Sommario

LA RISVEGLIA

quadrimestrale di varia umanità

n°3/4 Gennaio - Aprile 2000, Maggio - Agosto 2000

Randolfo Pacciardi (appendice)


Il duello fra Randolfo Pacciardi e il segretario fascista di Grosseto Umberto Pallini

Questura.
Grosseto, li 9 aprile 1923
Ill.mo Procuratore del re. Grosseto

Oggetto: Duello tra l'avv. Pallini Umberto e l'avv. Pacciardi Randolfo

La sera del 18 febbraio u.s., l'avv. Pacciardi Randolfo di Giovanni di anni 24 da Gavorrano, residente a Roma, doveva tenere nei locali dell'Università popolare di questa città una conferenza dal titolo: “Il Risorgimento nazionale: l'idea dell'unità”.
Qualche giorno prima, alcuni maggiorenti del locale fascio, a mezzo del Prof. Razzanti, presidente dell'Università Popolare, fecero pervenire raccomandazione al Pacciardi di attenersi al tema, senza deviazione alcuna - come era qualche volta avvenuto - e ciò per evitare possibili incidenti. Il Pacciardi però, non volendo sottostare a limitazioni di sorta, rinunciò a tenere tale conferenza. In seguito a ciò si svolse una vivace polemica sui giornali Ombrone, Etruria Nuova, e la Voce Repubblicana. Per alcune frasi pubblicate su quest'ultimo giornale, l'avv. Pallini Umberto di Arturo, di anni 27, nato a Stia (Arezzo) e domiciliato a Grosseto, segretario politico del locale fascio, ritenuto[si] offeso, inviava all'avv. Pacciardi i suoi rappresentanti, nelle persone dell'avv. Gino Pastorelli di Armando di anni 25, da Grosseto, e del signor Castellani Dino di Enrico di anni 33, da Empoli, domiciliato a Firenze.

L'avv. Pacciardi accettava la sfida e nominava suoi rappresentanti l'avv. Martinelli Pietro di Vittorio, di anni 25 da Grosseto e Fabbri Marino di Francesco, di anni 27, da Orbetello, residente a Grosseto.
Risulta che furono fatti i possibili tentativi per addivenire ad una soluzione amichevole della vertenza, ma i due avversari non vollero riconciliarsi. Dopo di che i padrini, di comune accordo, stabilirono di scegliere come direttore di scontro una persona estranea alla vertenza e che fosse di completo gradimento dei due primi. La scelta cadde sul capitano Pellegrinelli Dino. Il giorno sei corrente, nella tenuta Pescaia territorio del Comune di Roccastrada, ebbe luogo lo scontro, alla sciabola, a condizioni lievi, tra i predetti Pallini e Pacciardi. Dopo 34 assalti, i due avversari, che riportarono soltanto lievi scalfitture, si riconciliarono.
Nel denunziare quanto sopra alla S.V. Ill.ma pel provvedimento di legge, alligo una copia del nº 33 del giornale l'Ombrone in data 8 corrente, nel quale è riportato il verbale di scontro.
Il questore reggente
(Martini Luigi)

Visto al Sig. Pretore di Roccastrada, per competenza, riguardo al delitto di cui all'art. 239 nº 3 C.P., di cui devono rispondere i duellanti, e per competenza in relazione al n.3 dell'art.16 C.P.P., per quanto riguarda il delitto di cui all'art.241 capoverso, C.P. di cui devono rispondere i padrini.
Grosseto, 10 apr. 1923
Il procuratore del re
Ridolfi


Vertenza cavalleresca

In seguito ad una polemica svoltasi sui giornali Ombrone, Etruria Nuova e La Voce Repubblicana, l'avv. Pallini Umberto, segretario politico del Fascio di Grosseto, ritenutosi offeso per alcune frasi pubblicate su La Voce Repubblicana dall'avv. Randolfo Pacciardi, inviava a questi i suoi rappresentanti. L'avv. Pacciardi accettava la sfida e in seguito allo scontro avvenuto il giorno 6 aprile alla Pescaia è stato redatto il seguente verbale:
“Conforme gli accordi presi nella riunione avvenuta il 12 marzo corr. anno e 29 stesso mese u.s. in Grosseto nello studio legale dell'avv. Martinelli sig. Pietro, dai sottoscritti rappresentanti dei sigg. Pallini avv. Umberto e Pacciardi avv. Randolfo, alle ore 10 di quest'oggi ha avuto luogo uno scontro alla sciabola fra i predetti signori. Lo scontro iniziato alle ore 10 è terminato alle ore 12 e 7', sono stati concessi dieci riposi e dopo il 34º assalto i dottori concordemente dichiararono quanto appresso:

