19/03/'97
UNA STORIA ORMAI TROPPO COMUNE
E' l'otto Maggio del 1991 e Letizia (detta Letti) si appresta a trovare le chiavi di casa per entrare. Giunta in casa comincia a preparare qualcosa per il pranzo. Un po' di sugo sul fuoco e non fa in tempo a mettere la pentola con l'acqua per bollire, che Gianni, il suo ragazzo suona alla porta. In casa di Letizia è un giorno normale. Lei vive col padre, un rappresentante che per motivi di lavoro è quasi sempre in giro. A ricordarle che fra due giorni sarà il suo diciottesimo compleanno è proprio Gianni mentre la stringe forte a sé per coccolarla."Mi fai bruciare il sugo se non mi lasci", si scansa Letizia. Gianni capisce l'antifona e si va a sedere sul divano in salotto. La vita continua così, normalmente, come tutti i giorni, quando squilla il telefono. "Sarà sicuramente papà". Letizia, tuta di jeans blu e magliettina di cotone bianca, si precipita a rispondere. All'altro capo del telefono, una voce sconosciuta "Ciao Letti". Il silenzio sembra d'obbligo. Chi poteva essere quella donna che oltre a conoscere il numero di telefono, pronunciava quel nomignolo che solo gli amici potevano conoscere? Ma all'improvviso la realtà la fa risprofondare in quella cucina invasa ormai dal ribollio del sugo sul fuoco. "So che non ho il diritto di chiamarti dopo averti abbandonato dodici anni fa." Era lei. Che 1'aveva abbandonata subito dopo la separazione. "Credo che tu abbia il diritto di avere delle Spiegazioni. Mi rendo conto che non posso farti vivere ancora in sospeso senza dei chiarimenti." II mutismo di Letti non sembrava disturbare quella voce che seguitava a parlare senza sapere di essere ascoltata o meno. Però impietriva Letizia che si sentiva quasi in dovere di dire qualcosa o per lo meno riagganciare. In fin dei conti, però, capiva che lo scopo di questa donna era di sfogarsi, liberarsi la coscienza, e a lei non rimaneva altro che ascoltare. "Io non ti ho mai cercata, perché ero troppo preoccupata per me. Andandomene via dovevo ricominciare tutto daccapo, senza alcun aiuto." No, questo era veramente troppo. Con quale diritto quella donna le telefonava, e semplicemente per dirle che stava bene dove stava, senza suo marito e senza sua figlia? Finalmente Letizia dischiuse le labbra:"Non ti ho chiesto io di mettermi al mondo". Sulla porta della cucina appare Gianni, con la faccia scura e un senso di impotenza. Ha capito perfettamente la situazione e vorrebbe starle vicino, ma sa benissimo che la cosa migliore da fare è starsene in disparte. "Credimi, riconosco di aver sbagliato tutto e non pretendo di ricominciare come prima. Capisco solo ora, alla scadenza della tua maggiore età, che dopo non avrò più alcun diritto e che me ne potrei pentire. Non so neppure se provo ancora qualcosa per tè e che cosa provo. Ma riconosco di averti messo al mondo io e che dovrebbe essere naturale volerti bene. E' per questo che ti chiedo soltanto un incontro. Io domani sarò tutto il giorno a casa, in via delle rose,6-terzo piano." Letti non poteva crederci; come potevano sparire 12 anni di silenzi? Non contavano nulla tutte le sofferenze che ancora le bruciavano sulla pelle e le bugie alle amiche perché si vergognava, per difendere quella madre inesistente? "Letti, lo so che non è facile, ma credimi, è molto difficile anche per me." La voce di Letizia si fece immediatamente più aspra e dura:"Non hai nessun diritto di chiamarmi Letti, solo le persone di famiglia mi chiamano cosi!". "Ti chiedo solo una possibilità, poi non ti disturberò più, tè lo giuro. E non pretendo che tu ti presenti all' appuntamento, vorrei solo che segnassi il mio indirizzo, per poter scegliere liberamente se venire o meno. Ti chiedo solo questo, di scriverlo da qualche parte. Non ha importanza se poi lo butterai, ne avresti tutti i diritti." Attimi interminabili di silenzio raggelarono il vuoto che improvvisamente aveva invaso le case di quelle due donne infelici. Entrambe forti, orgogliose, ma tremendamente sole. Forse per loro era impossibile riavvicinarsi, pur non potendo fare a meno l'una dell'altra. Non riuscivano proprio ad immaginare quanto fosse forte il loro legame. Letti abbassò la guardia e la sua voce, in quel momento così flebile, sembrò un urto violento contro le rocce. "Puoi ripetere?", prese carta e penna e cominciò a scrivere :"Via delle Rose,6-terzo piano". "Ti aspetto, e cerca di capire e di perdonarmi se puoi. Ciao!" L'aria in quella stanza sembrò fermarsi, in attesa di qualcosa, di una parola. E non tardò ad arrivare :"Accidenti, mi si è bruciato tutto il sugo." Come se nulla fosse accaduto, non poteva la dura Letti farsi sconvolgere da una semplice telefonata, non ne valeva la pena. Il pomeriggio trascorse regolarmente nella normalità quotidiana e più tardi al telefono, sentendo la voce di suo padre che le chiedeva scusa per non poter essere presente il giorno del suo compleanno-"Lo festeggeremo insieme sabato prossimo, ho una sorpresa per tè. Ti voglio bene Letti, ciao !"-non fece parola della precedente telefonata che aveva ricevuto. In fondo riguardava solo lei e non se la sentiva di dividere quel momento così particolare con qualcun'altro. Solo quando Gianni lasciò l'appartamento, Letti si ritrovò sola con se stessa, con quella giornata così pesante che le piombava addosso e pianse. Non era rabbia la sua, o rancore, perdono o cos'altro. Il suo era un semplice sfogo. Le sue fragili spalle da quasi matura non riuscivano a sopportare questo indecifrabile mistero senza perdere il controllo di se'. Le sensazioni erano tante e confuse in un misto di emozioni indefinibili. Ma la notte porta consiglio e soprattutto riposo. Così il sonno di Letti inghiottì tutte le sue ansie, le sue incertezze, le sue angosce e tutta se stessa. E' così che questa storia rimane sospesa in quell'aria ferma che aveva raggelato il respiro di Letti. Intanto, il giorno seguente, al terzo piano di via delle rose n^ 6, si udivano, distinti, i passi trafelati di un paio di tacchi alti. I pensieri di quella donna che abitava lì, dietro quella porta, si potevano solo immaginare. Era quello un giorno di assoluto orgoglio o di infinito perdono, di immenso amore o di completa indifferenza? A questa domanda, solo Letti poteva rispondere. Erano le 19,30 quando Letti, dopo una giornata di routine, completino nuovo mai sfoggiato, stringeva forte nella sua mano sinistra un fogliettino bianco da cui si intravvedeva appena qualche macchia di inchiostro che poteva anche ricordare "via delle rose...". Ma dov'era Letti, con quella sua camminata indecisa, incalzante e poi lenta, quasi ferma? La fontana della piazza principale la invitava a sostare e lei non esitò a cedere. Le gambe unite, le spalle strette all' ingiù e lo sguardo perso. Un Penny per i tuoi pensieri, Letti. Ma, repentinamente, proseguì il suo cammino fino a giungere in via delle rose n. 2, 4, poi 6, 8, fino al 20. No, non aveva dimenticato il numero, ma volontariamente aveva esitato. Era giusto assolvere a questo desiderio della madre? Almeno che aspettasse fino all' ultimo. Neanche Letti sapeva cosa sarebbe accaduto al termine di quella giornata ambigua, trascorsa in un fluente, interminabile aspettare, e non solo per lei. Avrebbe ceduto a quel terzo piano del numero 6? Solo le sue stesse gambe le diedero la conferma, quando si trovò all'interno di quell'enorme palazzone. Si poteva scorgere lo sguardo di Letti all' insù, quando al terzo piano si dischiuse una porta: "Grazie Letti, ti aspettavo." Quello che successe in seguito non ci è dato saperlo, e mentre scrivo cerco di immaginarmi una triste storia, destinata al lieto fine. Sono passati ormai quattro anni circa da quel 9 Maggio 1991 e Letti è ormai di casa in via delle rose, 6. Il loro non è il classico rapporto madre-figlia, ma tra due persone che possono contare l'una sull'altra, sempre. Un legame sottilissimo, costruito quotidianamente, giorno per giorno, attimo per attimo. Che può spezzarsi da un momento all'altro, precario come un pezzo di carta in mezzo ad una bufera. Però esisteva, c'era finalmente qualcosa che le univa, in qualsiasi momento bello o brutto. Un rapporto mai ipocrita, basato sulla sincerità e sul rispetto reciproco. Io non so se Letti e sua madre si siano mai abbracciate, spero di sì, ma penso di no. Dodici anni di lontananza lo impedivano ad entrambe. Ma erano comunque scivolate in quella tranquillità quasi banale in cui riuscivano a vivere serenamente. Sollevate da una complicità per la quale non erano loro certamente le prime, ne le ultime e senza dubbio le uniche depositarie di questa storia ormai troppo comune.