DA QUI A FOREVERE O

DEL DOPOLAVORO DEL PARADISO dag

UNA STORIA RACCONTATA DA TIZ APECAR TONIUTTI E FRANCESCO CUSCINO A MARYO LUZZANTE FUGAZI

La penultima volta che ho visto gli Arivo mi avevano lasciato con la promessa di costruire un robot gigante come quelli, indimenticati, che allietavano i pomeriggi della loro età scolare. L'ultima volta che li ho incontrati ho chiesto come andassero i lavori, per sentirmi rispondere che “non trovavano la penna” e quindi il progetto s'era arenato dal principio. Dovevo aspettarmelo. Cresciuti negli anni 80, nati forse prima, gli Arivo sono una realtà inaccettabile della musica italiana di fine secolo. E se ai più appaiono inaccettabili anche come individui è dovuto spesso ad aneddoti simili a quello di prima. Il dubbio rimane anche in chi li segue da molto tempo come il sottoscritto, ma è probabilmente l'unico modo che conoscono per dimostrare affetto, spesso scambiato per banale cattivo gusto. In realtà gli Arivo sono le loro canzoni e l'onore chi mi hanno concesso è quello di poter raccogliere queste righe, con la richiesta esplicita però di “lavorarle poco come ho sempre fatto” e di “pagare da mangiare”. Ringrazio i ragazzi per questa fiducia e per la possibilità di averli potuti ascoltare/veder litigare in una veste ben poco professionale. Il loro vero regalo è stato accettare la mia presenza: al cronista col microfono, che comunque era la parte immediatamente visibile di me, hanno parlato di loro, pur temendo di sbrodolare più del necessario. Ma strappargli questa intervista in veste quasi ufficiale è stato alla fine più facile del previsto, utilizzando i ticket lunch dell'unità, concessi dall'immarcescibile alba solaro (che ringrazio con passione), presto convertiti in birra economica e tramezzini con tonno e pomodoro al bar di via due macelli. Parlare degli Arivo e con gli Arivo significa per forza di cose parlare della scena romana reale, quella che va oltre i le manifestazioni rutellistiche, le feste di partito, le radio “libere”, quella che in definitiva gira abbondantemente fuori dal circuito dell'alternativa istituzionale. Non hanno alle spalle militanze nei CSA, non hanno mai scritto canzoni contro Berlusconi e le corde dei loro strumenti non vengono pagate coi soldi dei genitori: Non è molto ma è buono. In questa sedicente intervista, che mi accorgo ora sarebbe quasi meglio leggere al contrario, dall'ultimo capitolo in su, mi sono limitato a raccogliere i loro viaggi, le loro passeggiate e i loro passi, non trascurando i lunghi momenti di staticità, dal momento che va da “Cantina Asociale” e “tanto ciavemo nartro lavoro”, i primi demotape, fino alle idee poco più che abbozzate di “Droghe Colori Elettricità”, una raccolta più cicciotta di canzoni, che per ora esiste solo per aria. E aerea è anche questa intervista: l'unico modo per far parlare Tiziano e Francesco è stato quello di suggerirgli un tema e lasciarli vagare e talvolta strologare. Alla fine parlano anche di quello che gli piace, di quello che vorrebbero fare e di quello che stanno facendo. Quello che hanno già fatto è patrimonio di tutti, basta andare e scavare.

Maryo Luzzante Fugazi

ESSERE E ARIVO

Lo dico subito: onestamente non so cosa verrà fuori da questa cosa. Non siamo così colti da poter reggere un'intervista e non abbiamo proprio i mezzi intellettuali per capire cosa dire e come dirlo. Per quanto mi riguarda metto le mani avanti: procederò in un modo sonoro più che logico e quindi chiedo subito scusa. Comunque è divertente anche se preferiremmo farci conoscere suonando le nostre canzoncine, a parlare non siamo molto bravi. Invece voi se pensate che questa intervista possa servire a tirare fuori l'editoria nazionale dalla crisi, avete sicuramente sbagliato qualche calcolo. E non credo che fareste bella figura a presentarla nelle Università.

Io non so se con le canzoni potremmo davvero uscirne fuori meglio, il che ti dà la misura della nostra autostima. Però abbiamo appena iniziato l'Allegro Concertino megatour 98, ci piace come vengono le cose perché i pezzi sono molto più semplici che in passato, litighiamo molto come una volta e quindi è un periodo in cui siamo tutti abbastanza loquaci. Abbiamo degli strumenti nuovi e delle canzoni nuove e vogliamo esibire pubblicamente entrambe le cose. Si, siamo proiettati verso l'esterno e pertanto credo che non saremo indisponenti.

