli uomini più legati alla storia dell'anticomunismo del nostro paese; quella tra un premier capo della principale forza della sinistra e un programma di governo moderato e peggiorato rispetto al precedente su alcuni punti rilevantissimi, come sulla scuola e non solo; quella tra gli orientamenti assunti in campo internazionale che propongono un allentamento dei vincoli del Patto di stabilità e la sua pratica rigorosa sul piano interno.
Ma queste contraddizioni non nascondono la natura di questo governo che consiste nell'avere realizzato la grosse Koalition, nelle forme che sono possibili nel nostro paese. Abbiamo quindi un programma moderato, che sostanzia un patto di governo fondato sulla ricerca della stabilità, che a sua volta viene rafforzata dalla figura del premier. La Confindustria e i sindacati, con la linea della concertazione e del patto sociale, forniscono le basi fondanti di questa intesa.
Gli atti concreti di questo governo evidenziano la sua linea moderata. Penso all'attacco al diritto di sciopero, in particolare nel settore dei trasporti, che non costituisce un fatto straordinario, ma un'ispirazione generale. Anche con il contributo del segretario della Cgil, si propongono sanzioni, così che il conflitto sociale diventa un caso patologico da estirpare e negare in radice. Penso al processo di liberalizzazione e privatizzazione dell'Enel, che va ben al di là di quanto viene richiesto dall'Ue, e punta alla riprivatizzazione delle grandi centrali di produzione.
Penso alla fiducia posta dal governo sul decreto che stabilisce gli straordinari a partire dalla 45° ora, a suggello di una pratica concertativa che si pone in senso contrario ai processi di riduzione d'orario.
Penso alla scelta clamorosa di inserire nella legge finanziaria il finanziamento alle scuole private, mentre contemporaneamente la maggioranza rifiuta l'introduzione della legge sulle 35 ore nel collegato della finanziaria stessa. Ma voglio ricordare anche che in questa situazione la Fiat può mettere in Cassa integrazione 35 mila lavoratori, il 45% dei suoi dipendenti, senza che nessuno proponga di applicare in Italia ciò che è già stato fatto con successo in Germania, alla Volkswagen, ossia attuando una riduzione d'orario in solidarietà. Anzi sembra persino che la cosa non abbia alcun rilievo, proprio perché è avvenuta un'espulsione dalla politica dei fatti sociali.
Questo governo e stato costruito per durare, e si vuole creare un sistema politico che garantisca questo obiettivo, anche se ciò è tutt'altro che garantito. Dobbiamo prestare attenzione e sfruttare tutti gli elementi di instabilità per evitare di cadere in posizioni velleitarie. Questo governo è nato senza quel collante, rappresentato da un atteggiamento popolare, del tipo: "questo e il mio governo! " che era molto diffuso durante il governo Prodi, almeno fino all'ottobre scorso. Questo governo invece viene solo accettato, ma senza un coinvolgimento di partecipazione e di passione politica .
Il disagio sociale
Anzi stanno avvenendo fenomeni di massa significativi in senso contrario. Mi riferisco alle agitazione degli studenti che, malgrado l'oscuramento dell'informazione, rappresentano una novità rilevante. Ci domandiamo cosa sarebbe successo se anche il Prc fosse stato attirato nell'area governativa e nella corresponsabilità nei confronti dei suoi atti: non saremmo oggi nella condizione di raccogliere questa protesta e di concorrere a politicizzare questa lotta.
Nel settore dei trasporta, come nell'Atac di Roma, assistiamo a scioperi vigorosi, anche quando sono convocati da sigle sindacali apparentemente minoritarie. Gli stessi esiti delle elezioni delle Rsu nel pubblico impiego mettono in luce degli elementi innovativi interessanti e positivi. In altri settori, come nelle Poste, si manifesta un rilevante disagio sociale, che appare incompiuto e irrisolto, solamente perché non riesce a saldarsi con le lotte della compagine operaia.
