Collocamento. di F.Venturi.

La mia vespa aveva tre strati di vernice. Uno gigio metallizzato, uno blu ed uno, l'ultimo,giallo. Iniziero' la mia storia da qui. Da questo mio disperato bisogno di rinnovarmi e rinnovare.Il sellino della mia vespa era sempre fitto. Eravamo in due. In certe avventure si ha bisogno di compagni, buoni, fidati, pronti a consolare. Avevo bisogno di una spalla,uno di quei personaggi di cui tutta la letteratura e' piena. Insomma se Sherlock Holmes avesse viaggiato con una vespa del genere, l'avreste sempre visto con il Dottor Watson seduto dietro di lui in equilibrio precario.

Forse Sherlock Holmes avrebbe portato il casco. Uomo saggio e prudente.

Le strade ci guardavano in cagnesco a quell'ora della mattina. Noi ricambiavamo, naturale. Non si puo' subirla sempre, la città'.

La sciarpa mi rifletteva sul naso l' alito al cappuccino.

Anche particolari del genere sanno essere irritanti quando ti stai muovendo destinazione ufficio di collocamento.

Dario era il mio Dottor Watson.

Anche se per me non c'era qualcosa di elementare nemmeno a cercarlo. Forse chi si fosse trovato a vederci sfrecciare per il centro, un ragazzo alto e magro ed uno basso e grassoccio abbracciati su un due ruote carrozzate becco d'oca ,avrebbe pensato piu' che altro a Don Chisciotte e Sancho Pancha, ve lo concedo.

Quando sei in cerca di lavoro di roba che mulina, nei dintorni, ce n'e' anche troppa.

Arrivammo prima che aprisse, come ogni volta.

C'era gia' fila, come ogni volta.

Si' perche' la coda si faceva fuori, sulla strada. Dentro ,anche ad ufficio aperto, non c'era neppure posto per respirare.

L'unica cosa che consolava un po' era che proprio di fronte ci fosse una parrucchiera da cui lavoravano alcune ragazze le cui forme ci stupivano ogni volta. Si parlava, con Dario. E basta.

Non ci si puo' certo illudere di far colpo su di una ragazza attraverso una vetrina quando si e' in fila per il collocamento. Ve lo immaginate? Era successo che il Bologna avesse vinto a Torino con la Juve, ma insomma, eran pur sempre miracoli.

Allora stavamo li', a parlare di quella brunetta tinta di biondo e di quella biondina tinta di moro. Pareva le usassero come cavie.

Il lavoro era cosi', ti fregavano.

La fila era quasi tutta di extra-comunitari.

-Sembriamo noi gli stranieri.- Diceva Dario ogni volta.

Non con cattiveria o spirito di rivalsa. Ci mancherebbe. Anzi, rideva. Sapevo cosa gli passava per la testa. L'ingresso in campo di una squadra nigeriana. Niente ufficio. Il tunnel che porta al campo. Due stranieri bianchi, fortissimi. Con il numero 10 Dario Olivieri, piedi sopraffini, talento cristallino.

Dario usava troppo la fantasia, anche per questo non trovava lavoro.

E quando ne trovava uno era sempre deludente. Lui nel lavoro e il lavoro per lui.

Gli avevano trovavato un posto come guardiano notturno in una fabbrichetta di mobili da giardino e lui si era messo in testa dal primo momento che sotto ci fosse qualcosa di losco . Che nelle casse di legno non ci fossero divani, poltrone , sofa. Armi? Segreti Militari? Forse, forse materiale radiattivo. Cosi'aveva passato notti intere aspettando che arrivassero limousine blindate con i vetri azzurrati a sfondare il cancello.

Poi pian aveva capito che non ci sarebbero mai stati furti, ne' regolamenti di conti in cui vestire i panni dell'eroe.

A meno che non esistesse una banda che impazzisse per il vimini.

Insomma aveva capito che sarebbe semplicemente morto sulle parole crociate e aveva lasciato perdere.

Quando si hanno certe aspettative e' dura trovare un lavoro all'altezza.

Io non ero molto meglio. Il mio entusiasmo per un nuovo lavoro calava in maniera esponenziale. Era la routine a distruggerti.

Tutto quello che passava per quell'ufficio era qualcosa di estremamente ripetitivo. Non ti avrebbero mai chiesto di andare ad esplorare una foresta vergine.

Si capiva che ,quando eri li' fuori, quelle due ragazze erano tutto cio' che ti rimaneva per sorridere.

A una cert'ora, variabilissima, si sentiva la serratura scattare.

Apriva sempre un uomo basso, magrissimo,con baffetti appesi sotto al naso.Aveva strani atteggiamenti da criceto. Strani perche' non era un criceto. Movimenti lestissimi e all'apparenza incontrollati.

-Anche i roditori trovano lavoro...- Era la conclusione di Dario ogni volta.

Allora la fila si pigiava. E noi venivamo a contatto di tutte quelle lingue incomprensibili. L'unica che distinguevo era il marocchino, quelli parevano stare per sputare per terra da un momento all'altro. Parlavano, parlavano tutti e tanto.

Noi eravamo sempre i piu' silenziosi, chissa' perche'?

Anche i pochi italiani che erano con noi.

Forse perche' per noi quella era proprio l'ultima carta da giocare.

Per gli altri essere li' voleva invece dire avere gia' ottenuto il permesso di soggiorno e una serie di privilegi rispetto ai clandestini.

Insomma l'uomore era diverso. Come quello di persone che siedono nella sala d'aspetto di un medico. Quelli con il cancro li riconosci da quelli che fanno una visita di controllo.

Io entravo sempre per primo, era una cabala che non aveva mai portato nulla di buono ma a cui tenevamo.Poteva sempre andare peggio.

-Buongiorno.- Diceva il criceto o nella migliori delle ipotesi una donna con mani suine e l'aspetto di una di quelle tutrici che maltrattano gli orfanelli. Comunque anche se ci fosse stato qualcuno di piu' esteticamente distensivo non sarebbe cambiato molto.

-Buongiorno.- Rispondevo contorcendomi.

-Allora lei si chiama?-

E lo sapevano. Lo sapevano assolutamente. Iniziavano a battere il nome sulla tastiera ancor prima che aprissi bocca. Pero' volevano sentirmelo dire. Quello era il briciolo di potere che avevano in mano e cercavano di camparci.

Poi guardavano se risultasse qualcosa per cui eri idoneo. Di solito una cosa o due la trovavano ma era roba che suonava proprio male. Del genere: addetto sotterraneo autospurghi. Se eri furbo capivi subito che c'era parecchio da inzozzarsi.

Se qualcosa ti andava bene, firmavi un foglio e loro ti davano un tagliando con cui presentarti al posto di lavoro.

Uscivo quasi sempre a mani vuote. Sollevato. Facevo spallucce a Dario e lui ,a quel punto entrava giusto perche' aveva fatto la fila. Quando lo vedevo ricomparire in strada non mi diceva niente. Tornavamo alla vespa coi tre strati di vernice.

-Mai che ci sian posto da dirigente.- Diceva

Oppure si metteva a parlare di un suo amico che aveva aperto un bar in Honduras. E la' altro che sciampiste tinte o decolorate.

Mantre facevamo questi discorsi avevamo sempre le mani in tasca.

La vespa andava in moto prima o poi. E noi due di nuovo per le strade.

Sherlock Holmes e Watson. Crusoe e Venerdi'. Don Chisciotte e Sancho Pancha. Gianni e Pinotto.

Alla ricerca di un bar dove leggere il giornale e capire se ,nonostante lo stiramento all'adduttore, domenica il mediano sarebbe stato in campo.