Si si, Cuscino ha appena preso un amplificatore rozzo e il diavoletto Gibson, rosso come quello di Angus Young, che dopo la Flying V è a tutti gli effetti la chitarra più coatta che girava negli anni 70. Io ambisco ad una Les Paul Custom nera perché credo che mi calzerebbe bene ma mi trovo perfettamente anche con la Classic che ho adesso, e ho appena speso tutto quello che potevo per un processore con distorsioni veramente ritempranti. Finalmente possiamo suonare come dei Righeira analogici, che poi è uno dei miei sogni bagnati più classici.

 

Poi in realtà sono le canzoni nuove che funzionano veramente. Quattro accordi di gloria per tutte, “America e provincia” sopra ogni altra. C'è il caso preoccupante di “Breve elenco di cose da fare” e “Girotondo dell'autodistruzione” perché Tiziano non ha ancora finito i testi e in quelle tre volte che le abbiamo fatte dal vivo finora ha sempre cambiato le parole. Finirà che le cambierà ogni sera come succedeva per “Mondo a Pile” agli inizi e solo fra due anni scriverà i testi. Ma questo significa che siamo finalmente e nuovamente degli apprendisti stregoni del tutto inconsapevoli, come all'inizio, e questo mi pare bellissimo.  

Si. C'è stato un periodo in cui guardavamo le cose con molta razionalità, ci è servito per capire un po' i come, i dove e i perché, ma per fortuna è finito anche se ci sono rimaste delle cose buone. Guarda quanto è curioso che la stessa “ragione” lo stesso pensiero “razionale” che porta l'uomo sulla luna sia lo stesso che poi lo riporta coi famosi “piedi per terra” quando vaga un troppo in aria. Ecco noi abbiamo recuperato le nostre anime senza filo, che alla luna e oltre ci arrivano lo stesso, ma vagando parecchio prima di approdare, che mi sembra la cosa più galvanizzante. E coi piedi per terra sappiamo come ci si torna, ma per adesso non è nei programmi, almeno nel tempo che possiamo utilizzare esclusivamente per noi. Così adesso rispondiamo anche poco a chi ci chiede perché “Arivo” è il nome del gruppo. Prima rispondevamo che è un modo per riappropriarsi del proprio tempo, quello che va dal momento in cui ti chiamano e tu dici “arrivo” fino a quando effettivamente vai dove ti chiamano. Adesso diciamo semplicemente “perché ci piace”. Se il mondo non sa giustificare il fatto che Venezia affondi nella merda non vedo perché noi dovremmo giustificare il nostro nome. Il rischio è quello di banalizzare ed essere banali ma lo corriamo volentieri: “America e provincia” parla in realtà dell'acqua calda, ovvero dell'impossibilità di essere provinciali in questa provincia della provincia dell'impero americano. Eppure è proprio quello che volevamo dire perché ce lo viviamo addosso tutti i giorni e per ora di trasferirci stabilmente nel deserto purtroppo non se ne parla.

  DEL CONSORZIO E PERCHE'

Sistemi per riassumere e raccontare la storia degli Arivo non ce ne sono perché qualunque mezzo sarebbe sconfitto da sé stesso. C'è la nostra versione della storia, quella di chi è passato un attimo dentro e fuori, e poi rimane solo la versione reale che però non è dominio di nessuno. Il denominatore comune di tutte e tre è che finora nessuno ci ha avuti. E se qualcuno ci avrà, sarà il Consorzio. O con loro, o con nessun altro, preferiamo l'astinenza. La CNI e qualche etichetta minore era interessata a noi, ma la realtà è che non abbiamo nessuna fretta di mettere fuori un disco. Il mito che in Italia si suona poco va sfatato, si suona eccome, solo in condizioni pessime, spesso facendosi “squalare” da qualcuno, e Roma non fa eccezione. Però la possibilità di comunicare ce l'abbiamo. Poi in realtà col Consorzio è già tutto fatto, siamo promessi concubini, incestuosi per di più, solo che noi lo sappiamo e loro no. Ma si stanno avvicinando: il disco dei Wolfango è un'indicazione chiara, e noi non abbiamo fretta. Anzi aspettiamo il periodo d'incomprensione: d'altronde la storia si deve ripetere, Ferretti lo diceva già, “i nostri interlocutori ideali non capiscono un cazzo” ed evidentemente Vico aveva ragione, il CPI non ci risponde mai via e-mail e neanche va a vedere il nostro sito, ma fa parte di un piano cosmico superiore a noi e a loro. D'altro canto non avendo fretta siamo piuttosto indietro con i lavori audio. Abbiamo un vecchio demo ma nulla che ci piacerebbe veramente far ascoltare a Maroccolo e compagnia. Alba potrebbe mollare davvero un demo a Zamboni e facilitare di molto il lavoro del destino, ma sappiamo che a lui non piacerebbe. Se dobbiamo essere ammanicati,, e lo siamo - il che ci fa un po' schifo ma da qui a sputarci sopra ce ne vuole – meglio agire con oculatezza.. Però generalmente siamo restii a sfruttare questi ponti. Nel caso di Maryo Luzzante Fugazi dobbiamo dire che ci fidiamo, è un giornalista ostracizzato dalla stampa nazionale e solo l'Unità –strano ma è così - gli ha dato lo spazio che meritava. Anzi sarebbe il caso di parlare un po' di Maryo, più che di noi, ha una bella storia.