“L'avv. Pacciardi in seguito a lievi ferite, alle escoriazioni e contusioni (piattonate) ricevute all'arto reggente l'arma, dà segni di evidente incapacità a reggere l'arma per diminuita tonicità dei muscoli flessori delle dita, derivata oltre che dalle lesioni riportate anche dalla grave stanchezza procurata dal notevole sforzo così a lungo protratto.
Fº dott. Luigi Cevasio, dott. Guido Comporti”.
I quattro rappresentanti deliberano, e il loro giudizio è suffragato dal parere del Direttore di scontro Cap. Pellegrinelli sig. Dino, di porre fine allo scontro in seguito alla assoluta inferiorità in cui si trova l'avv. Pacciardi sig. Randolfo. I due combattenti si comportarono cavallerescamente ed ambedue dimostrarono possedere in grado superlativo coraggio ed ardimento.
I signori Pallini avv. Umberto e Pacciardi avv. Randolfo, dopo la scambievole dichiarazione che si ritengono come non dette le frasi che poterono suonare offesa personale, si professano la massima stima e considerazione reciproca e si sono stretti cordialmente la mano in segno di completa riconciliazione.
Il presente verbale è redatto in duplice copie e firmato dai quattro rappresentanti e dal direttore dello scontro
F.to Avv. Pietro Martinelli
F.to Dino Castellani
F.to Avv. Gino Pastorelli
F.to Capitano Pellegrinelli Dino


Randolfo Pacciardi. Dalla Spagna, 7 novembre 1936

“Una lettera di Randolfo Pacciardi.

Dai campi ove eroi di tutti i paesi lottano per la libertà e la democrazia ci giunge questa lettera che riteniamo nostro dovere portare a conoscenza dei nostri lettori, a nome dei quali inviamo l'augurio solidale dei lavoratori ticinesi.

Madrigueras, 7 novembre 1936
Cari amici di “Libera Stampa”,
Sono in Ispagna come combattente dopo esservi stato come giornalista. I partiti socialista, repubblicano e comunista, con una unanimità che mi confonde e mi onora, mi hanno dato l'incarico di condurre al fuoco un battaglione di volontari che presto diventerà un reggimento.
Il battaglione ha preso il nome e la bandiera di Giuseppe Garibaldi. E' formato da quattro compagnie che si intitolano, le prime tre, ai nomi gloriosi di De Rosa, di Angeloni, di Sozzi. La quarta compagnia prenderà il nome di “Italia Libera”. Il secondo battaglione, che si sta formando con le centurie di volontari che arrivano a ritmo accelerato dall'Europa intiera, si intitolerà forse a “Cesare Battisti”.

Ci stiamo intensamente preparando per andare in linea. Ho con me parecchie centinaia di padri di famiglia, i quali si stanno sottoponendo volontariamente ad una ferrea disciplina per unire allo slancio degli spagnoli i vantaggi della tecnica, della organizzazione, del metodo, della perseveranza.
Vogliamo dare alla Spagna repubblicana non un aiuto simbolico, ma un aiuto serio ed efficace. Siamo la grande legione unitaria che nella divisione del milite rivoluzionario ha superato ogni distinzione di setta e di partito.
Siamo, finalmente, la grande milizia italiana alla riscossa che combattendo su suolo straniero pensa all'Italia e si prepara, e si tempra, per le battaglie in Italia. I nomi che, tutti concordi, abbiamo scelti a nostra guida spirituale, vogliono indicare che la vera Patria, quella delle tradizioni eroiche, ma anche generose ed umane, è qui.
Se posso, vi darò notizie di noi o incaricherò qualcuno di farlo.
A Libera Stampa che ha avuto un po' della mia anima negli anni grigi, il mio pensiero e quello dei miei militi in un'ora particolarmente bella della mia vita. Vostro Randolfo Pacciardi”