Dobbiamo anche sapere guardare al contrasto potenziale tra il moderatismo del governo e l'insediamento sociale dei Democratici di sinistra. Oltre a questi elementi di incrinatura dobbiamo soprattutto guardare ai processi aperti in Europa. Non possiamo incorrere in semplificazioni, del tipo: "tutta lEuropa va a sinistra". Il processo è certamente più complesso e nella stessa socialdemocrazia europea si avvertono delle crescenti differenze, fra le tesi neoliberali di Tony Blair, quelle del governo francese che propongono un rilancio dell'intervento pubblico in economia e quelle della socialdemocrazia tedesca, su cui non posiamo ora dare un giudizio definitivo, che sembrano porsi a metà strada, ma che appaiono già ora diverse dalle ricette proposte dalla Bundesbank.
Questo processo complesso ma dinamico può aiutare a rimettere in discussione anche la situazione del quadro politico e sociale italiano. Non è semplice, ma possibile. Per trasformare questo in realtà bisogna cogliere queste potenzialità grazie allo sviluppo della nostra iniziativa politica. Il nostro problema è precisamente questo: come dare efficacia alla lotta di opposizione, alla costruzione di nuovi soggette, allo spostamento a sinistra del paese.
Il nostro progetto politico
L'efficacia della nostra opposizione è il primo problema che ha di fronte il nostro congresso. Questo non può essere fatto semplicemente aggiungendo qualcosa ai nostri sforzi, bisogna invece reinventare forme nuove di iniziativa e di organizzazione, e questo riguarda la natura del nostro progetto politico.
Abbiamo detto che il Congresso dovrà particolarmente esercitarsi sulla definizione della linea politica. Non è una scelta scontata, si può benissimo pensare ad un congresso sulle culture, sullidentità, sul profilo ideologico, sull'organizzazione del nostro partito. Invece noi vogliamo baricentrare il nostro congresso sulla definizione della linea politica, anche se naturalmente delineeremo anche i temi di ricerca che riguardano il problema principale della rifondazione comunista, cioè la strategia della trasformazione della società capitalistica. Si tratta perciò di mantenere viva un'istanza, un percorso, interno e internazionale, di critica al pensiero unico per la costruzione di un nuovo progetto programmatico. Tra questo congresso e il prossimo dobbiamo porci l'obiettavo della definizione di un programma fondamentale del nostro partito e per fare questo dobbiamo aprirci a tutte le culture critiche.
Abbiamo bisogno di un congresso aperto, sia all'interno, con contributi di elaborazione dal basso, che verso l'esterno. Dobbiamo sapere accompagnare la difesa dell'autonomia del nostro parato alla capacità di condurre un'interlocuzione con altre forze, cercando anche di coinvolgerle nell'elaborazione. Penso, ad esempio, alla Sinistra Verde, ai compagni del manifesto, penso a chi conduce esperienze di autogoverno, di autogestione, di volontariato.
Il lavoro di elaborazione
A differenza di quello precedente questo congresso non può limitarsi alla ricerca della chiarezza di linea, ma deve porsi il problema di un approfondimento e del coinvolgimento dell'intero partito nel lavoro di elaborazione. Abbiamo contratto una sorta di debito con il corpo del partito, anche nelle recenti fasi di lotta politica, e dobbiamo perciò garantire una maggiore partecipazione, che può esprimersi negli emendamenti a parti del documento, o dei documenti, che verranno proposti, a partire dai circoli fino all'assise nazionale, garantendo la possibilità di modificare i documenti finali, ovviamente evitando, con opportuni regolamenti, cordate o logiche di nicchia. Il documento congressuale dovrà essere sia netto che aperto e questo ragionamento si può proporre anche nel caso, come credo, della presentazione di più documenti.
Il centro del documento congressuale deve essere costituito dall'analisi della fase e dalla proposta politica. L'analisi non è un optional, è un elemento di identità. Proprio qui sta la radice anche della divisione che abbiamo conosciuto.