Quella dello pseudonimo soprattutto. Poi alla fine dato che Luzzatto Fegiz, il fagiolaro del Corriere, aveva fatto casino, Maryo è stato costretto a cambiarlo, ma la sua rubrica sulle autoproduzioni rimane ancora la migliore in giro, quando e se esce. Comunque Maryo ci piace perché non è un fighetto tipico da stampa rock italiana ed è fuori dai veleni dell'ambientino. Quando ci ha chiesto di fare questa cosa per farla avere al CPI non abbiamo esitato a dirgli di sì, anche perché poi è un ragazzo di campagna come noi e dice di capire benissimo quanto il Consorzio faccia male a respingerci. Ha detto che si prodigherà per fargli avere questo materiale tramite Alba, ma anche se non l'avesse mai detto, l'intervista l'avremmo rilasciata comunque solo a lui. Chiaramente Alba la amiamo pazzamente ma Luzzante Fugazi è un fratellino.  

Il Consorzio è il Consorzio e nessuno ci può mettere pezze. Poi bisogna dire che noi ai tempi dei CCCP non c'eravamo, facevamo il liceo, giocavamo troppo coi videogame, ci ignoravamo abbastanza e di prendere chitarre in mano non se ne vedeva la necessità. Una vaga sensazione di cosa fossero i CCCP io l'ho avuta vedendo in vetrina da Ricordi “Canzoni Preghiere Danze”, ma di comprarlo non se ne parlava proprio: c'era una madonna in copertina! Eravamo nel trip completo della musica da Liceo romano, e quindi tutto il rock inglese dei 70 più qualche puntata nel metal. De Gregori era già un azzardo. Però qualche anno dopo per qualche alchimia strana, tutti i futuri Arivo erano al mattatoio alla prima romana del Ko de Mondo tour e guardandoci negli occhi non capivamo ancora bene perché, in più era venuta voglia a tutti di tagliarsi i capelli ma ancora non l'avevamo fatto. Il motivo secondo me non lo sappiamo ancora ma potremmo affidarci alle interpretazioni del Consorzio. Stavamo già male in quel contesto e infatti le prove degli Arivo sono ancora una seduta psicanalitica di gruppo, regolamentare eccetto che poi alla fine non paghiamo. I motivi per la corrispondenza tra noi e il Consorzio sono abbastanza palesi. Primo, la nostra storia non è la loro. Poi, le nostre e le loro linee della felicità errano altrove eppure ad un certo momento i due Ulzii si intersecano. Da parte nostra questo incrocio è chiaro, non sappiamo ancora se si intrecceranno bene ma è indubbio che esiste una spinta interna con forza sovrumana che ci intima di andare a rompere i coglioni al consorzio. Sono proprio padri reali e inconsapevoli, come spesso capita, altro che semplici putativi volontari. Noi andiamo al Consorzio e come nelle storie veramente belle, suoniamo alla porta e appena ci aprono diciamo “Papà!”. Se ci riconoscono subito bene, altrimenti si dovranno abituare all'idea. Non ti puoi scegliere il naso, non ti puoi scegliere, più di tanto, neanche i figli.

  Abbiamo ricevuto il supplemento su T.R.E. allegato al Maciste e un po' abbiamo rosicato nel vedere che le foto di Zamboni e Ferretti in Mongolia erano identiche, nello spirito se non nella pellicola, a quelle che ci facciamo noi in Calabria Saudita. C'è dentro la stessa incredulità, per un posto che vediamo ogni anno e a cui tendiamo ogni singolo giorno che non ci siamo. I motivi sono oscuri ma sarebbe proprio un peccato lasciare il Consorzio all'oscuro di questa meravigliosa analogia.

