Tribunale penale di Roma

Num. Reg. Notizie di reato : 01427/94

Num. Reg. Gen. Tribunale : 01797/95

Num. Reg. Sez. Tribunale 00230/95

Sezione 6° Composto dai seguenti Magistrati :

Dott. Almerighi Mario

Dott. Mazzacane Enrica

Dott. Russo Francesca

Con l’intervento del PM Dott. Iori Davide

e con l’assistenza della Sig. Notarmuzzi Renata

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Nella causa penale di 1° grado

Contro

Arconte Antonino Stefano

nato il 10/02/’54 a OR

Libero - Presente.

Art.368 ; Art. 81 Cp, in Roma il 28.7.’93 e 6.8.’93

Del reato P. e P dagli Artt. 81 CPV., 368 C.P. per avere con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, con lettere pervenute al Ministero di Grazia e Giustizia il 28 Luglio ’93 ed alla Presidenza della repubblica il 6 Agosto ’93 in Roma, Uffici che avevano l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria, accusato il proprio fratello Arconte Stefano Rodolfo e Carta Vincenzo di calunnia ai suoi danni, il Marescialo dei Carabinieri Curcu Antonio, il Commissario di P.S. Antonio Mannoni, l’Ispettore La Gioia Cosimo, l’Agente di P.S. Renato Locci, l’Assistente di P.S. Carlo Sanna di aver costruito nei suoi confronti false accuse rendendo anche false testimonianze ed i Giudici Maria Cristina Lampis (PM) e Luigi Mastrolilli (G.I.P. e Presidente di sezione) di aver concorso nei reati di calunnia, simulazione di reato e abuso d’ufficio ai suoi danni.

Conclusioni delle parti

P.M. : Con la concessione delle circostanze attenuanti generiche, condanna dell’imputato alla pena di anni due di reclusione ;

Difesa : in via principale, non doversi procedere perché l’azione penale non doveva essere iniziata ; in subordine, assoluzione perché il fatto non costituisce reato per mancanza di dolo o perché il fatto non sussiste.

Motivi della decisione

Con decreto emesso in data 17.11.94 il G.i.p. presso questo Tribunale disponeva il rinvio a Giudizio di Arconte Antonino Stefano per rispondere del reato indicato in epigrafe.

All’Udienza del 13.11.’95, celebratasi dopo le due udienze di mero rinvio del 27.3.95 e del 6.6.’95, dopo l’esposizione dei fatti oggetto dell’imputazione svolta dal PM, le parti formulavano le rispettive richieste di ammissione dei mezzi di prova. Al termine, il Tribunale ammetteva tutte le prove così come dedotte dalle parti medesime.

Nel corso della stessa udienza si procedeva all’esame del teste Arconte Stefano Rodolfo, fratello dell’imputato.

All’udienza del 5.3.’96 si procedeva alla rinnovazione degli atti sino a quel momento conpiuti, rilevata la diversa composizione del Collegio, nonché all’esame dei testi Mannoni Antonio e Sanna Carlo.

All’udienza del 25.9.’96 si procedeva all’esame dei testi Locci Renato, La Gioia Cosimo e Pinna Graziella, moglie dell’imputato, e si acquisiva il verbale di arresto dell’imputato redatto in data 2.3.’91 ; nel corso della stessa udienza l’Arconte Antonino rendeva spontanee dichiarazioni.

All’udienza del 4.2.’97 si procedeva nuovamente all’esame dei testi mannoni Antonio e Pinna Graziella, dopo avere ancora proceduto alla rinnovazione degli atti compiuti dal Collegio diversamente composto. La difesa produceva infine gli originali dei verbali di perquisizione redatti in data 2.3.’91 presso la questura di Oristano.

All’ultima udienza del 17.11.97, celebratasi dopo l’udienza di rinvio del 18.6.’97, dopo la rinnovazione degli atti compiuti nelle precedenti udienze indicate nel relativo verbale, il Presidente dichiarava chiusa l’istruttoria dibattimentale ed invitava le parti alla formulazione delle rispettive conclusioni, i cui termini sono stati in principio riportati.