Dobbiamo condurre un analisi del caso italiano, del nostro capitalismo, delle classi dirigenti, proprio perché queste ultime, di fronte a processi di globalizzazione e di integrazione europea, stanno delineando strategie compiute. Innanzitutto dobbiamo porci il problema di chi sono queste classi dirigenti, quale è e cosa è cambiato nella composizione del capitale, ad esempio cosa è successo nel mondo bancario, ove al posto del primato della Comit e dell'impero di Cuccia, vi sono quattro grandi banche, i cui centri decisionali sono in altre parti d'Europa; oppure come è cambiato il ruolo della Pirelli, della grande industria, dei suoi rapporti con gli operatori della riproduzione culturale.
Queste classi dirigenti stanno comunque mettendo in atto una modernizzazione del nostro paese per inserirsi nel processo di globalizzazione e di integrazione europea, ma non si propongono un consenso sociale attivo, basato su ipotesi riformiste, ma in realtà passivizzante, fondato sulla coppia integrazione-frantumazione, cioè integrazione delle forze politiche e frantumazione di quelle sociali.
Le nostre classi dirigenti, dopo lesperienza degli anni '60, si propongono un nuovo disegno di integrazione, una cooptazione nelle classi dirigenti delle forze della sinistra e rappresentative del movimento operaio, e intanto promuovono la frantumazione del tessuto sociale. Il neoliberismo temperato è dunque il fondamento programmatico del nuovo patto sociale.
Su questo punto il capitalismo italiano, che non è affatto arretrato e tantomeno straccione, nutre l'ambizione di proporre un modello per l'Europa, lancia una sfida alta di cui bisogna capire i caratteri.
LEuropa e la crisi internazionale
Si stanno manifestando i primi elementi di una crisi del processo di mondializzazione capitalistica. La crisi finanziaria asiatica, quella del rublo russo, il declino, fino a poco fa inimmaginabile, dello stesso Giappone creano una instabilità nel quadro economico mondiale. A questa si aggiungono i terribili conflitti etnici, la crisi degli stati-nazione, il delinearsi di una crisi recessiva anche in Europa. Tutto questo pone interrogativi sul funzionamento dello stesso Fmi, della Banca mondiale, dei centri finanziari del capitalismo.
La capacità di attrazione del neoliberismo si è dunque seriamente incrinata. L'Europa è sfidata da una disoccupazione che continua a crescere e che mina la coesione sociale.
Qui sta la base oggettiva della stessa vittoria della socialdemocrazia tedesca. Di fronte a questo le forze moderate e di destra conducono una battaglia contro il presunto statalismo e il dirigismo, in sostanza contro la politica e la possibilità che essa ricostruisca un primato sull'economia.
Tutto ciò impone un riposizionamento dell'Europa. In questo quadro avanza, sospinta dalle banche nazionali, dalla banca europea, dai grandi tecnocrati del capitalismo, l'ipotesi di un compiuto riallineamento del modello europeo a quello americano, con la totale flessibilizzazione del lavoro e lo smantellamento del welfare state. In Italia questa prospettiva si ripresenta con la volontà di riaprire la questione delle pensioni.
D'altro canto si parla di un rilancio delle politiche espansive e di rilancio della spesa pubblica. Ma lo si fa in modo debole, anzi debolissimo, sempre all'interno dello stesso modello di sviluppo e dello stesso modello sociale. L'ultima fase del governo Prodi, la sua finanziaria, che D'Alema ripropone in modo peggiorato, configurano una versione moderata del modello liberista. Lo Stato sociale minimo e l'ulteriore flessibilizzazione del lavoro sono perseguiti con una originalità rispetto ad altri paesi, costituita dall'allargamento della pratica della concertazione e la riduzione al silenzio dell'opposizione di sinistra. In sostanza si applica ciò che Agnelli diceva con una battuta: «La sinistra fa meglio e prima ciò che dovrebbe fare la destra»! E in questo quadro il sindacato gioca un forte ruolo negativo. Questa è precisamente la base di incontro tra il centrosinistra e il centrodestra. In questa situazione ha ritrovato spazio liniziativa del potere temporale della Chiesa, sulla questione del finanziamento alle scuole private. Questa ipotesi punta a integrare nel blocco di potere tutta la sinistra e, quando questo non riesce, a metter fuori gioco ogni forma di opposizione di sinistra. In questo senso la negazione alla costituzione del nostro gruppo parlamentare non rappresenta un incidente di percorse, ma una manifestazione di questo disegno.