  Nessuno di noi è propriamente calabrese ma quest'estate, grazie a magheggi inenarrabili, avevamo l'advance tape di Tabula Rasa Elettrificata e non abbiamo potuto evitare di rincoglionirci tutta la zona costiera vicino Cosenza, perché in quel momento era come la nostra terra natia: dovevamo dividere le emozioni con i nostri simili . Urlavamo le parole di “Forma E Sostanza” storpiate, perché gli accordi si capivano ma le parole mica tanto, e per tutti eravamo degli alieni totali. Ormai a Roma i CSI li conoscono tutti e invece laggiù c'era una giovane ragazza napoletana di 17 anni che appena sentiva cantare Ferretti fuggiva verso l'ignoto. Neanche con “Annarella” si ammorbidiva. Eppure dopo averle obbligatoriamente propinato l'intervista a Radio Rai e cantato ripetutamente “Mimporta Nasega” e “Bolormaa”, con chitarrina da rimorchio e due voci, l'organismo ha iniziato ad abituarsi. Alla fine è scoppiato un grande amore cosmico dei cui frutti dobbiamo dire godiamo tuttora: voleva fare la commissaria di polizia e adesso sembra aver rinunciato all'idea. Un successone.

  Le reazioni della gente al fatto che sclerassimo continuamente non erano un problema nostro davvero. E poi ormai abbiamo espugnato la Calabria, possiamo tentare l'impossibile e andare a registrare il disco nella nostra ideale Mongolia, ovvero Reggio Emilia o dintorni. D'altra parte cantiamo di Muli Turbocompressi che possono sì portarci via, ma solo da una zona della Grande Provincia ad un'altra. Il nesso c'è e lo seguiamo.

E' questo che ci attira così tanto della Calabria. L'essere il primo paese occidentale che non fa ancora provincia americana. Rino Gaetano questo lo sapeva benissimo. Nonostante poi a noi gli spazi di terra secca americani piacciano molto, però…in genere la genesi del bacillo che poi porta una persona a suonare la chitarra su un palco è quasi sempre originata dalla visione di luoghi lontani quando ascolta la radio di notte e si accorge che tutto quanto ha intorno non rispecchia per niente le evocazioni di quei suoni. Per gli Arivo vale un'altra cosa, simile: quello che ci attira sembrano essere i luoghi vicini. La nostra è una smania di rivitalizzazione, di scarica umana: arrivare e profondere energia gratis in questi feudi zombificati che sono diventati non solo i quartieri di Roma, che come tutte le città è sempre più triste se non hai i soldi per ridere. Ma anche il medio-borgo periferico o addirittura extracomunale, dove dovresti poter avvertire la concentrazione di vita – con tutte le sue idiosincrasie – e invece niente, al massimo si la gente si preoccupa di far rosicare i compaesani con la macchina nuova da sfoggiare il sabato pomeriggio. E' come fare un viaggio pesantissimo muovendosi di poco, cercando di dare senso ai luoghi vicini, cercando un'alternativa al disprezzo. A questo punto abbiamo capito che suonare e registrare in posti come Reggio Emilia è non solo perfettamente superfluo per noi, ma anche un'eventualità gravida di possibili stravolgimenti interiori. Reggio è un posto abbastanza civile, tutti superlavorano e quindi hanno meno tempo ed energie per farsi i cazzi altrui. Questo ovviamente sul grafico di carta. Ma come la metti la metti, Reggio Emilia non è nel nostro DNA, almeno apparentemente non ci appartiene. E proprio per questo ci andiamo.

Onestamente dovremmo registrare le canzoni in Calabria, abbiamo un posto dove stare, siamo amici dei magnaccia locali e al ristorante paghiamo pochissimo e per delle fritture di pesce incantevoli. Avrebbe molto più senso, ma andare in Terra Santa è un'idea troppo stuzzicante. Ci andiamo anche perché rispetto a dove siamo noi la vita costa immensamente più cara. Sarà divertente spendere tutti i soldi per mangiare e non avere più una lira per registrare il nuovo demotape, allo Studio Emme come impone il vangelo. L'unica speranza è che potremmo avere degli agganci con la sezione del Pds locale e magari beccare qualche data in loco per sovvenzionarci almeno i beni futili. Ammesso che non sia una delle solite cazzate del Tiz.

