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RACCONTI

 

La sofferenza del mare

 

La prima estate che passai al mare: l’esperienza che ha segnato tutta la mia vita!

Ricordo molto bene la spiaggetta dove la mia famiglia decise di passare quell’agosto di tanti anni fa.

All’epoca mio padre giganteggiava sul mondo, e mi portava in acqua tenendomi sulle spalle, così da evitarmi la seccatura di attraversare un bagnasciuga irto d’insidie. Nel mare poi restavamo molto vicini. Non sapevo nuotare ma l’essere prossimo a quella specie di tronchi d’abete che erano le braccia del genitore mi teneva lo stesso a galla, fluttuante sopra qualche metro d’acqua salmastra.

Una volta però smisi di galleggiare.

L’ultima cosa che vidi del mondo emerso furono gli occhi scuri di mio padre fuori dalle orbite mentre lui urlava disperato il mio nome, visto che stavo letteralmente precipitando sotto il pelo dell’acqua, in barba a qualsiasi legge fisica.

Cominciai così a scendere, prima molto velocemente, poi con dolce lentezza, in un ambiente buio e un po’ freddo, avvertendo una vertigine per nulla spiacevole. Ero un bambino ma sapevo che sott’acqua non si può respirare, e che se non si respira si muore, eppure non sentivo il bisogno dell’aria! Durò alcuni minuti quella discesa, e mi sembrava di essere il protagonista di una bella moviola.

Ad un certo punto mi fermai. Ero arrivato a toccare con i piedi il suolo, immaginando che si trattasse del fondo del mare.

Un tonfo attutito mi fece letteralmente sedere per terra. Mi rialzai lentamente ed una volta ritto in piedi mi accorsi che l’acqua della quale ero avvolto solo pochi istanti prima era sparita. Non per questo svanì quella sensazione d’estrema leggerezza, il sentimento soave e protettivo che avevo fino ad allora provato. Intanto un tepore consolante aveva preso il posto del freddo, e così l’oscurità estrema della mia discesa aveva lasciato spazio ad una luce rossastra che m’illuminava il cammino. Non potevo fare altro che dirigermi verso la luce. Dopo qualche passo mi accorsi che anche un suono strano, una specie di dolce lamento, proveniva dal punto dove sembrava avere origine la luce. Catturato, continuai a seguire il sentiero tracciato dalla luce in compagnia di quella melodia. Mi ritrovai così in uno spiazzo.

Il luogo che mi aveva attirato a sé era gremito degli esseri più strani che la mia mente di bambino potesse immaginare: delfini e tonni, squali e narvali, sirene, tritoni e mille altre creature che emettevano un suono flebile, mentre delle lacrime sgorgavano dai loro occhi, e quegli occhi erano come i miei. Tutto attorno lo scenario aveva perso di bellezza e calore, e mi accorsi che il luogo era devastato e maleodorante. Stava per salirmi alla gola la disperazione quando notai una figura che mi ispirava fiducia. Era una balenottera sanguinante in varie parti del corpo che si affliggeva per qualcosa…

... il gemito della balena si fece allora preponderante su tutto. Sembrava proprio rivolgersi a me! Invocava il mio aiuto! Il mio aiuto?

Il lamento divenne canto, diretto dalla balena ed eseguito dal resto di quello stravagante serraglio riunito in semicerchio, al cui centro io mi trovavo.

"Aiutaci, " - diceva quel canto - "Aiuto... per me e per... te…"

Era un pianto straziante, che mi spezzava il cuore.

Svenni.

Mi risvegliai bagnato fradicio che tossivo sulla spiaggia, e riconobbi mio padre nell’uomo che piangeva massaggiandomi il torace: "É vivo! Dio mio, respira! Maddalena, è vivo!".

Ero tornato nel mondo che mi era più familiare.

Sono passati tanti anni da quel giorno, e naturalmente ho focalizzato l’intera vicenda a brandelli durante tutta la mia vita, ricordando ed elaborando frammenti che mi tornavano in mente col passare del tempo.

Soprattutto non sono mai riuscito a dimenticare quella richiesta, quell’urlo immane e definitivo, quell’appello spaventoso:

"Aiuto!"

Ho provato a classificare la faccenda come un brutto sogno sterilmente pedagogico, stimolato dal mio quasi annegamento e forse da Lewis Carroll che mia madre in quel periodo mi leggeva ogni giorno, eppure non ho mai smesso di credere alla mia favola personale e a domandarmi perché il mare avesse chiamato proprio me a testimoniare la sua sofferenza.

Forse oggi ho capito.

Oggi, infatti, sono stato eletto Presidente!