(Italia)
"Se è vero che in ogni forma di comunicazione per
immagini il mezzo, cioè lo strumento tecnico usato per produrre materialmente
l'immagine è determinante ai fini della stessa comunicazione, il rapporto mezzo
- immagine è ancora più denso di significaato quando si viene a parlare di
fotografia"
(G.Carli - Ballola)
Abbiamo accennato all'importanza del rapporto uomo - strumento
nel campo della fotografia. Il direttore del Quotidiano "vita" nel 1908 lanciò
l'idea di un servizio giornalistico affiancato da informazione fotografica,
avvalendosi del fotografo Porry Pastorel, che nel 1930 aprì una sua agenzia
fotografica "FOTO VEDO" a Roma.
Nel 1924 l'istituto "Luce" attinse i migliori
operatori fotografici alla "Vedo"
I suoi mezzi erano apparecchi 9x12 "Palmos" o "Enermann" con apparecchi di illuminazione al magnesio o (più tardi) lampade "Vacuumblitz" sincronizzate su 1/10 du secondo, sembra inoltre abbia fatto saltuariamente uso di una "Leica" negli anni 1940.
Il formato 9x12 consentiva l'uso delle pesanti ma comode lastre ortocromatiche in vetro, che potevano così essere trattate in luce rossa, e che erano notevolmente resistenti agli scarti di esposizione. In Italia le macchine usate erano di solito tedesche.
Publifoto: marca Zeiss Ikon
a) Palmos 9x12
b) Contessa Nettel 9x12 debole di cremagliera,
ma capace di accettare diversi obbiettivi.
1938: entra in uso la Rolleicord, dapprima timidamente poi in modo più significativo a partire dal 1955 ( la Rolleiflex, nata nel 1928 e modificata nel 1932 per poter accettare pellicola 120mm, è poco diffusa). In Germania frattanto trionfa il marchio Contax.
1945: inizia la diffusione della Leica e dei suoi cloni italiani : Sonne, prodotta nel 1947 in una villetta a Pordenone
1947: nasce la Bectar, artigianale a telemetro, dal nome di un meccanico Milanese, Bettoni. Oltreoceano frattanto trionfa la Graflex
1950: Publifoto - Publicolor fornisce immagini con attrezzatura Linhof.
Come si può vedere da questi dati forniti a titolo di esempio,
la tradizione fotografica italiana ci riporta ad un filone fotografico basato su
banchi ottici 13x18mm in legno per i ritratti (le cosiddette "campagnole) e su
macchine 9x12mm a lastre, pesanti ma solide, dotate talvolta di teleobbiettivi o
grandangolari artigianali, sostituite intorno agli anni 1960 da macchine
predisposte per pellicole 6x6mm, spesso monobbiettivo o
biottiche.
L'introduzione di apparecchi biottici formato 6x6 ed in seguito
35mm, sia di fascia media che di fascia alta,legata a ragioni di minor ingombro
dell'attrezzatura introdusse il pubblico in un mondo compositivo dove le
immagini vengono sempre più visualizzate direttamente attraverso il mirino, nel
quale però l'Italia non seppe inserirsi in modo competitivo: dopo aver tentato
alcuni modelli in concorrenza con il marchio Leica non ritenne più di
incentivare questo campo dell'industria, sgombrando il campo alle industrie
giapponesi.
Con la nascita delle reflex, nasce l'esigenza di affiancare al
tradizionale 50mm presso il pubblico amatoriale un corredo di obbiettivi e di
filtri per riprendere una visione più elaborata della realtà.
Visitando oggi
i mercatini dell'antiquariato e le mostre di usato fotografico, si ha
l'impressione che in Italia siano esistiti solo marchi straniero, legati alla
presenza di soffietti amatoriali o a macchine biottioche tedesche o reflex
giapponesi, ciò tuttavia non rende giustizia ad una nostra storia della
fotografia che oggi è conosciuta da pochi collezionisti.
Franci.a