Già. No, veramente conosco uno, mi pare un assessore, ho lavorato alla festa dell'Unità nel settembre 97. Ma anche se non dovessimo trovarlo, l'unico vero problema che si ripresenterà sarà accettare il fatto che gli Arivo non hanno un pubblico. È come se già avessimo suonato per il Papa e allo stesso tempo come se non fossimo mai usciti dalla cantina. Siamo in un limbo, tutti potrebbero accettarci ma è molto più facile respingerci. Che il Consorzio finora abbia scelto la via più facile ci sorprende, lo ammettiamo.

L'ossessione verso il Consorzio nasce dal fatto che potremmo stare qui a parlare per ore di tutte le differenti tipologie di pregiudizio che abbiamo incontrato. Molti sono anche divertenti, tipo il fatto che se canti in romano allora sei per forza un pagliaccio, cose del genere. Loro secondo me potrebbero apprezzare e andare oltre i pregiudizi. Dopotutto hanno fatto “Matrilineare” e noi con le donne abbiamo parecchio a che fare.

Pregiudizi ingiustificati. Siamo dei bravi ragazzi all'apparenza e anche oltre, diciamocelo. Solo che siamo cresciuti con delle mamme che ci insegnavano ad aver paura della notte e ci ritroviamo adesso ad avere molta più paura della mattina! Che istituzionalmente è il luogo d'inizio del travaglio umano, da quando ti devi alzare a quando realizzi che stai per buttare via altre otto/dieci ore della vita. Cuscino, che di noi è quello che lavora più regolarmente di tutti, giustamente s'è rotto il cazzo e adesso vuole fare il suonatore indipendente anche se non sa suonare. Vai a dirgli qualcosa.

 

SOPRAVVIVERE SOTTO AL TRENO

  Nel 1994 c'eravamo Cuscino e io che dovevamo fare qualcosa. La situazione non era per niente eccellente, la scuola era finita e noi non avevamo più senso come persone. Quello che ci fotteva è che nonostante la crisi tutto era stabile. Si continuavano a produrre ed acquistare macchine da parecchi milioni, tutti ridevano per far vedere quanto stavano meglio degli altri e infatti Berlusconi avrebbe vinto le elezioni da lì a poco. Venivamo tutti da altri ambienti e qualcuno già suonava. Ottaviano conosceva Guccini e sapeva suonare le canzoni da comitiva autogggestita, perché aveva fatto il tipico triennio finale di Liceo Impegnato, adesso praticamente materia d'esame, mentre da noi la cosa s'era avvertita meno. Ivano era l'unico che suonasse regolarmente la batteria, Cuscino non aveva mai preso una chitarra in mano e io avevo suonato in un paio di gruppi metal a cui devo le prime sortite su un palco. Rinnegare è inutile però mi imbarazza ricordare come urlavo nel tentativo dell'acuto impossibile. Ma leggendo le riviste di metal i contatti col punk si fecero frequenti e da lì ad assimilare almeno i fondamentali degli ultimi quindici anni di musica popolare bianca non c'è voluto tanto. Io vivo in periferia tra la città e la campagna e la seconda era quella che preferivo, mi era facile quindi amare il folk occidentale. Nel punk ho trovato esattamente la stessa spinta e lo stesso bisogno primario espresso dal country-roots rock, quindi è stato naturale assestarmi su un roots punk con “Anodyne” degli Uncle Tupelo dopo i classici Pink Floyd, U2 e Dire Straits. I Tupelo erano un gruppo dalle forti radici folk e non avrei mai preso Ko de Mondo se non avessi sentito per radio le chitarrine un po' agresti e da luci di paese di “Fuochi nella notte”. Da lì al botto di “Celluloide” è stato un attimo e una settimana dopo sapevo a memoria tutte le canzoni dei CCCP-CSI. Finalmente iniziavo a capire un po' di cose di una città bella fascistona come Roma, in ritardo rispetto a chi aveva avuto una formazione più “militante”. Al contempo calava tutto il mio impegno politico, ammesso che ne abbia mai avuto uno. In più cominciavano ad ossessionarmi su quanto importante fosse diventare “dottore”. “Non diventare dottore” alla fine è una delle cose che si sente in “Breve elenco di cose da fare”, una delle nuove canzoni che porteremo in giro da Dicembre.  

Alla fine abbiamo fatto il gruppo. A me piaceva l'idea di chiuderci dentro una sala a fare casino. Il vantaggio di noi che non abbiamo visto musicalmente gli anni 70 è quello di poter ripartire da zero con un'idea che sembra nostra e in realtà è stata già abbondantemente messa in pratica. Questo azzera qualsiasi intervento critico. Quindi se ci danno addosso perché cantiamo in romano sortisce lo stesso effetto dello stroncarci per motivi di basse velleità di critica musicale erudita. Avevamo la nostra identità. Non siamo mai state persone anonime e questo era sufficiente ed abbondante per giustificare il rumore che facevamo. E paradossalmente lavorando in questo modo finivamo per non assomigliare a nessuno. Finirà sempre che qualcuno ti dirà “Ah ma suonano come il gruppo X” ma a me i Marlene piacciono e non mi importa più di tanto se le chitarre sono quelle dei Sonic Youth. Dentro le loro canzoni c'è molto di loro, si avverte, e tanto mi basta.  