Questa impronta moderata cerca di coinvolgere tutti i soggetti, mentre nella società prende piede un modello neocorporativo di organizzazione, di cui la politica si fa semplice da cancellare. Così vengono frantumati i rappresentati e integrati i rappresentanti e si progetta una riforma istituzionale che possa legare i secondi ai primi, senza bisogno di conquistare un reale consenso. Insomma il progetto è quello di una società a democrazia scarsa o autoritaria. Questi elementi di analisi hanno motivato le nostre scelte e danno sostanza alla nostra linea. Il primo compito che ci sta di fronte è quello di liberare la politica, la nostra politica in primo luogo, da questo abbraccio mortale.
Opposizione per costruire lalternativa
L'opposizione che intendiamo condurre deve perciò avere caratteristiche propositive per costruire l'alternativa, e deve quindi essere dotata di un progetto. L'obiettivo è appunto quello di ricomporre la frantumazione e di spezzare la trama dell'integrazione. Bisogna riconnettere tra loro i diversi soggetti sociali. Non è un compito minore, non è solo attivismo, è un punto essenziale del processo rifondativo.
Dobbiamo individuare il centro motore di questo nostro progetto. Esso consiste nella rilettura di classe nella società, senza la quale si fa solo del populismo. Ma, nello stesso tempo dobbiamo fare emergere quelle soggettività che non sono direttamente legate al confitto di classe. Sono decisive in questo quadro l'esperienza delle donne e le culture delle giovani generazioni.
Da qui dobbiamo sapere fare ripartire un confronto fra le due sinistre. Noi continuiamo a proporre alle altre forze di sinistra di stare assieme, di fare delle cose assieme. Lo abbiamo fatto, persino con qualche disinvoltura, anche in questa campagna elettorale amministrativa. Ma questo non significa ancora condurre una politica unitaria. Quante cose sono state discusse effettivamente? Quasi nessuna. Eppure sulla questione della democrazia, dell'elezione del Presidente della Repubblica, della giustizia possiamo, l'esperienza ce lo ha confermato, fare dei passi avanti in una politica unitaria, dobbiamo sfondare il muro della incomunicabilità.
Dobbiamo proporre una sfida alta tra la sinistra riformista e la sinistra alternativa. Noi abbiamo vinto la sfida dell'autonomia, ora dobbiamo riprendere il tema dellunità.
Ma il dialogo non può eludere il punto centrale, come invece hanno fatto anche importano e recenti riflessioni di donne e uomini deva sinistra, che è rappresentato dal rapporto fra il lavoro e la democrazia, nell'assenza del quale si manifesta una vera e propria crisi di civiltà. Qui è il luogo della sfida tra comunisti e riformisti.
Il nostro congresso è quindi chiamato, oltre che a ragionare sull'efficacia della nostra lotta d'opposizione, a proporsi questi grandi temi: la definizione di una proposta programmatica che parta dal tema del lavoro; la costruzione di un movimento riformatore; la costruzione di un movimento per lo sviluppo delle forme di democrazia diretta; la sfida con il centrosinistra sul nesso tra lavoro e democrazia in Europa e in Italia.
La proposta programmatica
La proposta programmatica che vogliamo avanzare a partire dal lavoro nasce dall'esigenza di tenere assieme due elementi, un approccio di classe al problema e una capacità di interpretazione della nuova composizione nel lavoro. Dobbiamo fare emergere la nuova centralità del lavoro salariato per contrastare a fondo le tesi del suo declino, della sua tendenziale sparizione, ponendo al centro la valorizzazione, sotto ogni aspetto, del lavoro. La sua svalorizzazione infatti consiste da un lato nell'aumento della disoccupazione e dall'altro nell'intensificazione dello sfruttamento e dell'alienazione. Bisogna battersi oltre che per l'occupazione per la qualità del lavoro, per i diritti nel lavoro, per l'aumento dei poteri dei lavoratori nei luoghi di lavoro.
