La funzionalità del governo dei partiti in Germania
di Peter Weber
Il governo dei partiti è sotto accusa: non è solo l’Italia, ma ormai almeno mezza Europa che s’interroga sul rendimento dei suoi partiti, tormentati, come sono, dal crollo delle ideologie e dalla dissoluzione delle grandi masse omogenee, sgomenti di fronte alle nuove richieste di partecipazione dei cittadini, immobilizzati dalle esigenze della razionalità economica nell’era della globalizzazione e intrappolati nei circuiti della nuova democrazia mass-mediale. Le ricerche per analizzare i difetti di funzionalità dei partiti e le cause della disaffezione degli elettori hanno preso in esame ogni elemento di novità, ma ancora non riescono a spiegare perché alcune democrazie occidentali ed alcuni sistemi politici sembrano resistere meglio al carico delle nuove sfide ed altre invece meno.
Ogni paese tende naturalmente a considerare il suo sistema dei partiti una variabile indipendente ed indiscutibile. Tuttavia è evidente che esistono sistemi partitici di maggiore rendimento ed altri più problematici. Per questo motivo un analisi comparata sembra probabilmente una buona via per poter dare un giudizio critico più ponderato sul proprio sistema partitico, nonché per individuare eventuali rimedi per migliorare la sua funzionalità. Questo saggio si propone per ora solo di fare il primo passo in questa direzione, prendendo in esame un sistema partitico in un paese vicino, dove le cose, nonostante un sistema costituzionale e una carica di problemi molto simili al caso italiano, sembrano ancora funzionare meglio. Il caso scelto è quello della Germania, dove, nonostante vari motivi di crisi molto forti, finora non si è visto neanche l’ombra di un cataclisma dei partiti come in Italia. L’obiettivo principale di questa ricerca è pertanto quello di evidenziare gli elementi particolari che hanno permesso questa performance del sistema tedesco, lasciando il confronto esplicito con la situazione italiana per lo più al lettore che è libero di trarre le sue conclusioni.
1. Il modello di "Stato dei partiti"
Il governo dei partiti in Germania, come si presenta oggi, è una conseguenza delle scelte adottate nei primi anni del dopoguerra dai padri fondatori della Repubblica Federale. Memore del disastroso fallimento dei partiti nella Repubblica di Weimar, i costituzionalisti tedeschi svilupparono in quegli anni le basi di quel particolare modello chiamato "Parteienstaat", lo "Stato dei partiti". Il teorico che per primo sviluppò i concetti di questo sistema fu il costituzionalista Gerhard Leibholz. Il punto di partenza del ragionamento di Leibholz era l’acquisizione di un dato di fatto: il riconoscimento del ruolo primario e dominante dei partiti nella democrazia moderna. Mentre i teorici liberali per motivi di principio si ostinavano ancora a negare questa centralità, Leibholz ne prese semplicemente atto, per analizzare questa funzione dei partiti, renderla funzionale ed imbrigliare o arginare le tendenze deleterie e potenzialmente distruttive di questo governo.
Un primo riflesso delle teorie di Leibholz si ebbe già nella Legge Fondamentale del 1949 (la Grundgesetz), che all’articolo 21 riconosceva esplicitamente il ruolo dei partiti nel nuovo Stato, ma allo stesso tempo non esitava ad imporre alcuni requisiti fondamentali per lo svolgimento di questo ruolo. Il modo in cui i partiti essercitavano il loro ruolo intermediario fra cittadini ed istituzioni, una funzione tanto delicata quanto indispensabile, era infatti una questione centrale nel modello di Leibholz, il quale era convinto che per garantire una formazione razionale della volontà politica, che partisse dal basso verso l’alto, bisognava innanzitutto imporre le regole della democrazia nella vita interna dei partiti. La fine della Repubblica di Weimar aveva appunto insegnato i pericoli di troppa negligenza a questo riguardo, poiché la distruzione di questa prima esperienza di democrazia in Germania era avvenuta, nell’ipocrito rispetto della legalità, ad opera di un partito che al suo interno non aveva accettato nessuna delle regole e dei valori di questa democrazia.