Essere derivativi non è un crimine. Se poi lo si è inconsapevolmente ancora meglio. L'istinto si preoccupa di agire, non sempre di controllare se qualcuno ha agito prima. L'immaginazione deve immaginare e se qualcuno ha già immaginato prima, pazienza. Possono chiamarci come vogliono, a Radio Città Futura hanno accettato la nostra definizione di “musica superflua” e l'abbiamo apprezzato. Se qualcuno continua a vederci come un gruppo demenziale per il semplice uso del dialetto, sono felicissimo di poter fare il cantante del gruppo demenziale solo per lui. Non ce ne frega realmente più di tanto, la gente fa di te quello che vuole e tu puoi spiegarglielo in mille modi, alla fine avranno ragione loro perché è la loro percezione a contare. Quindi noi suoniamo le nostre cose e basta. Naturalmente ci sono delle persone vicine che ci dicono cosa pensano delle cose che facciamo. Sara, che è una nostra amica, pensa che “America e provincia” sia una delle cose più banali che abbiamo mai fatto per testi e musica mentre ad esempio a Maryo piace molto. Però Maryo è uno di quelli che è stato contento della rimozione di “Cybercaciotta” dai concerti mentre Sara è la sola a cogliere il vero senso “profondo” di “Senti che gianna” , che poi è solo un'ode alla tramontana e alla sua potenza, presa da tutti come una canzoncina demenziale. Capisci che a un certo momento ti vai a fare due fettuccine e te ne fotti.  

Succedono fatti ridicoli. Ad un certo punto il pubblico che avevamo era totalmente diviso. Qualcuno veniva dietro il palco alla fine dei concerti e praticamente piangeva. Altri ridevano per tutta la sera e alla fine, anche se sei tu che le canti, puoi dire veramente quale era l'effetto che dovevano provocare le tue canzoni? E' così che decidi di fregartene, le fai e basta.  

Anche se noi un'idea di quello che significano ce l'abbiamo eccome. Però non cerchiamo più di farlo capire per forza agli altri. Le donne sembrano essere maggiormente in sintonia con quello che facciamo. In effetti è vero quello che diceva Cuscino prima: piacciamo molto più alle donne che agli uomini e onestamente ci sentiamo lusingati da questa cosa. Sarà per un Edipo irrisolto piuttosto intricato ma in realtà l'idea di essere così compresi dalle donne è molto consolante, è una fonte di calore sempre piacevole. In questo senso sentiamo compensata la nostra onestà di base che ci fa suonare e cantare sicuramente male per i canoni classici, ma in assoluta relazione a quello che ci sentiamo di fare, neanche a quello che “vogliamo”. Di certo il momento più ridicolo, ma anche evidentemente rivelatorio della situazione, era nel periodo in cui alcune radio della città passavano “Sottantreno” e “Controvento”, entrambe con dei cori molto risolutori ed espliciti, entrambe due musiche allegre per due testi secondo me tristissimi. Mentre da una parte venivamo presi come ennesimo gruppo demenziale, dall'altra superavamo le prime selezioni per Recanati, finendo nei primi 20. E il gruppo aveva lo stesso nome, cambiava la canzone, che per Recanati era “Tre Lettere”, fatta di parole ciniche, probabilmente le più sopra le righe che abbiamo, su una musica fredda. E' ridicolo perché sia gli ascoltatori delle radio che i selezionatori di Recanati stavano facendo lo stesso preciso identico errore: fermarsi a quello che volevano sentire. A quel punto ci abbiamo rinunciato.  