Per questo compito è decisiva la prosecuzione dell'inchiesta in cui da mesi siamo impegnati sulla condizione del lavoro e del non lavoro.
Dobbiamo tenere conto del contesto in cui si svolge il lavoro, ossia lambiente naturale, fisico e la dimensione europea e mediterranea in cui questo avviene. È impossibile progettare nuovi lavori e nuova occupazione senza tenere conto di questi due elementi.
È necessario un nuovo approccio ai temi della formazione e della cultura. La produzione di nuova cultura deve avere alla base la critica al pensiero unico e la scuola deve diventare un punto nodale nella ricomposizione sociale e nella formazione di una nuova intellettualità di massa, nella ridefinizione dei saperi.
Lo stato sociale
La difesa dello stato sociale deve sapere coniugare universalismo e qualità delle prestazioni lungo un asse di forte innovazione. La critica delle donne, con la messa a fuoco del nesso tra produzione e riproduzione sociale, e delle nuove generazioni sono assolutamente decisivi in questo compito. Lintegrazione che viene praticata oggi non assomiglia a quelle precedenti, poiché prima vi era una parziale redistribuzione della ricchezza sociale, che almeno permetteva di fuoriuscire dalla povertà, il che non accade più perché non basta essere lavoratori per uscire dallo stato di povertà. Bisogna perciò ripensare e riproporre un intervento diretto dello stato nelle politiche redistributive, di cui vi è totale assenza dopo labbattimento definitivo dell'istituto della scala mobile e in presenza di un attacco allo stesso contratto nazionale di lavoro.
Vi è un grande problema di rapporto fra l'insediamento storico nel lavoro salariato e le nuove frontiere del lavoro e del non lavoro. Genericamente e imprecisamente chiamiamo questultimo precariato o lavoro autonomo di seconda generazione. In ogni caso è evidente che si pone un nuovo problema, di complessità probabilmente superiore a quella del nesso tra lavoro professionalizzato e lavoro di serie.
Ma vi è anche da ripensare il nesso fra conflitto di lavoro e per il lavoro e diritto della persona. Questo tema ci rimanda alla grande questione dell'immigrazione, senza affrontare il quale è impossibile costruire un'Europa sociale.
Nel nostro continente abbiamo condotto esperienze significative di lotte sovranazionali per il lavoro, dagli appuntamenti fissati dal gruppo parlamentare del Gue, alla marcia per il lavoro. Questo ci permette anche di progettare un appello comune delle forze comuniste e antagoniste per le prossime elezioni europee. Ma è indubbio che siamo appena agli inizi di un percorso assolutamente necessario.
Quando pensiamo alle forme di democrazia diretta, dobbiamo prestare attenzione al mondo della cooperazione, del lavoro associato, ma soprattutto stare attenti al nuovo in termini di autogestione. Ed è determinante progettare e realizzare forme di organizzazione democratica diretta nei luoghi di lavoro.
Dobbiamo condurre un approfondimento sul cambiamento di scena in cui si inserisce la nostra iniziativa. Noi continuiamo a parlare di un'Italia come se fosse una, il che non è, viste le differenze crescenti. Ci sono culture, profili socioeconomici diversi. Un tempo il triangolo industriale del Nord si presentava diverso dal centro Italia con la presenza di un forte movimento cooperativo, mentre il Sud si presentava omogeneamente arretrato. Oggi la situazione è cambiata e le distanze sono ancora maggiori. C'è la nuova realtà del Nord-Est, punta di diamante di questa ristrutturazione capitalistica.
Il rapporto con il sindacato
C'è l'Italia dei distretti industriali con un impasto dei vari fattori e agenti economici e un suo specifico processo di integrazione. C'è un Mezzogiorno con elementi di differenziazione al suo interno.
Nelle città assumono un'importanza centrale per noi le grandi periferie urbane. Lì si vede se nasce un grande partito comunista di massa, a seconda se riesce o non riesce a radicarsi in quei luoghi.