Ritiene il Tribunale che le risultanze processuali abbiano ampiamente dimostrato il perfezionamento del reato continuato di calunnia contestato all’imputato, sotto il duplice profilo materiale e soggettivo, nei confronti di tutte le parti offese.

Con missive pervenute presso il Ministero di Grazia e Giustizia in data 28.7.1993 e presso la Presidenza della Repubblica in data 6.8.1993 (uffici senza dubbio obbligati a riferire il contenuto delle missive predette all’autorità giudiziaria) l’imputato risulta infatti avereaccusato il fratello Stefano Rodolfo Arconte e Vincenzo Carta, quest’ultimo coinvolto con l’imputato in una vicenda relativa alla cessione di sostanza stupefacente già definita con Sentenza passata in giudicato, di avere a loro volta commesso il reato di calunnia nei suoi confronti ; il M.llo dei Carabinieri Curcu Antonio, il Commissario Mannoni Antonio, l’Ispettore di P.S. La Gioia Cosimo, l’Agente Locci Renato ed infine l’Assistente Sanna Carlo, di avere precostituito accuse nei suoi confronti con la consapevolezza della falsità delle stesse ; i Magistrati Lampis Maria Cristina e Mastrolilli Luigi di avere infine commesso ai suoi danni i reati di calunnia, abuso d’ufficio e simulazione di reato nell’esercitare le loro funzioni, adottando nei confronti dell’Arconte i provvedimenti indicati dall’imputato medesimo nell’ampio carteggio agli atti redatto da quest’ultimo.

Il presupposto delle doglianze dell’imputato è rappresentato dallo svolgimento e dagli esiti di vicende processuali pregresse che certamente non possono essere ripercorse da questo Tribunale se non al limitato fine di valutare il perfezionamento del reato di calunnia ascritto all’Arconte.

Giova ribadire che le circostanze che condussero al suo arresto risultano essere state definitivamente accertate con sentenza di condanna di primo grado (Tribunale di Oristano dell’8.3.1993), riformata in sede di appello solo con riferimento alla pena (Corte di Appello di Cagliari del 14.11.1995) ... (N.d.R : le sentenze citate si conclusero con assoluzione perché il fatto non sussiste, si tratta di un errore di cui si potrà capire meglio nei motivi di Appello): può pertanto escludersi che l’intera vicenda processuale conclusasi nei termini suddetti abbia potuto abbia potuto essere il risultato di una concertazione calunniosa ordita dalle forze di polizia giudiziaria e dall’autorità giudiziaria medesima, ciò anche alla luce delle testimonianze rese nel corso dell’odierno dibattimento dagli agenti e dai funzionari di P.S. che parteciparono all’arresto e allo svolgimento delle indagini nei confronti dell’imputato.

In particolare, il Commissario Mannoni, escusso all’udienza del 5.3.1996 e nuovamente sentito all’udienza del 4.2.1997, pur avendo ammesso di aver partecipato alla perquisizione nell’abitazione dell’imputato, ha più volte ribadito di non aver preso parte all’operazione di appostamento svoltasi nei pressi della pineta limitrofa e di aver firmato il verbale conclusivo di arresto soltanto negli uffici di P.S. ad operazione conclusa, secondo consuetudine. Pertanto la circostanza, evidenziata dalla difesa e relativa alla difformità esistente tra l’originale e la copia dei verbali acquisiti agli atti (verbale di ispezione dell’autovettura del 2.3.1991 e verbale di perquisizione dell’abitazione dell’imputato, redatto in pari data), il primo recante e la seconda priva della firma del predetto Commissario, non assume alcun valore probante circa la volontà di quest’ultimo di non voler apparire come partecipante all’operazione di polizia giudiziaria, coordinata invece dal Mannoni come da egli stesso affermato in dibattimento (N.d.R. : il Commissario, come gli altri sottuff. e agenti, firmarono la dichiarazione di avermi visto in quella strada con Vincenzo C. e sulla quale si fondarono il mio arresto e la mia condanna di cui leggerete nei motivi d’appello e avete letto nei verbali di interrogatorio testi), ben potendo essere stata fatta la copia dei predetti verbali prima dell’apposizione della firma dell’operante gerarchicamente superiore, senza che quest’ultimo abbia dovuto necessariamente accorgersene. Del resto, sulle copie dei verbali prodotte, appare, in fondo alla pagina, l’apposizione della convalida del Sost. Proc. Lampis, convalida che al contrario non figura sugli originali.