 

SAMARCANDA 2000 

La realtà di Roma per i piccoli gruppi è tristissima. Al di là delle mode, l'ostracismo dei Centri Sociali nei confronti di tutto quello che non è vagamente evocativo per il loro modo di vedere la cosa è troppo scontato per essere vero, anche se ultimamente la compilation di gruppi uscita per il Manifesto va un po' fuori dai soliti trendini sfigati di sinistra. I CSA comunque spesso non sono realmente pronti al dialogo ma sembrano prontissimi a ridere a comando. La gente è inevitabilmente più grassa oggi. Questo cambia le carte. L'atteggiamento verso il CIP, il Centro Iniziativa Popolare, un piccolo CSA del Casilino, è parecchio illuminante. Insomma chiunque avesse a che fare col CIP, anche in modo leggero, era praticamente bandito dagli altri CSA. La questione era che il padre di uno degli attivisti del CIP era immischiato coi servizi segreti. E quindi giustamente tutto quello che faceva il CIP, che per la cronaca si autofinanzia ed è l'unico CSA di Roma che fa qualcosa per gli anziani, andava smerdato. Compresi i gruppi che ci suonano dentro, facilmente schedabili dai volantini del CIP. Per le feste di Rifondazione è anche peggio. Sembra che se non suoni un qualcosa con dentro urlato “fascisti bastardi” non vai bene. Ci sono persone che riescono tranquillamente a passare i 30 e salire sul palco a cantare le canzoni sul Che. Va benissimo però poi se sono quelli che hanno il potere di decidere chi suonerà alle feste di Liberazione, con quei canoni là, la situazione diventa un po' deprimente.

Comunque tra tutti i vari casini il sindaco s'è mosso discretamente. Enzimi ha funzionato bene anche se c'erano diverse marchette, e anzi è paradossalmente molto più facile suonare in questi contesti, dove a decidere chi e cosa sono i burocrati e i soldi invece che i temutissimi attivisti politici. Le pretese di queste persone sono spesso assurde, sindacano e giudicano cosa va bene e cosa no, terrorizzati dal fatto che la tua cosa possa influenzare la loro purezza ideologica mentre magari potrebbe svoltargli una serata. Non è neanche che gli manca l'umorismo, è quasi un'involuzione reazionaria e autoritaria. Comunque la metti è triste. Per come siamo fatti noi a queste condizioni ci potremmo accontentare anche di suonare una volta all'anno, magari ad Osteria Nuova in provincia di Viterbo, dove ci sono dei ragazzi molto meno viziati e attivi rispetto agli analoghi di Roma, che tanto per dirne una l'anno scorso ci hanno fatto suonare, noi e gli altri gruppi della serata, con un service audio assolutamente da paura: sentivamo tutto sul palco e la gente fuori capiva ogni singola parola, con tutti gli strumenti sparati. Uno dei concerti più belli della nostra vita, abbiamo suonato tutte le canzoni che potevamo fare nonostante Cuscino avesse distrutto tre corde su due chitarre diverse e Ottaviano la cinghia del basso. Lui è uno pigrissimo e attento alla precisione della ritmica quindi vederlo saltare o muoversi per il palco è impresa rara. Ad un certo punto era piegatissimo, tutto contorto sullo strumento io pensavo che stesse facendo il punk-performer e sono andato vicino a sbatacchiarmi tutto esaltato, invece s'era staccata la cinghia del basso e lui stava cercando di suonarlo reggendolo sulla panza! Un'esperienza biblica.

BRUCIA ROMA BRUCIA

Ecco giusto, quella è una canzone senza testa. E' chiaramente qualunquista e reazionaria come “Io sono un grande eroe”, ma quello che ci piace è la stupidità dell'azione in sé. Parla di quelli che vogliono tenere la situazione “sotto controllo” e finiscono per escludersi anche dal controllo della propria vita, delegando alla distruzione, che può essere un folle autoritario o un incendio purificatore, la soluzione ad ogni problema. In quella canzone parlo in prima persona come quello che vuole dare fuoco a Roma, con tutte le madonne, gli affreschi, i telefoni, i metallari che guardano storto i preti e quanto altro. Ma quello che è grave è che dice “non lo farò, non lo farò, ma se fosse per me”. Non è chiaro chi debba farlo, ma è certo che il tizio della canzone ama riempirsi la bocca con il voler dare Roma alle fiamme, anche se al primo fuoco si pentirebbe. Non c'è la romanticheria poetica neroniana e neppure la passione amorevole e ispirata della distruzione fine a sé stessa. E' solo un vaniloquio che ci sembra rispecchi molto quello che sentiamo in giro. Inevitabilmente quello che senti in giro da qualche parte entra.