Nella seconda Repubblica la teoria di Leibholz si diffuse pertanto rapidamente e già nel 1952 la Corte Costituzionale, in una delle sue prime sentenze, affermò che "oggi come oggi ogni democrazia è necessariamente uno Stato dei partiti". Grazie ai successi del governo Adenauer, la nuova democrazia riuscì a mettere presto anche radici solide fra i cittadini tedeschi che accettarono un governo dei partiti ben distante dalle disastrose esperienze weimariane. Una conferma fu anche il fatto che già alla fine degli anni cinquanta il numero dei partiti stabili rappresentati in Parlamento fu ridotto a tre. Questa nuova stabilità consentì in seguito di approfondire ancora la teoria e prassi della "democrazia dei partiti" con altre normative, soprattutto con la "Legge sui Partiti" del 1967, che riassume le regole più importanti che governano la vita dei partiti nella Repubblica Federale.
I principi fondamentali a cui si ispira questa legge sono la libertà, l’uguaglianza e la pubblicità. Nel sistema di valori della Legge Fondamentale i partiti hanno in primo luogo l’obbligo di darsi delle strutture democratiche (Art.21,1 GG). Il principio che dovrebbe governare, non solo a parole, la vita dei partiti tedeschi è quindi quello della democrazia interna. Perciò le decisioni più importanti devono essere sottoposte in ogni caso ad un voto democratico. La legge sui partiti contiene poi una serie di disposizioni che specificano l’imperativo della Grundgesetz. Secondo questa legge, ogni partito è obbligato a darsi un programma e uno statuto scritti (§ 6 PartG). Lo statuto deve definire fra l’altro l’articolazione e gli organi del partito, le modalità di iscrizione, i diritti e doveri degli iscritti e le eventuali sanzioni contro membri o sezioni. Il § 7 PartG obbliga i partiti a darsi un’articolazione regionale, che "deve essere così estesa da consentire ai singoli membri un’adeguata partecipazione alla formazione della volontà politica del partito". Organi inderogabili sono la presidenza (§ 9 PartG) e il congresso o l’assemblea (§ 11 PartG), di cui sono specificati i compiti e le competenze fondamentali, nonché le modalità democratiche della loro elezione. L’assemblea deve essere convocata almeno ogni due anni. Completano le disposizioni della legge la definizione dei diritti degli iscritti (§ 10 PartG), l’estensione del principio di maggioranza (§ 15 cap.1 PartG) e alcune disposizioni sullo svolgimento delle elezioni interne (§ 15 cap. 2 PartG).
Una questione di fondamentale importanza è infine la scelta dei candidati alle elezioni. Qui la legge tedesca è apparentemente piuttosto laconica: Il capitolo III. della legge sui partiti consiste infatti in un solo paragrafo che nella sua concisione risulta tuttavia estremamente chiaro e deciso: "La scelta di candidati per le elezioni a organi di rappresentanza popolare deve avvenire con un voto segreto. La selezione è regolata dalle leggi elettorali e dagli statuti dei partiti" (§ 17 PartG).
2. Le limitazioni del governo dei partiti
Nonostante molte critiche riservate agli effetti legittimatori e all’applicazione concreta di questa legge, nella prassi politica tedesca queste regole rappresentano un punto di riferimento e nella vita interna dei partiti hanno pertanto contribuito a impedire una maggiore deriva carismatica e plebiscitaria come anche gli eccessi di centralismo che sembrano caratterizzare gli ultimi sviluppi dei partiti in altre democrazie occidentali. Nel caso tedesco ci sono tuttavia ancora altre restrizioni che incidono fortemente sulla vita dei partiti. Queste appaiono sotto la forma di articoli scritti nella Legge Fondamentale, nelle regole scritte e non scritte della Kanzlerdemokratie (la democrazia del cancelliere) e non per ultimo anche come convinzioni generalmente accettate dalla maggior parte dei tedeschi. Queste limitazioni si possono riassumere in quattro condizioni cardinali, che i partiti in Germania non sono riusciti ad intaccare:
1. il ruolo centrale del cancelliere nel governo del paese (il sistema ed i meccanismi della Kanzlerdemokratie);
2. le istituzioni indipendenti sottratte all’influenza diretta dei partiti (la Corte Costituzionale e la Bundesbank, ma anche una serie di organi del Welfare state);
3. la diversificazione e l’intreccio dei poteri incrociati (Gewaltenverschränkung) nell’ordinamento federale e
4. le regole e i concetti prevalenti della politica economica (la Tarifautonomie e la Soziale Marktwirtschaft) che lasciano ben pochi spazi al controllo diretto dell’economia da parte dell’esecutivo e dei partiti .