L’agente di P.S. Sanna ha invece confermato di aver partecipato all’operazione che condusse all’arresto dell’Arconte (N.d.R. : ha negato però di avermi visto in auto con Vincenzo C., in contrasto con quanto asserito nella dichiarazione del 2.3.1991 sulla quale si fondarono il mio arresto e la condanna !) ma di non sapere che all’epoca esistevano dissidi familiari originati da contrapposte pretese ereditarie tra l’imputato ed il fratello Stefano Rodolfo.

Parimenti l’Ispettore di P.S. La Gioia Cosimo ha precisato di non aver mai avuto rapporti personali con l’imputato e di non aver fatto parte della pattuglia operante in pineta all’epoca dell’arresto dell’Arconte (N.d.R: ma quella dichiarazione del 2.3.1991 è firmata anche da lui !).

Infine l’operante Locci ha ribadito che non esisteva alcuna prevenzione degli agenti della DIGOS nei confronti dell’imputato per ragioni legate all’appartenenza di quest’ultimo ad un movimento politico di Oristano (i Verdi) la cui attività a livello cittadino avrebbe potuto sensibilmente disturbare l’operato di alcune autorità pubbliche detentrici del potere così come sostenuto dall’Arconte nelle sue missive, acquisite agli atti. (N.d.R. : da Leader di quel movimento, tentavo di impedire che la Federazione dei Verdi finisse colonizzata da altre e ben identificate forze che ecologiste non erano !).

Nella deposizione del fratello dell’imputato, Stefano Rodolfo Arconte, resa in dibattimento quando ormai i dissidi familiari risultano essersi risolti in seguito ad accordi intercorsi tra le parti in merito alle questioni ereditarie predette, la vicenda processuale che fa da sfondo a quella attuale viene ripercorsa soffermandosi spesso sullo spirito di vendetta nutrito da Vincenzo Carta nei confronti di Stefano Rodolfo Arconte medesimo e che avrebbe indotto il Carta ad accusare l’imputato per colpire in realtà il vero nemico, rappresentato dal fratello Stefano Rodolfo Arconte.

Il contenuto della deposizione tuttavia, pur apparendo utile per comprendere il clima ed il tenore dei rapporti esistenti tra i vari protagonisti della suddetta vicenda, non sembra gettare ombre in ordine alla correttezza dell’operato degli appartenenti alla Polizia giudiziaria. (N.d.R. : e le false dichiarazioni in atti del 2 marzo 1991 sulle quali si fondarono il mio arresto e la mia condanna ! ? ...sarebbero corrette ! ?).

Lo stesso operante Locci Renato, del resto, specificatamente interrogato sul punto, ha negatoche Stefano Arconte, recatosi in questura il giorno dell’accaduto, gli avesse riferito di essersi trovato con il fratello proprio quella mattina, fornendogli così un alibi.

Persino la testimonianza del principale teste della difesa, la moglie dell’imputato Pinna Graziella, sentita alle udienze del 25.9.1996 e del 4.2.1997, non appare porsi in contraddizione con il contenuto delle deposizioni degli altri testi : pur apparendo un teste attendibile, ella si sofferma su particolari della vicenda dai quali ancora una volta non è dato intravedere, sia pure sotto un profilo deontologico professionale, alcuna concertazione calunniosa ai danni del marito (N.d.R. : ...solo la falsità delle dichiarazioni degli agenti sulle quali si fondarono arresto e condanna di un cittadino innocente ! ! ...ho amaramente constatato che per la Sentenza questa non è nemmeno una scorrettezza sotto il profilo deontologico professionale!);

