«Rifiutare il manicheismo»

Un intervento di Antonino Cuffaro

(presidente della Commissione "Problemi dello Stato" del Cpn Prc)

Liberazione 30 agosto 1998

Non si può che essere in apprensione per il modo in cui in questo agosto caldissimo si è sviluppato il confronto al nostro interno. Il modo in cui si è discusso e si discute (come nel caso della proposta del compagno Nesi, pur opinabile ma fatta con intenti costruttivi) è la conferma di un profondo stato di disagio del partito, foriero, senza contro misure, di profonde lacerazioni. È in gioco il nostro futuro e l'immagine che si da di noi (con qualche buona ragione leggendo articoli, dichiarazioni, interviste che provengono dal nostro interno) è ormai quella di un campo di battaglia in cui, da opposte trincee, soprattutto i "graduati" si scambiano colpi quotidiani. Per quanto mi riguarda, ho più che una speranza, ma concreti riscontri che esiste nel partito uno spirito unitario in un'area, che affonda le sue radici nella tradizione di coesione del Pci, che è pronta a battersi per evitare l'irreparabile.

È un'area che va ascoltata e valorizzata e che può assumere un ruolo di equilibrio e di garanzia perché il dibattito torni ad imboccare i bilanci e i binari della politica: e non quelli dello scontro perpetuo e dell'attesa della conta.

E certamente un "tornare alla politica" riaffermare con forza e sostenere in concreto le ragioni sociali e politiche di una svolta nell'azione di governo su cui si è espresso il Cpn. Ma è anche "tornare alla politica" constatare che nel partito sia pure non chiaramente raccolti nei documenti votati, ci sono motivi di profonda preoccupazione per gli scenari che possono seguire ad un'eventuale rottura dell'attuale equilibrio politico (instabile, ma equilibrio) che si è formato attorno al governo Prodi. Chi ha responsabilità nella guida del partito non può disconoscere queste preoccupazioni ed aspettare passivamente (od ostinatamente) che si arrivi ad un atto finale, ad un voto che sancisca la lacerazione interna.

Ritengo che se rifiutiamo il manicheismo che già ha avuto modo di segnare negativamente lo stesso breve cammino di Rifondazione (e il compagno Caprili dovrebbe saperne qualcosa) uno sbocco unitario alla discussione si possa e si debba approvare.

Il prestigio e l'intelligenza politica di un segretario di partito, doti che indubbiamente non mancano al compagno Bertinotti, in una situazione come la nostra, debbono essere messe al servizio non solo della battaglia esterna, ma anche della ricerca di una soluzione unitaria della crisi interna, di una strada che tutto il partito possa percorrere insieme.

Se uno sforzo da fare per non utilizzare soltanto "la spada di Brenno" nei nostri rapporti con il governo e con la maggioranza, ma per cercare di smuovere dal basso (e nel profondo) la "politica" per suscitare orientamenti, reazioni, lotte (e coinvolgimenti di altre forze politiche e sindacali) per sollecitare, per premere, per imporre la svolta. La nostra attuale condizione di partito impegnato a sostenere il governo non ci può impedire di ricorrere ad un rapporto diretto con il paese, a grandi movimenti di massa per sostenere il mutamento deciso di rotta. Tutto questo se davvero si vuole la svolta e non si è pregiudizialmente per la rottura. Mi pare poi che nessun passo avvenuto possa essere compiuto senza dedicare attenzione ai possibili scenari della caduta del governo, da chiunque provocata, può determinare.

Non si ha idea di quanto questo problema sia attentamente considerato e valutato nella nostra base. Può un gruppo dirigente trascurare questo aspetto che pervade tutto il partito? Per conto mio, sarebbe non solo molto grave una interruzione anticipata della legislatura, ma che si aprisse la via nel semestre bianco, al rientro nell'area di governo delle vecchie consorterie democristiane (ed associate) che hanno generato i disastri che ancora oggi sta fronteggiando il governo nato con il nostro concorso dopo la vittoria del 21 aprile. Un reingresso di queste forze alla guida del paese non agevolerebbe certamente i lavoratori, i pensionati, i giovani in cerca di occupazione, le categorie più deboli e provate. E non aumenterebbe certamente lo sforzo per combattere povertà e degrado al centro delle nostre giuste preoccupazioni.

La situazione è certamente complessa, difficile e non bisogna che i nodi restino al pettine per ritrovarceli alla fine della legislatura, compromettendo il futuro democratico del paese. Ma esistono le condizioni perché il "fronte della svolta" si allarghi perché una forte e positiva pressione sul governo si faccia sentire da più parti, perché vengano spezzati i giochi che attorno al governo Prodi vanno cercando soluzioni alternative moderate, ma gravi e di retroguardia.

Abbiamo il dovere di non continuare a "cecchinarci" fra di noi ma di stringere e di movimentare il dibattito anche su temi che sfuggono correntemente alla nostra attenzione (o che affrontiamo in modo sporadico) che costituiscono però veri macigni che ostacolano lo sviluppo democratico del paese e condizionano negativamente lo stesso conflitto sociale, il riscatto del Mezzogiorno, la crescita dell'occupazione.

Nel Pci anche nei tempi di ferro e di fuoco ci si sforzava di comprendere i sentimenti profondi della base del partito. Oggi più che mai, questo atteggiamento diventa un imperativo per tutti noi. Soprattutto se consideriamo che, dopo la crisi di governo rientrata dello scorso ottobre, l'elettorato ha mostrato di allentare la sua fiducia nel nostro partito.

Un'inerte attesa della conta contrasta con il sentimento unitario che c'è alla base, con la migliore tradizione dei comunisti italiani, con le stesse esigenze di autonomia e di presenza nella società e nelle istituzioni nel nostro partito. Ripeto, c'è un'area vasta in Rifondazione disponibile ad uno sforzo unitario. Sarebbe grave colpa non comprenderne le ragioni, arrestare il processo di Rifondazione (del resto inceppato da cause vicine e vizi d'origine nel nostro partito) e lasciare colpire al cuore una forza che può diventare grande e di cui certamente il paese ha bisogno.