ENRICO V
Regia: Kenneth Branagh
Cast: Kenneth Branagh (Enrico V), Brian Blessed
(Exeter), Richard Briers (Bardolfo), Robbie Coltrane (Falstaff), Judi
Dench (ostessa Quickly), Ian Holm (Fluellen), Derek Jacobi (Coro), Geraldine
McEwan (Alice), Michael Maloney (Luigi, il Delfino), Paul Scofield
(Carlo VI, re di Francia), John Sessions (Macmorris), Robert Stephens
(Pistola), Emma Thompson (Caterina).
Trama: Dall'omonima tragedia di William
Shakespeare.
CORO: Oh, avere una Musa di fuoco, che si
levasse al più fulgido cielo dell'immaginazione... Un regno per
palcoscenico, dei prìncipi come attori, e dei sovrani che
assistono alla rutilante azione. Allora il bellicoso Enrico assumerebbe
da par suo il portamento di Marte, e alle sue calcagna, come segugi al
guinzaglio, la fame, il ferro e il fuoco smanierebbero per entrare in
azione. Ma perdonate, gentili signori, le basse e pedestri menti che
hanno l'ardire di voler rappresentare su questo indegno tavolato un
argomento così grande. Questo palcoscenico può forse
contenere le vaste vallate di Francia? Possiamo forse far entrare in
questo cerchio di legno anche i soli elmi che quel giorno atterrirono
l'aria di Azincourt? Dunque, perdonate; e lasciate che noi, zeri in
questo grande conto, mettiamo in moto la vostra immaginazione,
poiché sarà lei, ora, ad equipaggiare i nostri re, a
condurli di qua e di là, saltando nel tempo, condensando le
imprese di molti anni nel volgere di una clessidra. E a questo fine
accoglietemi come Coro di questa storia, Coro che a mo' di Prologo,
implora da voi grande pazienza, perché ascoltiate e siate
indulgenti col nostro spettacolo!
ARCIVESCOVO DI CANTERBURY:
Monsignore, ascoltate: si chiede a gran voce quella legge che stava per
essere approvata a nostro danno prima della morte del sovrano.
VESCOVO DI ELY: E noi come potremmo opporci, monsignore?
CANTERBURY: Pensiamoci. Se passa quella legge perdiamo il meglio dei
nostri possedimenti.
ELY: Ma come si può impedirlo?
CANTERBURY: Il re è benevolo e pieno di riguardo.
ELY: E figlio amoroso della Santa Chiesa.
CANTERBURY: In gioventù non prometteva tanto, dedito com'era a
ogni frivolezza. Spendeva le sue giornate in baldorie e bagordi, con
compagni rozzi, senza mai dedicarsi allo studio.
ELY: Ma monsignore, come possiamo mitigare gli effetti di questa legge
voluta dai Comuni? Sua Maestà è favorevole ad essa o no?
CANTERBURY: Egli sembra... indifferente, anche se pende di più
dalla nostra parte. Io ho fatto un'offerta a Sua Maestà che
riguarda la Francia.
ENRICO V, RE D'INGHILTERRA:
Dov'è il mio Arcivescovo di Canterbury?
CANTERBURY: Dio voglia proteggere il vostro sacro trono e vi consenta
di onorarlo a lungo.
ENRICO: Vi siamo molto grati. Mio dotto signore, vi preghiamo di
spiegarci con giustizia e con religioso scrupolo se e perché
l'antica legge salica che hanno in Francia ci dà o non ci
dà diritto a quanto rivendichiamo. E state molto attento a come
ci impegnate. Attento a svegliare la dormiente spada della guerra. Ve
lo ingiugniamo in nome di Dio, attento: perché mai due regni
come i nostri si sono scontrati senza un bagno di sangue.
CANTERBURY: Allora ascoltatemi, grande sovrano. Non ci sono impedimenti
alle pretese di vostra Altezza al trono di Francia, tranne questo, che
si fa derivare da Ferramondo: "In terram salicam mulieres ne
succedant", "nessuna donna potrà succedere in terra salica". La
quale terra salica, i francesi, a torto, dicono sia terra del regno di
Francia, mentre i loro stessi autori affermano apertamente che la
"terra salica" si trova in Germania, compresa tra i fiumi Sala ed Elba.
Quindi è più che evidente che la legge salica in
questione non fu escogitata per il regno di Francia, né questa
terra fu dei Francesi fino a quattrocento e ventuno anni dopo la morte
di re Ferramondo, considerato oziosamente il fondatore di questa legge.