riferisce in merito ai colloqui avuti con il Commissario Mannoni, il quale avrebbe cercato di tranquillizzarla in ordine ai possibili esiti della vicenda nonché in merito alle difficoltà di accesso alla pineta, a causa di lavori in corso all’epoca delle indagini, incontrate dal Commissario Mannoni e dagli agenti, i cui movimenti potevano essere osservati dalla Pinna medesima dalla sua abitazione, difficoltà che sarebbero poi inspiegabilmente state sottaciute dal Commissario medesimo e che avrebbero potuto scagionare invece l’Arconte Antonino dalle accuse mossegli. Premesso che la decisività di tale circostanza nel giudizio ormai definito resta indimostrata, (N.d.R. : La sentenza del 20.3.1991 recita testualmente di fondarsi sulle dichiarazioni in atti del 2.3.1991 degli agenti verbalizzanti ! ! !, ...senza quella dichiarazione "falsa" non sarei stato nemmeno arrestato ! ! !), appare evidente che eventuali lacune ravvisabili nello svolgimento delle indagini avrebbero dovuto essere fatte valere dall’Arconte nelle competenti sedi giudiziarie attraverso il mezzo dell’impugnazione il quale, infatti esperito, ha portato ad una conferma nel merito della condanna di primo grado, pur diminuendo l’originaria pena inflitta all’Arconte. (N.d.R. : questa è buona! ; la Corte d’Appello fondò la conferma sulle stesse dichiarazioni "false" degli agenti verbalizzanti il 2.3.1991 ed io ho ricorso anche a Strasburgo, oltre che al Capo dello Stato ed al Ministero di G. Giustizia per veder fatta giustizia. Con questo bel risultato per quanto riguarda le autorità Italiane !).

Alla luce delle testimonianze predette, le quali insieme delineano un quadro probatorio concordante nell’escludere qualsivoglia concertazione calunniosa preordinata ai danni dell’imputato, resta da analizzare il contenuto delle missive indicate nel capo di imputazione. (N.d.R. : la frase si commenta da sola !).

Nell’Esposto del 23 Luglio 1993, indirizzato al Ministero di Grazia e Giustizia (N.d.R. : ed al Capo dello Stato ed alla Commissione Europea per i Diritti dell’Uomo di Strasburgo !), dopo poche righe di presentazione del "caso" che lo ha visto protagonista, l’Arconte definisce alcuni magistrati, poliziotti e carabinieri "conniventi con delinquenti abituali, in questo caso mio fratello Stefano Rodolfo Arconte ed il suo compare Vincenzo Carta i quali, scambiandosi favori con agenti della Questura di Oristano e il sottufficiale dei Carabinieri Curcu Antonio, sono riusciti ad ottenermi ingiuste condanne simulando grossolanamente mai avvenuti reati di spaccio ..." - "...nei modi artificiosi che grazie alla compiacenza dei Giudici P.M. Maria Cristina Lampis e G.I.P. Mastrolilli Luigi hanno permesso di simulare i reati ed un arresto in flagranza, in funzione di ciò altrettanto falso" (N.d.R. : esattamente fondatisi sulle dichiarazioni degli agenti in atti del 2 Marzo 1991, poi smentite da essi stessi in aula sotto giuramento a Roma ! ! !).

Nel proseguo dell’Esposto vengono indicati con nome e cognome i "poliziotti conniventi con Stefano Rodolfo Arconte e Vincenzo Carta : 1) Commissario Mannoni Antonio - M.llo Cosimo La Gioia - Ag. Renato Locci -Ag. Carlo Sanna ". Altrettanto forti sono le espressioni conclusive utilizzate dall’Arconte nei confronti dei predetti : "Aspettano che venga a patti offrendo qualcosa per liberarmi ! Una cosa che non farei mai ! pagare un riscatto per potermi liberare, ma NON E’ COSI’ CHE AGISCE LA MAFIA ? ma è un progetto che si è potuto portare a questo punto grazie alle complicità interne alle Istituzioni Democratiche".

Ancora nell’Esposto che reca la data del 6.8.1993, apposta dall’Ufficio per gli affari Giuridici, l’Arconte si riferisce ai "Delatori Delinquenti e alcuni loro conniventi interni alle Istituzioni. Essi non si sono fermati nemmeno davanti allo spergiuro pur di favorirei delinquenti con i quali hanno patti scellerati" ; ed ancora aggiunge : "protetti da grado e funzione pubblica esercitano la menzogna, la simulazione e la calunnia" (N.d.R. : non è dimostrato da quella dichiarazione in atti con la quale dichiaravano di avermi visto in auto con Vincenzo Carta quando, invece, non era vero ? ...su questo si fondarono, come detto, arresto e condanna e tutte le persecuzioni ingiuste che ho subito ! ! !).

L’atteggiamento psicologico ispiratore di simili affermazioni si palesa ulteriormente nel contenuto dell’Esposto diretto all’on. Martelli Ministro di G. Giustizia il 3.8.1993, laddove l’imputato si riferisce alle "fandonie" raccontate dal Commissario Mannoni (N.d.R. : come le chiamereste Voi ?) ed allude ad una sorte di persecuzione posta in essere dal P.M. Dott.ssa Lampis ai suoi danni : il P.M. predetto, afferma Arconte, "non voleva che io andassi in pineta a far sparire le prove" ed accenna ad un ordine di persecuzione che "era stato dato ancora una volta dal P.M. Maria Cristina Lampis".

Tale atteggiamento psicologico risulta altresì persistente nel tempo, a giudicare dalle numerose missive pervenute a questo Tribunale nel corso del processo e redatte a distanza anni dagli esposti di cui all’imputazione : persiste, nella missiva recante la data del 2.7.1997, l’uso indiscriminato di espressioni forti sintomatiche, assai più di un pur comprensibile atteggiamento vittimistico, di un intento calunniatore dell’Arconte, quando egli stesso afferma che il suo "processo lo si sia fatto in Questura, in associazione a delinquere tra Pubblici Ufficiali corrotti e delinquenti abituali" (N.d.R. : il motivo di questa affermazione è ben illustrato nei motivi d’Appello!);

nella missiva inviata alla VI° sezione del Tribunale di Roma in data 27.1.1997, dopo aver ancora una volta affermato di essere vittima di una persecuzione giudiziaria, aggiunge "non mi potrei spiegare l’accanimento dei Magistrati del Tribunale di Oristano nel credere a tutte le accuse, anche le più strampalate e inverosimili..." - "...o dovrei credere che anche qualche Magistrato di Oristano si è montato in casa il parquet’s, (N.d.R. : pavimento in legno per 270 mq. trafugato dalla mia abitazione durante la persecuzione!), o altro, proveniente dai furti che ho subito nel durante ?" ;

ancora nell’Istanza formulata in data 12.7.1996 a questo Tribunale, le espressioni calunniose si rivolgono contro il Commissario Mannoni "lo denuncio per falsa testimonianza e spergiuro" per avere reso una falsa testimonianza in data 5 Marzo 1996 nell’odierno Processo (N.d.R. : è vero, negò di essere stato a Torregrande e tutto quello che, invece, sapeva sullo stato dei luoghi ecc. !).

Se è vero che la calunnia è reato a carattere istantaneo che si consuma con la prima dichiarazione accusatoria, quando quelle successivamente rese, che non apportano sostanziali variazioni e cambiamenti in relazione al fatto denunciato, finiscono per assumere solo valore di conferma (Cass.pen.,I, 31 ottobre 1990 n.3073), deve tuttavia riconoscersi che in ognunadelle missive menzionate l’imputato aggiunge accuse sempre nuove nei confronti delle Istituzioni che egli sente via via nemiche (N.d.R. : e come altro dovrei sentirle dopo quello che mi hanno fatto e che continuano a farmi?!), accuse che assumono non già il carattere dell’insinuazione, quanto piuttosto quello di una formale denuncia rivolta ad organi diversi dalla polizia e dall’Autorità Giudiziaria, poiché in questi ultimi l’imputato non nutre più alcuna fiducia, rappresentati dal Ministro e dal Presidente della Repubblica. (N.d.R.: e dalle Autorità Europee!, ma come meravigliarsi di questo ? ...dovrei avere ancora fiducia nelle Istituzioni Italiane secondo Voi ? ...e poi, io non sono tipo da insinuazioni : le lascio volentieri ad altri!).

A tutti i soggetti accusati non viene attribuito un mero illecito deontologico o disciplinare, il che varrebbe ad escludere, secondo costante giurisprudenza, la configurabilità del reato di calunnia, bensì la consumazione di reati effettivi e non già meramente supposti dall’imputato. (N.d.R.: dichiarare il falso in un atto pubblico, da parte di Pubblici Ufficiali nell’esercizio delle loro funzioni, indi consegnato alla Magistratura che, sulla base di quell’atto, fonda la condanna di un imputato che si protesta innocente, ... secondo Voi, è un "illecito deontologico" o un reato penale da denunciare?)

Le accuse dell’Arconte sono inoltre accompagnate dalla indicazione di precisi, dettagliati elementi ulteriori, rappresentati dall’indicazione meticolosa di nomi e date dei singoli episodi (N.d.R.: e precisamente documentati e provati !).

Né può ragionevolmente ritenersi che l’imputato abbia agito soltanto per scagionare se stesso : L’animus defendendi esclude il dolo del reato di calunnia solo quando l’imputato si limiti a negare la propria reità e non quando aggiunga accuse contro terzi, incolpandoli di uno specifico reato (N.d.R.: provato dalle loro stesse ammissioni in udienza !) (Cass.pen.VI, 13 giugno1989 n.8403) ; ed ancora quando l’imputato, oltre a negare la veridicità dei testi a lui sfavorevoli, assume iniziative dirette a riversare su loro specifiche accuse di falsa testimonianza o calunnia, pur sapendoli innocenti, e ne deriva la possibilità di inizio di un procedimento penale, si è al di fuori del mero esercizio del diritto di difesa e ricorrono tutti gli estremi costitutivi del delitto di calunnia (Cass.V,1980 n.7147)

(N.d.R.: ...sapendoli innocenti ! ?, ma se in udienza hanno tutti negato di "avermi visto andare in pineta con Carta nella mia auto ..." come invece dichiararono ai Giudici di Oristano per farmi condannare ! !. Questo è proprio il mondo alla rovescia!. Ma, recita il Codice penale attualmente in vigore che, se li so colpevoli, come è vero, il reato di calunnia non sussiste ! ...capito ?. Vedi i motivi d’Appello sull’insussistenza del reato di calunnia).

Tenuto tuttavia conto del corretto comportamento processuale mantenuto dall’imputato nel corso delle udienze dibattimentali e dell’assenza di precedenti specifici sul medesimo gravanti, possono essergli concesse le circostanze attenuanti generiche previste dall’art. 62 bis c.p.

Tenuto altresì conto dei criteri di determinazione della pena stabiliti dall’art.133 c.p. si stima equo stabilire in anni due di reclusione la pena base per il reato ascritto all’Arconte, diminuita ex art 62 bis c.p. alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione. La pena così ottenuta è stata aumentata di mesi due di reclusione, per effetto del riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati contestati, attesa l’evidente unicità della risoluzione criminosa che ha legato tra loro le condotte, per addivenire alla pena di cui al dispositivo.

Segue la condanna alle spese processuali secondo legge.

(N.d.R.: ecco qua un altro esempio di Diritto ! ...avete letto quanti me ne hanno dati e tutti poi finiti con assoluzione in Appello perché il fatto non sussisteva ?, dopo anni però! ...povera Italia !!!).

P.Q.M.

Visti gli artt. 533, 535 c.p.p. dichiara Arconte Antonino Stefano colpevole del reato ascrittogli e, concesse le attenuanti generiche, lo condanna alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.

Motivazioni riservate entro trenta giorni.

Firmato il Presidente

Dr. Mario Almerighi

Depositato in Cancelleria il 2 Dicembre 1997

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