Dobbiamo perciò adeguare, ripensare e creare nuove forme di organizzazione e di conflitto tenendo conto di queste nuove realtà.
Qui emerge una questione di grande difficoltà: il nostro rapporto con il sindacato. Quest'ultimo è diventato, da organizzatore del conflitto, istituzione di governo. Ma la soluzione del problema non è semplice, bisogna rinunciare alla ricerca di ricette semplificate. La stessa elezione delle Rsu mette in luce la complessità del problema. Ma non si può oscillare tra l'idea che la Cgil sia l'unico luogo dove stare e le pulsioni alla scissione sindacale. È vero il sindacato italiano è l'unico in Europa a non avere partecipato alla lotta contro le privazione, che è pure un punto cruciale; così pure quando interviene sulla questione degli scioperi nel settore dei trasporti sembra essersi dimenticato ogni analisi sulla terziarizzazione dei conflitti nella società moderna e gli inevitabili problemi che si pongono. Invece il sindacato si muove addirittura in una logica repressiva su questa questione. Eppure non possiamo trovare facili scorciatoie, dobbiamo invece favorire la costruzione di un'ampia sinistra sindacale, anche attraverso la pratica di esperienze concrete che si oppongono concretamente alla linea sindacare dominante. È giusto ribadire che è necessario costruire un coordinamento politico dei comunisti presenti in ogni tipo di organizzazione sindacale. Ma questo non basta. Dobbiamo porci il problema di organizzare direttamente e alla base il conflitto. Dobbiamo proporre dei "comitati di scopo", come ad esempio contro la privatizzazione dell'energia elettrica, a partire dai lavoratori delle centrali.
Dobbiamo approfondire il ragionamento sulla crisi della democrazia. Ormai c'è una forma di governo allargato, che unisce lEsecutivo, il sistema creditizio, la Banca d'Italia, i sindaci delle grandi città ecc., che serve per garantire la stabilità e che svuota la politica di significato sociale. Contro questo dobbiamo progettare nuove forme di democrazia rappresentativa, a partire dalle forme più semplici di autorganizzazione.
Il partito
Nel nostro congresso dovremo dedicare una grande attenzione al valore strategico del partito, come anticorpo di fronte ai processi di disfacimento della democrazia. Abbiamo bisogno di un partito che attraversi tutta la società e si ponga il problema della sua trasformazione, di un partito che sia motore diretto e indiretto dei movimenti. In questa riflessione non cominciamo de zero, ma ripartiamo dal convegno di Chianciano, domandandoci innanzitutto perché quello che lì si disse non siamo riusciti a realizzarlo. Dobbiamo valorizzare il circolo e i luoghi del fare, in cui si esprime il bisogno sociale. Il partito deve vivere come agente critico dell'esistente e come intellettualità collettiva. Di Fonte alla recente crisi politica molti hanno titubato, proprio perché non avevano chiari gli elementi di analisi della fase e la concezione del partito come anticorpo rispetto alla democrazia autoritaria. Voglio concludere con un esempio di grande valore. La stessa vicenda di Ocalan dimostra che per noi parlano i fatti. Nell'agire è fondamentale fare vedere il rapporto con quello che si pensa e viceversa. La questione curda ripropone il tema delle lotte di liberazione. All'impresa non interessa nulla della causa del popolo curdo. È in fondo la stessa cosa che ripete il subcomandante Marcos, quando afferma che la motivazione dello sterminio del popolo indio risiede soprattutto nelle ricchezze del suolo e del sottosuolo di cui il grande capitale vuole impossessarsi. Da qui parte una critica radicale al processo di globalizzazione. Per questo la nostra politica internazionale non si muove per giustapposizione di situazioni e di solidarietà, ma è tenuta insieme dalla lotta contro gli effetti di questa globalizzazione. Ed è così che daremo una grande visibilità alle questioni internazionali nel nostro congresso.
Credo che tutti gli argomenti che qui ho presentato diano fino in fondo le ragioni della necessità di convocare un congresso straordinario.