Il re Pipino, che depose Childeric per diritto ereditario in quanto di
Bitilda, figlia del re Clotario, reclamò il suo diritto alla
corona di Francia. Anche re Capeto, che usurpò la corona di
Carlo, duca di Lorena, unico erede della linea di discendenza di
Carlomagno, non riuscì a portare con tranquillità la
corona di Francia finché non ebbe accertato che la dolce regina
Isabella, sua nonna, discendesse da lady Ermengarda, figlia di Carlo,
il suddetto duca di Lorena, attraverso il cui matrimonio la linea di
Carlomagno fu ricongiunta alla corona di Francia. E quindi, così
come è chiaro alla luce del sole, è altrettanto chiaro
che la successione avviene per linea femminile. E così hanno
fatto tutti i re di Francia fino a quest'oggi. Tuttavia, essi ora
invocano questa legge salica per impedire a vostra Altezza la linea
femminile.
ENRICO: Posso, dunque, con diritto e coscienza, pretendere il trono di
Francia?
CANTERBURY: Su di me ricada tutta la colpa. Difendete ciò che
è vostro! Alzate lo stendardo di guerra!
DUCA DI EXETER: I re e i monarchi vostri confratelli si aspettano tutti
di vedervi andare alla riscossa, al pari dei leoni vostri antenati.
CONTE DI WESTMORELAND: Mai re d'Inghilterra ebbe nobili più
ricchi e più leali sudditi i cui cuori, lasciati i corpi qui in
Inghilterra, hanno già piantato le tende nei campi di Francia.
CANTERBURY: Che i loro corpi ora vi seguano, mio Signore, a conquistare
con la spada, col fuoco e col sangue, i vostri diritti. E in sostegno
di tal fine, noi degli Ordini spirituali raccoglieremo per vostra
Altezza una tale somma di denaro quale mai fu dato dal clero in una
sola volta ai vostri antenati.
ENRICO: Entri il messaggero mandato dal Delfino. Ora siamo ben
determinati, e con l'aiuto di Dio e vostro, nobile nerbo della nostra
forza, poiché la Francia è nostra la piegheremo al nostro
volere. O la faremo in mille pezzi. Ora siamo pronti a conoscere il
piacere del nostro caro cugino, il Delfino.
MONTJOY: Vostra Altezza ha di recente rivendicato in Francia alcuni
ducati, in forza del diritto del vostro predecessore, re Edoardo III.
In risposta a tale pretesa, il Principe mio signore dice che avete
troppo il sapore della gioventù. Egli perciò vi manda,
com'è più idoneo a voi, questo scrigno di gioielli, e in
cambio egli desidera che i ducati che reclamate non sentano più
parlare di voi. Così manda a dire il Delfino.
ENRICO: Che gioielli, zio?
EXETER: Palle da tennis, mio sovrano.
ENRICO: Sono lieto che il Delfino sia in vena di scherzi. E ringrazio
molto lui per il suo dono e voi per il disturbo. Quando opporremo le
nostre racchette alle sue palle, giocheremo in Francia con la grazia di
Dio una partita tale da far saltare in aria la corona di suo padre.
È comprensibile che egli ci rinfacci la nostra dissipazione
giovanile, senza capire l'insegnamento che ne abbiamo tratto. Ma dite
al Delfino che saprò affermare la mia dignità,
saprò agire da re e dimostrare la mia grandezza quando
finalmente mi ergerò sul mio trono di Francia. E dite al
principe burlone che questa sua beffa ha mutato le palle in palle di
cannone, e che avrà sulla coscienza il grave carico della
micidiale vendetta che gli piomberà addosso, poiché
migliaia di donne della sua beffa spossessate saranno dei mariti; e
molte madri dei diletti figli, e molti castelli rasi al suolo. E molti,
che non sono ancora procreati, avranno motivo di maledire la beffa del
Delfino. Quindi andatevene in pace; e dite al Delfino che la sua
facezia si rivelerà una scempiaggine, giacché saranno
più a piangerne di quanti ne risero. Dategli un salvacondotto.
Addio.
EXETER: Un messaggio davvero spiritoso!
ENRICO: Speriamo di farne arrossire colui che lo ha mandato. Dunque,
signori, non perdete un istante che possa dare un impulso alla nostra
spedizione; poiché da ora ogni nostro pensiero è rivolto
alla Francia - tranne quelli rivolti a Dio, che restano i più
importanti. E quindi ogni uomo si prepari in cuor suo a dare subito
corso a questa grande e nobile impresa.
CORO: Ora la gioventù
d'Inghilterra è tutta un fuoco, e la vellutata mollezza giace
negli armadi. Poiché ora l'aria è pregna di un'attesa che
nasconde una spada tempestata dall'elsa alla punta di corone imperiali.
Corone e diademi nobiliari che sono il bottino promesso a Enrico e ai
suoi seguaci.
BARDOLFO: Bentrovato,
caporale Nym.
NYM: Buon giorno, tenente Bardolfo.
BARDOLFO: Allora... avete fatto pace con Pistola?
NYM: Da parte mia, io non ci tengo. Io so star zitto. Ma quando
verrà il momento giusto ci sarà molto da ridere. Ma
sarà quando deve essere.
BARDOLFO: Allora... io vi offrirò un pasto per farvi
riappacificare; e poi, come tre buoni fratelli, tutti in Francia.