La funzionalità della Kanzlerdemokratie è rimasta, anche dopo l’unificazione, la maggiore garanzia di stabilità che fornisce ai partiti un quadro di certezze in cui muoversi. La schiera di istituzioni indipendenti invece continua ad assicurare un elevato grado di razionalità ed efficienza nell’attuazione delle decisioni politiche. Il sistema federale crea tuttora un elevato grado di concorrenza e di controllo reciproco fra le regioni e lo Stato, ma anche fra le regioni medesime. La cornice della Soziale Marktwirtschaft (l’Economia Sociale di Mercato) ha infine delimitato e razionalizzato il raggio d’azione della politica economica, impedendo innanzitutto le ingerenze dirette a favore di singole imprese. Le regole vigenti in questo sistema, che attribuisce molte decisioni al mercato o alle parti sociali, hanno esonerato i partiti dall’obbligo e dalla tentazione di occuparsi anche di molti campi spinosi della politica economica, come per esempio la politica dei redditi.
Pertanto non c’è solo il mitico "senso dello Stato dei tedeschi" fra le convinzioni e i valori generalmente riconosciuti che favoriscono il funzionamento delle istituzioni. Importanti sono anche i principî dello Stato di diritto e dell’Economia Sociale di Mercato che hanno ormai radicato i valori della società aperta fondata sui diritti dell’individuo. Anche la lunga tradizione di razionalità amministrativa, che dimostra sempre una notevole tendenza alla burocratizzazione, è ormai almeno controbilanciata da un’accresciuta cultura critica. In parte questi cambiamenti negli orientamenti prevalenti dei tedeschi sono stati imposti dalla necessità di confrontarsi anche a livello internazionale, su scala economica e governativa, un’integrazione che non era solo obbligata, ma anche uno degli obiettivi della politica di liberalizzazione nell’ambito dell’Economia Sociale di Mercato attuata da Ludwig Erhard nel dopoguerra. Sul fronte interno l’opzione per il mercato viene tuttavia mitigata dai valori della solidarietà, della cogestione e della pace sociale, garantita anche grazie ai saldi principî di rappresentanza democratica nel sindacato. Il principio della rappresentanza è tuttavia una linea guida, accanto a quelle della responsabilità e del ragionamento pratico, riconosciuta e applicata in molti settori della vita pubblica tedesca. Una garanzia molto importante dell’indipendenza delle istituzioni nelle rispettive sfere deriva infine semplicemente da una deontologia generalmente riconosciuta dalle elites tedesche: si tratta cioè dell’assoluto rispetto per la distinzione dei ruoli. Per questo motivo sarebbe p.e. impensabile in Germania che un sindacalista, imprenditore, giornalista o magistrato usasse la notorietà acquisita nel suo campo per scendere, da un giorno all’altro, in politica. Da un lato questo fatto può indicare una certa chiusura della classe politica che sembrerebbe dare poco spazio alla cosiddetta "società civile". Ma d’altra parte questa distinzione è un bene, perché esclude tante commistioni pericolose e permette ad ogni istituzione di funzionare senza essere inquinata dalle velleità politiche dei suoi dirigenti.
3. La concorrenza politica
Secondo Dario Antiseri, "il grande principio che anima lo sviluppo dell’Occidente è la competizione". Tuttavia la presenza di un qualche tipo di concorrenza non è ancora sufficiente per garantire la funzionalità di un sistema. Qualunque tipo di competizione ha bisogno di alcune condizioni e regole per funzionare. Nel sistema del party government questi principi sono la responsabilità degli attori, in primo luogo dei partiti, la trasparenza dei loro atti e il potere di sanzione dei cittadini. L’analisi del governo dei partiti nella Repubblica Federale prenderà ora in esame il grado di realizzazione di questi principi nella vita politica tedesca.
Per quanto riguarda la concorrenza politica, il primo parametro da prendere in esame riguarda la stabilità di governo e le chances dell’opposizione di sostituire i partiti al governo. In Germania i veri ricambi al potere non sono stati molto frequenti. In 50 anni si sono verificati solo due veri e propri avvicendamenti fra maggioranza e opposizione: nel 1969 e nel 1982. Pertanto questo parametro nella Repubblica Federale non appare molto alto. Un partito che va al governo può infatti sperare di restarvi a lungo. Le scelte dell’opposizione acquistano a questo punto una particolare importanza. A questo proposito, per un certo periodo negli anni Sessanta, quando la SPD diede vita alla Grosse Koalition con i democristiani, poteva sembrare che questo partito avesse scelto una strategia più consociativa che conflittuale,. Quanto può essere inquinante un solo cattivo esempio, lo dimostra il fatto, che fino ad oggi la prospettiva di una nuova grosse Koalition continua ad aleggiare sul dibattito politico tedesco, facendo capolino soprattutto nei momenti di conflitto all’interno della coalizione governativa, alterando così il confronto razionale e la concorrenza fra i partiti. Tuttavia va sottolineato che i socialdemocratici nella specifica situazione degli anni 60 avevano già affrontato un serio rinnovamento con lo storico programma di Bad Godesberg del 1959. La strategia "consociativa" serviva allora soprattutto per dimostrare che i socialdemocratici non erano un partito solo d’opposizione, ma anche di governo. E siccome nei loro dicasteri apparivano anche molto più freschi dei democristiani, alla fine, dopo tre anni di governo comune, questa si rivelò una strategia vincente per preparare il primo vero Machtwechsel (l’avvicendamento al potere) con le elezioni del 1969 e mandare i democristiani dopo 20 anni finalmente all’opposizione.
Da allora le occasioni per una nuova strategia consociativa non sono certo mancate, specialmente quando l’opposizione riusciva a conquistare la maggioranza nel Bundesrat. Benché questa situazione rappresenti praticamente un invito istituzionale ad una tale strategia, non si sono però verificati che pochi episodi. Gli elettori hanno fatto capire di non gradire tali scelte e i due maggiori partiti badano a non rovinarsi le possibilità di vincere alle prossime elezioni. Un ruolo importante per il mantenimento di questa rotta gioca di solito il Candidato al cancellierato dell’opposizione, che spesso non è identico con il leader del partito, ma proprio per questo motivo deve stare attento a non farsi compromettere la propria immagine da un partito troppo blando con il cancelliere in carica.
Per questi motivi la strada verso il ritorno al potere è finora sempre passata e continua a passare attraverso il rinnovamento programmatico e il ricambio al vertice del partito sconfitto. Tuttavia, se i partiti tedeschi hanno finora sempre preferito aumentare la propria attrazione elettorale, anziché la penetrazione istituzionale, bisogna pure riconoscere che il ricambio al potere in Germania non passa solo attraverso le elezioni. Nel 1966, nel 1969 e nel 1982 è infatti intercorso sempre anche un altro fattore: cioè un cambio di coalizione.
Questo fatto suggerisce di esaminare ora anche il ruolo dei partiti piccoli. Qui il discorso della concorrenza è certamente più complesso. Per i liberali della FDP negli ultimi 50 anni la vera misura di successo è stata sempre la soglia del 5 %. Per superarla, il partito non ha mai esitato a fare anche una scelta apertamente "consociativa", chiedendo il "secondo voto" agli elettori dell’attuale partner di coalizione. I liberali tedeschi si definivano pertanto anche attraverso il rapporto con i due partiti maggiori, dei quali erano spesso persino debitori elettorali.
Fino al 1982 i liberali della FDP erano l’unico partito minore e pertanto potevano apparire un partito senza concorrenti diretti. Infatti la legge elettorale con la soglia d’accesso sembra un ostacolo molto forte all’ascesa di nuovi partiti. Alla fine però si è visto, che anche questo ostacolo può essere superato, se un partito rivela di essere veramente radicato nella popolazione. La prova è stata fornita dai Verdi, che nel 1982 con la loro entrata nel Bundestag riuscirono a sfidare per la prima volta l’oligopolio dei partiti stabili. In seguito anche i successi dei Republikaner e di altri partiti dell’estrema destra così come quelli, dal 1990, dei postcomunisti della PDS hanno contribuito a creare oggi una situazione di fortissima concorrenza politica, elettorale e programmatica fra i partiti minori. Per questi motivi non si può escludere l’ascesa di altri partiti nuovi, ma sembra abbastanza escluso che possano affermarsi partiti con intenzioni e strutture poco serie. Più partiti minori entrano nei parlamenti, più agguerrita diventa la concorrenza fra di loro. I dati, soprattutto delle elezioni regionali, indicano infatti che l’elettorato disposto a votare eventualmente per uno dei partiti minori non basta praticamente mai a farli entrare tutti in parlamento. Pertanto i partiti in concorrenza tentano di rispondere a questa emergenza con iniziative programmatiche, cercando di occupare lo spazio elettorale dell’avversario.
La concorrenza fra i partiti minori riguarda infine anche la formazione delle coalizioni, poiché almeno i socialdemocratici sono disposti ad allearsi con tutti (eccetto per l’estrema destra) e pertanto possono a volte scegliersi il partner più forte e più affidabile. Per quanto riguarda i partiti minori in Germania, il giudizio complessivo evidenzia quindi un livello di concorrenza decisamente aumentato negli ultimi 20 anni. Fra i due partiti maggiori la competizione delle idee è forse meno evidente, ma non meno forte. Il superamento delle ideologie ha anche qui contribuito ad un maggiore grado di concorrenza fra i partiti di massa, che oggi devono spesso contendersi gli stessi ceti sociali per conservare la loro forza elettorale. Nella generale convergenza al centro che ne segue sembra emergere spesso anche una dimensione infrapartitica: ne è un esempio, ma non l’unico, il socialdemocratico Schröder che con le sue tesi economiche ha tante volte messo in imbarazzo le vecchie gerarchie del suo partito, trovando consensi invece fra gli altri partiti più vicini a posizioni liberali.
La competizione all’interno dei partiti infine, il confronto fra le idee e le persone che le rappresentano, sembra in Germania molto più razionale che in Italia, grazie anche alla cornice di garanzie fornite dalla legge sui partiti. Ne è una prova soprattutto la prassi seguita per la selezione democratica dei candidati alle elezioni: in ottemperanza alla legge sui partiti nella realtà politica tedesca la selezione dei candidati diretti (per la quota maggioritaria) avviene sempre nel rispettivo collegio con un voto segreto all’interno del partito. La selezione dei candidati sulle liste regionali (per la quota proporzionale) avviene invece su un apposito congresso regionale, nel quale i concorrenti lanciano la candidatura per un determinato posto in lista, misurando i rispettivi consensi fra i delegati in una votazione segreta. In entrambi i casi un controllo del comportamento elettorale dei delegati appare piuttosto difficile e pertanto le sorprese sull’esito spesso non mancano. Il risultato più importante è tuttavia, che i candidati tedeschi, grazie alla segretezza della loro selezione, non contraggono quel tipo di debito elettorale nei confronti di certi grandi elettori, che in Italia limitano spesso la loro libertà di coscienza, inquinando non poco il loro rendimento parlamentare.
4. La responsabilità dei partiti
Il secondo criterio di funzionalità del governo dei partiti è la responsabilità degli stessi di fronte agli elettori. Partiti che non devono rispondere delle cose fatte o non fatte saranno infatti poco inclini a recepire i problemi e le esigenze dei cittadini per proporre soluzioni (responsiveness). Il rischio in questo caso è quello dell’autoreferenzialità di un sistema partitico. La prima condizione per far funzionare il suddetto meccanismo di raccordo fra cittadini e partiti è che sia possibile, da parte dei cittadini, riconoscere quello che un singolo partito ha fatto o ha impedito di fare (trasparenza).
Per quanto riguarda la responsabilità dei partiti in Germania, il loro numero ridotto, anche se è in aumento, sembra consentire ancora l’individuazione dei rispettivi ruoli, meriti o demeriti. Più complicata si presenta la situazione per il governo, composto dal 1982 da tre partiti, di cui due, la CDU e la CSU, di fronte al paese si presentano alle elezioni uniti nell’Unione Democristiana, ma sulla scheda elettorale ciascuno per conto suo solo nel proprio territorio. Così, gli elettori in Baviera non hanno nessun potere di sanzione diretta nei confronti della CDU di Kohl, mentre quelli nelle altri parti del paese non possono dire la loro sulla performance della CSU bavarese. Nella somma la sanzione elettorale si distribuisce in egual misura su entrambi. Il terzo incomodo in questa inconsueta costruzione è infine la FDP, che si presenta autonomamente in tutto il paese, ma non esita a chiedere il voto agli elettori dell’Unione, speculando sulla tradizionale diffidenza dei cittadini tedeschi contro le maggioranze assolute di un solo partito. Per questi motivi succede piuttosto spesso che alle responsabilità di partito si sovrappongano quelle di coalizione, all’interno della quale gli elettori trovano spesso parecchie difficoltà a distinguere i meriti e le colpe di ciascuna forza.
Un ulteriore elemento inquinante si è introdotto poi negli ultimi anni con la maggioranza socialdemocratica al Bundesrat, che è diventata ormai quasi una costante della politica tedesca. Con la possibilità di bloccare le leggi più importanti, il maggiore partito d’opposizione ha nei fatti conquistato una parte di responsabilità governativa e questo non contribuisce certo alla distinzione netta dei ruoli. Così, se una riforma non passa, diventa ormai sempre più difficile attribuirne la colpa ad un partito o ad una parte sola.
Gli elementi che tengono a bada gli effetti deleteri di questa intricata situazione sono due: uno è l’aspirazione dei più importanti politici d’opposizione a sfidare il cancelliere, che frena decisamente la loro inclinazione ad accordi sottobanco. L’altro è l’evidenziato ruolo del cancelliere, che rimane l’unico politico a rappresentare tutto il governo di fronte al parlamento e al paese. É il cancelliere a scegliere e dimissionare i ministri (art.64 GG), eccezion fatta per quelli della FDP, scelti in evidente contrasto con la Costituzione dagli organi del partito. Quale rappresentante dell’alleato bavarese a Bonn, un ruolo particolare ce l’ha anche il leader della compagine ministeriale cristiano-sociale nel governo federale, specialmente quando ricopre anche la carica di segretario della CSU come l’attuale ministro delle finanze Theo Waigel. Queste sono pertanto posizioni di cui il cancelliere non può più disporre come gli spetterebbe secondo la lettera costituzionale. Tuttavia si tratta di un’alterazione della Costituzione che tutto sommato risulta funzionale, perché aumenta la visibilità dei partners di coalizione e in questo modo aiuta ad individuare le responsabilità a livello partitico all’interno della coalizione.
Di fronte al grado di personalizzazione in questi incarichi di governo, la responsabilità dei parlamentari è certamente ridotta, soprattutto quando essi sono stati eletti sulla lista regionale di partito. La legge elettorale tedesca, maggioritaria con pieno recupero proporzionale, divide i parlamentari in due categorie ben distinte. La prima metà, eletta nel collegio con la maggioranza relativa o assoluta dei voti sulla persona, risponde più direttamente al corpo elettorale. I candidati che riescono ad emergere nella politica nazionale o a svolgere comunque un lavoro apprezzato nel collegio hanno infatti buone probabilità di migliorare il proprio risultato. La seconda metà, eletta sulla lista regionale bloccata, risponde invece molto più direttamente al corpo di partito, poiché prima di nuove elezioni questi parlamentari devono presentare la loro candidatura per un determinato posto in lista ed è il congresso regionale del partito che decide con il suo voto segreto chi fra i candidati otterrà il posto migliore in classifica. Un elemento arbitrale controproducente all’individuazione delle responsabilità individuali arriva infine dalla concorrenza fra i due sistemi. Può infatti capitare che il successo di un partito, che in una regione conquista la quasi totalità dei collegi, ne cancelli il diritto a seggi di recupero, una eventualità non troppo rara che esclude in questo caso persino i primi della lista regionale.
5. Il potere di sanzione dei cittadini
La responsabilità rimarrebbe un principio vuoto e privo di mordente senza la concreta possibilità di sanzionare il comportamento dei responsabili. Come abbiamo appena visto, la sanzione democratica in Germania non è priva di elementi di irrazionalità. Tuttavia, al di sopra della soglia d’accesso, il sistema elettorale tedesco traduce ogni oscillazione dei consensi direttamente in un numero più alto o più basso di seggi. Non ci sono soglie garantite come p.e. nel sistema elettorale comunale in Italia o come nelle prospettate riforme elettorali con premio di maggioranza. Pertanto in Germania l’effetto delle elezioni è sempre immediatamente percepibile. La concorrenza diretta fra i due partiti maggiori decide quasi sempre anche la posta in gioco più alta. Nel nuovo sistema dei partiti, che non vede più un solo ago della bilancia, bensì due o addirittura tre partiti minori, è infatti diventato molto più difficile escludere il primo partito dalla formazione della maggioranza governativa (come era invece la regola durante gran parte dell’era della coalizione social-liberale negli anni 70). Chi arriva primo nelle elezioni ha pertanto ottime possibilità di conquistare anche la carica di capo del governo e chi arriva secondo si vede quasi sicuramente penalizzato. La posta in gioco è alta anche perché il sistema governativo tedesco offre ottime possibilità al partito del cancelliere di far valere la sua volontà contro l’opposizione. Per i perdenti invece le conseguenze si estendono anche a livello amministrativo, dove in media circa 800 dirigenti nelle istituzioni federali vengono mandati in pensione dopo un cambio al potere.
Lo strumento più potente degli elettori tedeschi e la scure più temuta soprattutto dai partiti minori è comunque lo sbarramento del 5 %, che costituisce certamente uno dei maggiori elementi di irrazionalità. Sopra questa soglia del tutto arbitraria un partito è nel pieno dei suoi diritti, ma appena sotto non rappresenta nulla nel parlamentarismo tedesco. Tuttavia è proprio per questo motivo che lo sbarramento sviluppa la sua forza come strumento di sanzione nei confronti dei partiti piccoli, per i quali talvolta costituisce una legge veramente durissima.