Randolfo Pacciardi ha parlato alla Radio Madrid

“Italiani,

invitato tante volte a rivolgervi la parola dalla città eroica sulla quale si appuntano da alcuni mesi gli occhi del mondo, ho dovuto sempre rinviare, un po'per la riluttanza che ha ogni combattente a farsi o rifarsi oratore, un po' perché difficilmente prima di oggi il comandante del Battaglione Garibaldi avrebbe potuto discendere dalla linea del fuoco per dire una parola di fede ai fratelli vicini e lontani.
Si è vinta la mia riluttanza assicurandomi che nelle città e nelle campagne italiane qualcuno attende ansiosamente l'ora in cui dai combattenti antifascisti di Madrid e di Barcellona si leva attraverso gli spazi, una voce libera per il popolo italiano, e affermandomi che nessuno meglio del suo comandante potrebbe dire che cosa è il Battaglione Garibaldi, come è composto, come è armato, che cosa ha fatto e farà per la Spagna, che cosa rappresenta per l'Italia.

Quando i partiti comunista, socialista e repubblicano mi fecero l'onore di designarmi comandante del Battaglione italiano nelle brigate di volontari stranieri che correvano a difesa della Spagna repubblicana, io avevo compreso, naturalmente, l'alto significato morale, politico, sociale, storico che rappresentava questa solidarietà - non soltanto sentimentale e verbale - questa solidarietà concreta, questa solidarietà armata del proletariato internazionale al di là delle frontiere. Mi venne il dubbio però che nelle anonime brigate internazionali fosse difficile distinguerci; che al di là dello spettacolo magnifico dei lavoratori di tutti i paesi - persino dell'Argentina e degli Stati Uniti, persino dall'Africa schiava - che corrono finalmente alle armi e si battono per la libertà sul suolo straniero, non si potesse più direttamente servire, col sacrificio delle più generose forze antifasciste, la nostra causa nazionale, la causa della libertà, della democrazia, del progresso sociale in Italia. La tradizione garibaldina [è] risorta. Questo dubbio è sparito...
Era infatti spenta in Italia questa stupenda tradizione garibaldina, specialmente da quando un celebre scandalo franco - italiano aveva mostrato che certi nipoti degeneri dell'Eroe dell'indipendenza italiana e della libertà internazionale, si vendevano per poco rame. Triste per la famiglia del grande Generale, ma orribile per un governo cosiddetto “nazionale” gettare nel fango la più nobile, forse, riserva ideale della Nazione!

Ebbene no! Noi abbiamo restituito Garibaldi all'Italia, noi le abbiamo rievocate e riformate le Legioni italiane che ieri a Cuba, in Grecia, in Polonia, a Digione, nelle Argonne, oggi a Madrid, domani chissà? Forse a Milano, forse a Roma, furono, sono e saranno pronte a combattere e a morire dovunque si sospira, si cospira, si lotta per la libertà.
Ecco il nostro torto. E l'altro è che nel nome di Garibaldi ci siamo battuti, ci battiamo e ci batteremo bene. Noi sentiamo che il cuore della Italia, della vera Italia, è con noi. Lo sentiamo dall'affettuoso fervore d'iniziative che si sviluppano per il nostro Battaglione. Lo sentiamo dalle vibrazioni d'entusiasmo che scuotono oggi l'emigrazione italiana. Lo percepiamo dalle frasi semplici e commoventi delle lettere che ogni combattente riceve. Un periodo di crisi, di contrasto talvolta acre, di critica dissolvente è superato dall'antifascismo italiano. L'antifascismo italiano ha già costituito un battaglione rivoluzionario. Malgrado i morti, i feriti, gli ammalati avremmo già le forze oggi - do forse per il primo la consolante notizia agli italiani - per costituire un reggimento qualcuno già parla di una Brigata Italiana nella disciplina delle Brigate Internazionali. Questo “morto” antifascismo italiano ha saputo dunque rivivere e creare delle potenti organizzazioni militari e rivoluzionarie nell'ordine, nella concordia, nella disciplina!

Chi siamo? Comunisti, socialisti, anarchici, repubblicani, liberali, senza partito, siamo l'Italia che dopo aver brancolato tra le tombe ritrova se stessa; ritrova la tradizione nazionale ed umana: Garibaldi. E l'Ombra del grande aleggia sui nouvi eroi e i nuovi martiti...”


Generale Kleber. Al Comandante Randolfo Pacciardi, Fronte di Madrid

“A Randolfo Pacciardi
Comandante del Battaglione Italiano “Garibaldi” Fronte di Madrid

Madrid, 3 dicembre 1936

Caro compagno,
grazie alle splendide azioni effettuate dal Battaglione “Garibaldi” noi possiamo dire che dopo quattro giorni di resistenza i violenti attacchi del nemico, accuratamente preparati con bombardamento aereo e d'artiglieria e sostenuti da numerose tanks, sono stati nettamente spezzati e le nostre linee sono tenute più solidamente che mai.
Le forze da te comandate sono lodevoli, non solamente operché esse hanno ottenuto questo magnifico risultato, ma anche per l'esempio di fermezza e di alto valore militare che hanno dato alle unità dei nostri fratelli che lottano accanto a voi. Questo è un risultato dell'ottima coesione rivoluzionaria esistente nel vostro battaglione e della capacità militare del suo comandante.
Lo spirito d'iniziativa dimostrato dal battaglione “Garibaldi” - il quale ha saputo cementare intorno a sé tutte le altre forze che difendono Pozuelo - comprova l'alta capacità rivoluzionaria delle masse popolari italiane.

E' con grande soddisfazione che invio a tutti, comandante e militi, le più vive felicitazioni.
Deploro profondamente la perdita di valorosi compagni italiani caduti nella battaglia. Io sono particolarmente fiero di comandare - attraverso il Comando della II Brigata Internazionale e quello tuo - una unità come quella del Battaglione “Garibaldi”.
Ho il piacere di annunciarti inoltre che pregherò il generale Miaja, capo della “Giunta di difesa di Madrid”, di voler proporre al Comandante in capo delle forze repubblicane della Spagna, di citare all'ordine del gioorno dell'esercito il Battaglione “Garibaldi” e di promuovere te, compagno Pacciardi, al grado di tenente-colonnello, nonché di concedere al compagno Roasio, commissario politico del battaglione, ferito nella battaglia, la menzione d'onore.
Ti prego, compagno Pacciardi, di far conoscere a tutti i compagni del battaglione “Garibaldi” il contenuto di questa lettera.
Salute, compagni italiani! Noi vinceremo”.

Il Generale Comandante del I settore del fronte di Madrid
Kleber”(1)

Note

1)Émile Kleber si chiamava Manfred o Lazar Stern, era nato nella Bucovina (o in Austria) da genitori ebrei ed era stato ufficiale nell'esercito austro-ungarico durante la grande guerra. Catturato dai russi e internato nel campo di concentramento di Krasnoyars, si era unito ai bolscevichi dopo la rivoluzione d'ottobre ed era stato aiutante del generale ungherese Tibot Samuelis, capo supremo dell'esercito comunista di Bela Kun, poi aveva preso parte alle giornate rivoluzionarie di Amburgo e, nel '27, alla lotta dei comunisti cinesi contro Ciang-kai-scek in Manciuria. Grazie alla sua lunga esperienza militare, Kleber ebbe un ruolo di gran lunga più importante di quello del generale Miaja nell'organizzazione della difesa di Madrid. Tornato in Russia, fu fatto fucilare da Stalin (Alcofar Nassaes, José Luis. Los asesores soviéticos en la guerra civil española, Barcelona: Dopesa, [197?], p.99-114; Castells, Andreu. Las Brigadas Internacionales de la guerra de España, Barcelona: Ariel, 1974, p.73). “Chi è il generale Kleber? Si dice canadese, ma sembra tedesco e parla russo. Certamente, però, non è russo. Pare che abbia combattuto in Cina, a Berlino, e non so dove altro ancora. Chi lo ha “fatto” generale? Non so. Probabilmente i bolscevichi russi durante la rivoluzione. Inutile dire che a tutta prima questo mistero mi piace poco. Non abbiamo alcun interesse, noi italiani, che questa Legione sia inconfessabile e misteriosa, vogliamo anzi popolarizzarla nel nostro paese, esempio ai dormienti e rampogna ai codardi...” (Pacciardi, Randolfo. Il Battaglione Garibaldi, cit., p.45).