Facciamo così, caporale Nym.
NYM: Farò quel che potrò.
BARDOLFO: È certo, caporale, che l'alfiere Pistola si è
sposato Nelly Quickly, e di certo vi ha fatto torto, perché voi
c'eravate fidanzato, con lei.
NELLY QUICKLY: Ah, ah, ah, ah, ah!
PISTOLA: Ah, ah, ah, ah, ah!
NYM: Come sta il buon oste Pistola?
PISTOLA: Vile screanzato! Osi dare a me dell'oste? Giuro su questa mano
che quel titolo mi è spregevole! E neanche la mia Nelly
farà più l'affittacamere.
QUICKLY: No, parola mia, sono stanca. Perché non si può
dare vitto e alloggio a una dozzina di brave ragazze che vivono
onestamente maneggiando l'ago e poi passare per quelli che tengono un
bordello?
NYM: Pish!
PISTOLA: Pish a te, cane d'Islanda!
QUICKLY: Buon caporale Nym, dimostra il tuo valore, rinfodera la spada.
NYM: Pussa via, tu! Pistola, io maneggerei come si deve le tue budella
con le mie stesse mani. E questo è quanto!
PISTOLA: Aaah! Spaccone schifoso!
BARDOLFO: Adesso ascoltate! Chi tira la prima stoccata lo infilzo fino
all'elsa, parola di soldato!
PISTOLA: È un giuramento portentoso. E il furore nostro deve
placarsi.
PAGGIO: Signor oste Pistola, correte dal mio padrone, e anche voi,
ostessa: sta molto male, vuole andare a letto. Buon Bardolfo, metti la
faccia sotto le lenzuola, e fai le veci dello scaldino.
BARDOLFO: Vattene, furfante!
PAGGIO: Davvero. È molto malato.
QUICKLY: Sono pronta a giurarlo. Il re gli ha spezzato il cuore. Non
tardare, marito mio.
BARDOLFO: Avanti, voi due, dovete fare pace. Dobbiamo andare in Francia
insieme, perché dovremmo usare i coltelli per tagliarci la gola
fra noi?
NYM: Mi pagherai gli otto scellini che ti ho vinto con quella scommessa?
PISTOLA: Vile è lo schiavo che paga.
BARDOLFO: Ah! Chi tira la prima stoccata io lo ammazzo! Lo giuro su
questa spada!
QUICKLY: Se siete figli di donna, venite subito da Sir John. È
così scosso da una febbre terzana che lo brucia, che fa una gran
pena a guardarlo. Cari amici, venite da lui!
PISTOLA: Povero Sir John. Un uomo di vero diporto.
SIR JOHN FALSTAFF: Sì,
è di aspetto gaio, di occhio ammiccante e di portamento
portentoso! Ah, ah, ah, ah, ah! Ma che forse non mi assottiglia? Ah,
ah, ah! La pelle mi pende di dosso come la veste troppo larga di una
signora! Ah, ah, ah! Le compagnie! Le cattive compagnie sono la mia
rovina!
QUICKLY: Aaah! Ah, ah, ah!
FALSTAFF: Io ero virtuoso quanto basta a un gentiluomo. Quanto basta,
ho detto! Bestemmiavo poco, non giocavo a dadi (più di sette
giorni la settimana), non frequentavo bordelli più di una volta
ogni quarto d'ora! E tu lo sai bene, questo! Ah, ah, ah, ah! Ho perfino
pagato i miei debiti. Tre o quattro volte. Vivevo bene e in modo molto
misurato.
BARDOLFO: Ah, ah, ah! Siete così grasso, Sir John, ah, che
dovete per forza star fuori d'ogni misura! Ah, ah, ah!
FALSTAFF: Tu aggiusta la tua faccia, e io aggiusterò la mia
vita. Eh, eh, eh, eh! Eccolo! Eccolo! Ah, ah! Se il vino porta alla
perdizione, allora Iddio aiuti i dannati. Hm? Essere vecchi e gaudenti
non è peccato. Essere grasso non vuol dire essere odiato. Ma
ora, mio buon signore, quando tu sarai re, ripudia Pistola, ripudia
Bardolfo, ripudia Nym, ma il dolce Jack Falstaff, il valoroso Jack
Falstaff, e tanto più valoroso in quanto, come lui è, il
vecchio Jack Falstaff, non ripudiare lui dalla tua compagnia. Se ripudi
il tuo Jack ripudi il mondo intero.
ENRICO: Lo ripudio. Lo ripudierò.
FALSTAFF: Ma abbiamo sentito insieme i rintocchi di mezzanotte,
signore. Non ricordate le cose che abbiamo fatto insieme?
ENRICO: Io non ti conosco, vecchio.
NYM: Il re ha affogato i suoi
malumori sul cavaliere.
PISTOLA: Nym, tu hai detto proprio la verità. