MICROPUNTA NAZISKIN
di Simone Storci


I migliori incontri della mia vita li ho fatti tutti in un cesso. Luogo benedetto da Dio, angolo di universo deputato al rinnovo interiore, allo scambio fraterno di sostanze (talora dietro corrispettivo, talora no), alla sincera apertura, fisica e mentale nei confronti dei propri simili e infine, quando Fortuna assiste, anche in quelli dei propri dissimili.
Questa sera ho voglia di compagnia. Il locale è opprimente, troppo fumo, troppi fighetti, troppa ansia di stupire. Concorrenza? Già, forse troppa concorrenza e non abbastanza energia per vincerla. Ma è meglio così, sapete? Amici incravattati e incocainati, belle ragazzone atletiformi e muscoloidi, splendidi baristi rossogiaccati: io me ne vado al cesso, a cercare un po' di vita, un minimo di reazione, se proprio non si può avere l'azione.

Non che questa cosa sia una sorpresa, in realtà. Mi hanno telefonato alle otto e mezza Franky Papero e Johnny Astruso, in dolby stereo, per chiedermi se passavo la serata al Magilla.

-Eccheccazzè il Magilla?- ho risposto io prontamente.

Non me lo hanno voluto spiegare perché:

#1. Il telefono costa.

#2. Tanto non c'è nient'altro da fare.

#3. C'è pieno di figa e farfalle.

Allora io detto okay ci vengo basta che qualcuno mi passi a prendere. E poi io mi fido del buon Franky, è proprio un bravo figlio, a parte quando picchia la sua sorellina fino a farle schizzare il sangue dagli occhi perché lei non gli lascia scoltare Bach in pace. Ma Franky è fatto così: quando fa una cosa (ascoltare classic metal o massacrare fanciulle non fa differenza) la fa seriamente.

Johnny poi è una garanzia, da quando si è rasato i capelli a zero e si è fatto tatuare quella discretissima svastica sulla guancia sinistra (a destra è da froci), è sempre circondato di splendide ragazze (le quali, tuttavia, bevono solo Ottakringer, indossano sottomettenti scarponcini chiodati, e dicono 'scheise' in continuazione).

Il locale, alla fine dei conti, non è male, lo guarducchio e rimiro mentre arranco tra folle di tubini neroidi e monopetti grigioscuri ma rolexati. La pista da ballo è quasi vuota, dato che è considerato outissimo iniziare a dimenarsi prima delle tre del mattino quando, esaurito il delirio alcoolico, si è finalmente in grado di strusciare i corpi su ritmi accettabilmente acidi e fanatici. C'è un lampadario (ce ne sono molti, ma questo è più interessante degli altri) appeso sopra il bancone del bar. E se cadesse?

Non non cade, non uccide orribilmente spappolandogli il cranio il giovane dottore commercialista noto scopa-adolescenti e solo occasionalmente aspirapolvere mondano che staziona sorridente e candido dentuto sotto il minaccioso illuminogeno. Non cade, maledetto, non cadono mai quando sarebbe il momento. Arranco ancora, sgomitando allegramente, al punto che una liceale in tuta da astronauta (non priva di raffinate scarpe Ree-bok giallo fluo) mi domanda se amo il sesso violento, con frustini, borchie, pelle nera, l'occasionale bazooka... Rispondo che sono più attratto dall'animal sex (tipo cani, gatti, coleotteri) i giorni pari, e dall'incesto (tipo violentare mia sorella con una mazza da baseball) quelli dispari. Lei mi guarda assorta attraverso le lenti fumè dei suoi vezzosi occhiali da saldatore e poi mi dice:

-Dio mio... ma sei proprio una palla!-

Non saprei che replicare, forse sono davvero una palla, forse avrei bisogno di ventidue ragazzoni in buffi calzoncini e colorate magliette che mi rincorressero su un prato allo scopo di farmi carambolare all'interno di un rettangolo delimitato su tre lati da tralicci in metallo e sul quarto da una riga di gesso.

Mi cavo d'impaccio sputando in alto la gomma americana ed urlando -CADEEEEE!-

Si crea immediatamente il vuoto intorno a me. Tutti si gettano a terra coprendosi la testa con le mani ed attendono l'orribile boato dell'esplosione. Tutti tranne tre: Franky Papero che sta sorbendo il suo decimo kaipiroska fragoloso e non ha idea di che giorno o anche solo di che secolo sia, uno dei baristi che sta deforforando le spalle della sua rossissima giacca e non verrebbe distratto nemmeno dalla caduta di un albero nel bel mezzo della foresta Amazzonica dove non ci fosse nessuno per sentirne il rumore, e la liceale astronauta. Quest'ultima solleva sulla fronte gli occhiali fumati per rivelare due strampalati occhi da cerbiattiona: grandi, umidi e azzurri. Mi mostra brevemente il braccio sinistro facendolo scivolare fuori dalla manica spaziale, scatta con il destro in un perfetto saluto nazista, mi sputa in faccia e poi dice: -Mi vuoi sposare?-

Accetto, più che altro perché ho una gran voglia di andare in bagno e da solo o in compagnia non è che faccia poi questa grande differenza.

-Solo-, le dico, -dovrai tollerare questo mio vizio di fumare troppe sigarette al mentolo e di star sveglio fino ad orari impossibili per leggere Sartre, Woijtila, Cristina d'Avena ed altri autori rivoluzionari e non-.

Lei mi guarda con quegli irresistibili occhi verdi e poi sussurra melodiosamente: -Occhei, basta che la pianti di rompere i coglioni, sono uscita per scopare questa sera, mica per fare conversazione-.

La afferro (alquanto drasticamente) per i capelli e, mentre il piano Marshall per la ricostruzione del Magilla è appena un'idea nella mente di un funzionario di qualunque ministero (la cui moglie, fra l'altro, probabilmente va a letto con il lattaio), la trascino con dolce fermezza verso la meta mia tanto desiderata.

'UOMINI' c'è scritto sulla porta, 'o quacquaracquà?' ha aggiunto a pennarello una mano anarcoide ma di buone letture; non importa, premo con energia e decisione, finalmente a casa! Il primo passo all'interno di quel paradiso mi precipita in una buia voragine dalla quale non esco più se non per brevi istanti, quel tanto che basta per intuire un paio d'occhi marroni e cerbiattoni mormorarmi: -Soffri baby, soffri-. Mentre cado penso così:

Precipito infinito

in ansiti

e cure.

Non amo il

succedersi.

Lasciatemi affogare

affogare

affogare.

Poi mi sveglio, butto giù un ristrettino con dietor e mi metto a cercare sulle pagine giallorosse la mia dolce liceale-carbiatta dagli occhi cangianti.


2-12-1996