Credo che “Brucia Roma Brucia” sia una classica canzone romana, quelle della serie “tanto pe' cantà”. Molte delle cose che facciamo hanno questa componente di base. Sono fatte perché in quel momento siamo là e le cantiamo. Anche se sono senza testa, sono solo canzoni e da noi non ti puoi aspettare cose politicamente corrette. Non millantiamo una pulizia morale che non c'è. Non stiamo parlando di Dio ma di cose degli uomini, per quanto meravigliose come, che ne so, i lavori del Bernini o la Cappella Sistina. Ma a Roma c'è pure Tor Bella Monaca, o il Tufello. Sono centrali di produzione statali di barbarie e barbari. E la colpa non è certo dei barbari se sono barbari. Ma ovviamente la soluzione non sta nel dare fuoco a tutto. E' quello che diciamo ma ripeto, è una cosa leggera e fatta “tanto pe cantà”. Tanto ormai che i problemi si risolvano non ci crede più nessuno.

E' un cantico tra Atlantide e Corviale. A parte che è perennemente sottoposta a rielaborazione, è una canzone che abbiamo accennato soltanto una volta dal vivo ed è per questo immagino che tu ce l'abbia chiesto. In realtà non ha ancora una forma, c'è questo coro molto epico e un incedere maestoso, io che urlo questo e quest'altro alle fiamme e poi giù chitarroni, ma per ora mi sembra ancora impresentabile. Quell'unica volta che l'abbiamo fatta era perché volevamo vedere come reagiva il pubblico all'inciso, che è veramente nibelungo. Ma è ancora in cantiere. Sulle parole c'è ancora molto lavoro da fare anche se penso che alla fine verranno prese per buone quelle che suonano meglio. “La Repubblica” ha scritto che siamo “cantautori elettrici”, ma non lo so se è vero. Di sicuro c'è un occhio alla nervatura ritmica delle parole, ai tempi, alla pronuncia. Ma non credo di avere una vocazione per la letteratura, anzi ho la sindrome delle venti righe, per cui se una cosa non mi cattura entro quelle lascio proprio perdere. Dio sa quanti bei libri mi sono perso così, un sistema per rimediare è provare a leggere a caso, se vedo che l'inizio proprio non mi piace. E poi ci sono troppe parole superflue in giro, guarda quant'è lunga st'intervista!

OK ADDIO

La scelta a questo punto è molto semplice: o continuare a farci parlare per ore o troncare qui perché comunque un'idea generale l'abbiamo data. Il concetto di “idea generale” in sé è molto bello e secondo me dovremmo rispettarlo.

In realtà potremmo parlare di un sacco di cose, delle persone che abbiamo incontrato, dei posti che abbiamo visto e degli infarti che abbiamo evitato per poco. Però magari ci facciamo un film su questa cosa…non lo so, abbiamo suonato in un bosco…duplicato i demo da un ricettatore…quella si che sarebbe una cosa da raccontare…abbiamo avuto un manager che adesso è totalmente impazzito e gira per Roma spacciandosi per il capitano Picard. E potremmo stare qui giorni a raccontarti dei fonici che abbiamo salvato dalle fiamme dell'inferno. Sarebbe magari il caso di dire qualcosa sulle nuove canzoni. Di “America” e “Brucia” abbiamo già parlato…tra quelle che stanno arrivando c'è il “Cantico dei giorni inutilizzati” o una cosa del genere, poi ovviamente cambierà titolo sette otto volte. A me piace molto come si sta formando “Turbomulo” .

Si sembra la classica Arivo song punkarozza, le parole che ho provato finora sono un po' mistiche, dice una cosa tipo “sono carne e sono simbolo”…insomma parla dell'acquisizione da parte degli umani della facoltà di sopire i propri istinti naturali. Ma poi alla fine è l'inciso che domina, è un'invocazione a questo ipotetico mulo a reazione, perché ci porti via dal mondo civile…il mulo è una bestia indistruttibile, ancora oggi in caso di guerra, l'esercito ha il diritto di requisirli. Pensa cosa può fare un mulo con un turbocompressore.

Ci sono anche dei brani più lenti, rumori tristi. “In fuga” e “Dintorni” sono i titoli che hanno finora, parlano di come gli eroi possano crollare in fretta. Poi ovviamente c'è il “Girotondo dell'autodistruzione” e “Io sono un grande eroe”, secondo me verranno fuori divertenti. Dobbiamo trovare una canzone che sia divertente da fare dal vivo quanto “Take death”, che musicalmente è sempre uno spiscio da fare, però ha un testo così greve, ci sono dei nomi di giornalisti musicali, per quanto storpiati, che poi alla fine vengono condannati a morte…ovviamente è un'esagerazione ma non è che ci diverta più molto, e se poi uno muore davvero? Però la musica è troppo bella e quindi dobbiamo trovare una canzone altrettanto gustosa da suonare per piano piano erodere “Take death” dalle scalette. E' solo una delle tante priorità nel nostro “Breve elenco di cose da fare”…