«La svolta tocca a noi»

Un intervento di Flavia D'Angeli, esecutivo nazionale Giovani comunisti e Alessandro Frigeri, coordinamento nazionale Giovani comunisti

Liberazione 28 agosto 1998

Bene ha fatto il compagno Pignatiello - domenica 23 agosto scorso - a introdurre, nel dibattito che il nostro partito ha deciso di aprire attorno ai temi del rapporto con il governo e del ruolo che una forza che si ostina a definirsi comunista dovrebbe conseguentemente svolgere in questa fase, lo specifico angolo di visuale dei giovani.

È vero: sono i giovani coloro che subiscono in maniera più netta il vuoto di prospettive determinato da fenomeni attualissimi quali il dilagare della disoccupazione di massa o l'allargarsi dei processi di precarizzazione, coloro che quindi con più facilità, in un momento tanto cruciale come quello della propria formazione, rischiano di assimilare in maniera più duratura quegli elementi di rassegnazione, di qualunquismo e di individualismo che tanta parte oggi giocano nel mondo dominato dal "pensiero unico".

Ma sarebbe atto di grave negligenza non accorgersi della presenza, negli intersizi della condizioni giovanile, anche di nuove capacità di resistenza. È stato grazie alla carica proveniente dalle giovani generazioni che abbiamo assistito a generosi slanci di solidarietà nei confronti di popoli in lotta come quello chiapaneco a significative mobilitazioni in difesa di diritti messi oggi più che mai in discussione come quello allo studio per tutti e tutte; molti erano i giovani in prima fila nelle lotte dei disoccupati e degli Lsu di queste ultime settimane; è attorno alla convinzione che questo non sia il migliore dei mondi possibili che si è sedimentato in quest'ultimo decennio, attorno alla variegatissima e complessa esperienza dei centri sociali, un ampio tessuto antagonista, certo non scevro di contraddizioni e debolezze ma comunque vero canale di radicalizzazione politica per migliaia di giovani.

Quali di queste tendenze avranno il sopravvento? Nella costruzione dell'identità di una generazione su cui peserà, più che su altre, il gravoso compito della rifondazione comunista quanto inciderà l'apatia e il fatalismo, quanto il desiderio di riscossa e la possibilità di credere in un'alternativa? Molto dipenderà anche da noi. Innanzitutto, dalla nostra capacità di alimentare le spinte antagoniste, di esserne parte integrante; in altri termini, dalla capacità di impegnare i nostri migliori quadri nell'animazione del movimento e nella costruzione dei suoi luoghi e dei suoi strumenti, evitando nei confronti di ciò che si muove nel sociale ogni tentazione di chiusura e di spocchiosa autosufficienza.

Certo, quest'attitudine non è sufficiente in sé. Deve essere accompagnata da una proposta politica in grado di farci assumere un profilo che ci permetta di orientare i movimenti e le loro strutture di massa. Proporci di dare ai primi uno sbocco politico capace di evitare e la facile integrazione e azione disperata priva di prospettive, concepire le seconde come luoghi in cui accumulare le energie antagoniste che il malessere sociale inevitabilmente produce, articolare nei movimenti uno sforzo teso a chiarire chi siano i veri avversari chi i potenziali alleati: a questo dovrebbe prima di tutto essere votata la nostra azione. Ed in questa direzione dovrebbero andare le proposte di iniziativa dei Gc per l'autunno che ci attende: dal rilancio della rete nazionale dei collettivi studenteschi attorno alla lotta contro la controriforma berlingueriana al rafforzamento del nostro intervento sul terreno della disoccupazione e del precariato assieme all'Associazione In Marcia, passando per una campagna nazionale centrata attorno ai temi del disagio giovanile.

Gravi sono comunque le carenze nella costruzione delle nostre strutture? Pessimo lo stato della nostra presenza nei quartieri e nelle scuole? Sì, senza dubbio, e troppo di frequente ce lo si nasconde. Ma a nostro avviso la principale ragione di tali difficoltà non va individuata in un presunto estremismo parolaio di cui il gruppo dirigente dei Gc si sarebbe fati o promotore (!), quando piuttosto nella scarsa credibilità che, agli occhi di quei settori che ancora si dimostrano disponibili ad un impegno militante, ha assunto una linea che propugna il conflitto per poi dipingere le misure contro cui tale conflitto dovrebbe scagliarsi come "il minore dei mali possibili". È continuando a chiedere una "svolta" a coloro che non mancano occasione per dimostrarsi convinti apologeti dei dettami neoliberisti - che parlano di programmazione pensando a nuove dosi di flessibilità e chiamano riforme i tagli alla spesa sociale e le defiscalizzazioni alle imprese - che rischiamo di veder lentamente svuotarsi i nostri circoli. La vera "svolta" in realtà tocca a noi, tornando a rafforzare nei nostri militanti e tra i giovani la convinzione che, sì, a questo governo e a questa politica è possibile e necessario opporsi.