Per quanto riguarda le candidature dirette, il numero dei collegi sicuri non è troppo elevato. Negli ultimi anni anche qui tante vecchie certezze sono state messe in discussione e i marginal seats sembrano ormai prevalere in buona parte della Germania. Anche qui sembra pertanto possibile parlare di un elevato grado di concorrenza. Un elemento interessante è infine costituito dall’abitudine di un voto differenziato da parte degli elettori dei partiti piccoli, che spesso danno il loro primo voto al candidato del partner maggiore, democristiano o socialdemocratico. Pertanto, come del resto ormai in Italia, una rottura della coalizione può generare delle ricadute immediate anche per i singoli candidati nei collegi.
Riassumendo, si può dire, che in Germania per i partiti e i parlamentari di maggioranza c’è in ogni caso la relativa certezza di dover affrontare il giudizio degli elettori assieme al cancelliere da loro presentato ed eletto, che risulta anche dall’improbabilità di poterlo sostituire attraverso un voto di sfiducia costruttivo secondo l’art. 67 della Costituzione. Questa certezza spinge pertanto l’intera compagine automaticamente verso un comportamento responsabile e costruttivo quale unica salvezza per tutti. Diversamente dall’Italia (dove viene considerato un’attentato alla pubblica sicurezza non lo strappo di maggioranza, ma la minaccia di elezioni anticipate immediate), in Germania le defezioni non pagano, perché sono quasi sicuramente sottoposte al giudizio e alla sanzione degli elettori.
Un elemento importante nel processo di sanzione democratica, che permette una responsività più continua, è infine costituito dalle elezioni intermedie. In Germania non ci sono elezioni supplettive, in caso di dimissioni o morte di un parlamentare subentra automaticamente il primo non eletto piazzato sulla lista regionale. In compenso hanno acquisito un ruolo importantissimo le elezioni regionali che, oltre alla valenza diretta per il land interessato, sono quasi sempre anche un test per la politica nazionale. A questa percezione contribuisce certamente il fatto che i ricambi al potere nelle regioni hanno spesso una ricaduta diretta sulla politica nazionale, perché possono cambiare i rapporti di maggioranza nella seconda camera, il Bundesrat. Inoltre decidono anche sulla futura carriera nazionale dei politici regionali, sia che il cancelliere chiami come ministri o sottosegretari nel gabinetto i migliori politici regionali del suo partito, sia che i partiti d’opposizione scelgano i loro candidati per la politica nazionale (specialmente lo sfidante del cancelliere) fra quelli che a livello regionale hanno ottenuto i risultati migliori. In questi casi la sanzione degli elettori a livello regionale risulta quindi un valido strumento di informazione per i partiti.
L’ultimo strumento sanzionatorio dei cittadini è infine dato dalla loro facoltà di contribuire o meno al finanziamento dei partiti. La Corte Costituzionale di Karlsruhe aveva inizialmente respinto l’idea di un finanziamento pubblico dei partiti che andasse oltre la restituzione dei costi elettorali. Fu solo con due sentenze del 1977 e del 1982 che i giudici di Karlsruhe trassero anche l’ultima conseguenza dal modello dello Stato dei partiti, riconoscendo il diritto delle forze politiche ad un finanziamento pubblico. Nella stessa sentenza la Corte ha tuttavia posto ancora un limite alla statalizzazione dei partiti: per non incrociare e annullare la funzione sanzionatoria del finanziamento privato ai partiti, cioè per non recidere questo raccordo con i cittadini, i giudici della Consulta tedesca hanno sempre sottolineato in tutte le sentenze che il finanziamento pubblico ai partiti non può sostituirsi completamente a quello privato. Nell’ultima sentenza del 1992 i giudici hanno ancora ribadito il loro modello dualistico del radicamento dei partiti sia nella società che nello Stato, che deve trovare riscontro anche nelle modalità di finanziamento.
Quello del finanziamento ai partiti è un argomento delicato e un problema spinoso anche in Germania. Ma anche se i partiti spesso non sembrano più sapere come soddisfare la loro sempre crescente fame di danaro, non si è sviluppata nessuna cultura diffusa dell’illegalità. La vigilanza dei cittadini tedeschi ha fatto e continua a fare probabilmente più di quella della magistratura. Ai primi segnali d’allarme nei primi anni ’80 (lo scandalo Flick), la reazione dei cittadini tedeschi è stata talmente forte che i ministri coinvolti non ebbero altro scampo che le dimissioni. Come reazione fu subito introdotta una nuova norma nella Costituzione che dal 1 gennaio 1984 obbliga i partiti ad un massimo di trasparenza, non raggiunta "neanche lontanamente in nessun’altra democrazia occidentale". Da allora i partiti e i singoli politici si guardano bene dall’esporsi con pratiche poco legali per favorire il finanziamento ai partiti. Persino nella politica comunale gli episodi di corruzione riguardavano sempre soltanto casi di arricchimento personale. Pertanto, poiché a livello nazionale "la Germania - diversamente da Francia, Italia, Austria e Spagna - negli ultimi due decenni non ha conosciuto scandali di questo genere, sembra realistico concludere che una sistematica estorsione di tangenti in favore delle casse dei partiti per la politica federale e regionale possa escludersi".