Randolfo Pacciardi. Restituiamo l'Italia agli italiani

Italiani! Il solo fatto che io, comandante del Battaglione Garibaldi, possa parlare alla Radio di Madrid, vi dice che la grande battaglia iniziata da quattro divisioni di Mussolini è finita: ed è finita vittoriosamente per le armi repubblicane. I resti del corpo di spedizione fascista sono inseguiti sulle strade e sui monti che avevano discesi - mi tornano alla mente le solenni parole dell'ultimo comunicato della vittoria - “con orgogliosa sicurezza”.
Questa spedizione vile e disgraziata quanto costosa, che la grande massa degli italiani ignorava, finisce nel disastro. In tutti i giornali del mondo il dittatore fascista è beffeggiato. I suoi generali si sono lasciati battere da ufficiali improvvisati di un esercito rivoluzionario che si sta organizzando sui campi di guerra, sotto la mitraglia del fascismo internazionale.
Mai come oggi ho visto le brigate spagnole lanciarsi all'attacco con così grande eroismo. Questa battaglia di Guadalajara seguiva di pochi giorni la grande battaglia del Jarama. Si credeva che l'armata repubblicana fosse ormai esausta e senza riserve. Il momento era propizio perché quattro divisioni con centinaia di carri d'assalto, di cannoni, di mitragliatrici, di camions, prendessero alla gola Madrid.

Perché Madrid? Perché la resistenza indomita di questa capitale rivoluzionaria bombardata e straziata, di cui critici militari da accademia predicono ogni giorno, da cinque mesi, la fine, rappresenta per tutti i popoli un grande esempio e per tutti i fascismi un grande pericolo.
Lo spettacolo di un popolo tradito dai suoi generali, aggredito dall'esercito, dalle legioni straniere, dalle truppe coloniali, da una caterva di ufficiali tedeschi e italiani, da centinaia di aeroplani tedeschi e italiani, da tanks tedesche e italiane, da migliaia di pezzi di artiglieria di tutti i calibri tedeschi e italiani, da migliaia di mitragliatrici tedesche e italiane, e ora da corpi di spedizione regolari di eserciti stranieri, lo spettacolo di un popolo che malgrado tutto resiste, combatte e vince, costituisce per i popoli addormentati e schiavi un incitamento sublime.
Se quindici anni di servaggio fascista - o italiani, o fratelli nostri - non vi hanno tolto ogni sensibilità umana, voi siete certamente commossi e ammirati.

Che dico, ammirati? Centinaia di italiani, di figli del popolo, di lavoratori oscuri, valicando frontiere, rischiando i bandi e il carcere, senza nulla domandare, sono venuti qui a testimoniare a questo popolo martire la solidarietà italiana. Molti erano esuli, dispersi dal fascismo di terra in terra per il delitto di aver pensato liberamente e di non aver saputo rassegnarsi ad una vita degradante di mandrie inquadrate: molti son venuti direttamente dall'Italia. Provenivano da diverse scuole politiche. Hanno concentrato le loro forze nell'azione. Hanno costituito un battaglione ad un tempo rivoluzionario e militare, entusiasta e disciplinato, che ha compiuto finora, tutti lo riconoscono, prodigi di valore.
Questo battaglione ha preso il nome di Garibaldi, ha voluto richiamarsi cioè alla magnifica tradizione italiana che in quel nome di riconosce e si impersona. Anche il fascismo pretendeva di catturare quel nome e credeva di poterlo fare corrompendo alcuni italiani che avevano l'invidiabile onore di portarlo.

Noi abbiamo invece ripresa l'idea garibaldina: rendere libera l'Italia da tutti i servaggi, redimere il proletariato italiano e portarlo, anzi, dargli la forza e il coraggio di portarsi da sé stesso nella liberazione economica alla dignità civile, fare dell'Italia non l'erede dell'idea asburgica e borbonica in Europa per cui il fascismo consuma tutte le risorse italiane in una beota religione della forza e in avventure internazionali dove rischia da pazzo la rovina del Paese, ma la iniziatrice di una terza missione tra le genti. Dopo l'Italia dell'Impero, dopo l'Italia del Papato, l'Italia del popolo tendente anch'essa a un prestigio universale: il prestigio delle istituzioni libere, della redenzione delle plebi, il prestigio dell'arte, dell'intelligenza, dei traffici, del lavoro, della pace...


Lettera di Randolfo Pacciardi ai familiari

7 febbraio 1938

Carissimi,
eccomi dunque in partenza io e Gigina. Non preoccupatevi della mancanza di notizie. Alla fine di marzo saremo qui e potrete allora venire a trovarci e convincervi che non siamo mai stati bene come ora. Non allarmatevi, vi ripeto, se non riceverete lettere, perché l'America è lontana. Tanti bacioni Dino.


LA RISVEGLIA nuova serie on-line del giornale fondato nel 1872