Recensione di Claudio Donà al Libro JAZZ   BIANCO E NERO di Francesco Sovilla.


Espressione autentica di una sensibilità non soltanto intellettuale ma anche fisica, il jazz può venir meglio compreso se si è in grado di assistere alla sua esecuzione dal vivo. Quando infatti un musicista suona è coinvolto a tal punto nell'improvvisazione che tutto il suo corpo (il viso, le mani, i movimenti...) lascia trasparire la tensione emotiva ed il senso della «creatività istantanea» propri del jazz, musica essenzialmente improvvisata.
E compito e merito-se c'è il talento-del fotografo riuscire a fissare in un'istantanea quel «momento magico», riuscendo a rivelarci la personalità ed il carattere dell'artista.Il jazz non può esser fotografato con ottimi risultati se non vi è profonda conoscenza e soprattutto grande rispetto dei suoi musicisti. Vi potrà essere altrimenti si una buona foto, ma l'effetto prodotto sarà soltanto superficiale; mancherà sempre qualcosa per far diventare quelle fotografie davvero importanti, se non addirittura «storiche». si può forse quindi affermare che il lavoro del fotografo di jazz ha alla fine uno scopo analogo a quello del critico e dello storico, ma se a questi ultimi occorrono molte pagine scritte per descrivere in modo esauriente un personaggio al primo può anche bastare un solo fotogramma.
Quando penso a Francesco Sovilla mi vengono in mente tutte quelle qualità che sembrano necessarie ad individuare un bravo fotografo di jazz.
una ragguardevole tecnica di base, innanzitutto, una sostanziosa cultura jazzistica-che l'ha visto impegnato anche nel campo della pubblicistica e della didattica-e non da ultime infinite pazienza e passione.
Quella passione, un po'' anche follia, che ti spinge ad affrontare 200/300 chilometri di viaggio in automobile, quasi sempre di notte, pur di ascoltare e naturalmente fotografare uno dei tuoi idoli.


Il suo uso del bianco e nero-che resta a mio parere la tecnica espressiva più adatta al reportage jazzistico-è spesso spregiudicato, ma senza dubbio incantevole. Chi come il sottoscritto è convinto ammiratore della negritudine del jazz, non può non trovare ammirevole ed emozionante quel suo cercare di ottenere dal nero pece di molti volti quasi
impercettibili riflessi di luce. È proprio nell'arte del ritratto, alla ricerca del primo piano più esasperato, che la particolarissima tecnica di Francesco Sovilla ha modo di mettersi meglio in evidenza. Quasi una disperata ricerca del «nero sul nero», sorta di sfida all'impossibile-ma anche le improvvisazioni dei jazzisti sono spesso scommesse faticose da vincere-che sta giustamente trovando nuovi e sempre più numerosi estimatori.

Claudio Donà



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