6. Conclusioni
Lo Stato dei partiti stabilitosi in Germania negli anni 50 ha mantenuto la sua funzionalità anche nei decenni seguenti. Una condizione importante di questo successo furono le regole democratiche imposte ai partiti che continuano a garantire il loro funzionamento quale principale raccordo fra società e Stato. É anche grazie a queste scelte che la Germania riesce ancora a mantenersi ben lontana da molte delle disfunzioni italiane. Di fronte alle nuove sfide della democrazia mass-mediale nell’era della globalizzazione questo modello è oggi di nuovo in evoluzione.
Nell’attuale fase politica in Germania si possono rilevare sia elementi di stabilità, sia segnali di stagnazione e di crisi. Per un certo periodo questi ultimi possono essere e in passato sono già stati il prezzo da pagare per l’enfasi messa dalla Costituente tedesca sul mantenimento della continuità di governo. Al di là di alcune critiche giustificate sull’immobilità e sul malfunzionamento della politica in Germania, i rischi di un cataclisma del governo dei partiti nella Repubblica Federale sembrano piuttosto remoti, poiché le regole del sistema tedesco sono tutte atte non solo a favorire la stabilità di governo, bensì anche la democraticità dei processi decisionali, per impedire lo sganciamento dei partiti dalle istanze dei cittadini e della cosiddetta "società civile".
Quale nodo centrale delle maggiori critiche al governo dei partiti torna sempre la (problematica) comunicazione fra partiti e cittadini. Un punto di riferimento per le ultime novità in questo campo nella politica tedesca sono ancora le democrazie anglosassoni, come dimostrano p.e. le nuove strategie perseguite dai socialdemocratici per individuare e lanciare lo sfidante del cancelliere Kohl. Le nuove strategie comunicative e decisionali sono sempre imposte dalle leggi della concorrenza, che in questo modo si conferma ancora "motore" del progresso politico. Il "freno" necessario per controllare gli effetti più deleteri di questa accelerazione è invece costituito dalle garanzie e regole dello "Stato dei partiti". Pertanto gli elementi di novità non indicano affatto una svolta atta ad un abbandono del modello collaudato. Contro le critiche piuttosto generiche, le garanzie di questo sistema si sono rivelate un patrimonio importante che mette i partiti tedeschi in grado di rispondere meglio alle nuove esigenze di trasparenza e partecipazione dei cittadini. Proprio nell’era della professionalizzazione con i suoi nuovi rischi, le garanzie del Parteienstaat sembrano pertanto oggi più importanti che mai e di fronte agli innegabili deficit di comunicazione degli attuali partiti, si può ancora, almeno in Germania, confidare nei "meccanismi di autoregolazione dello Stato dei partiti, che nel suo insieme è tuttora completamente funzionale".
Nella trasformazione in corso dei partiti europei, il sistema di regole e garanzie vigente nella Repubblica Federale è probabilmente il più imponente baluardo eretto a difesa della democrazia dei partiti. Di fronte ai nuovi sviluppi - la caduta delle ideologie, le nuove tecnologie mass-mediali, la personalizzazione e la crescente importanza delle immagini, la globalizzazione economico-finanziaria e le ridotte capacità d’intervento degli Stati nazionali - il rigore e la rigidità del modello tedesco possono talvolta costituire un ostacolo all’innovazione, ma in altri casi impediscono le peggiori derive antidemocratiche. Nella nostra epoca di nuove sfide al governo dei partiti, queste regole sarebbero pertanto un patrimonio importante da studiare attentamente per rendere i partiti veramente interpreti e salvaguardare in questo modo un razionale rapporto fra la politica e i cittadini.
(Weber, Peter: Sulla funzionalità del governo dei partiti in Germania, in: Il Ponte, Rivista di politica, economia e cultura fondata da Piero Calamandrei, a.LIV n.7, Florence, July 1998, p.65-84)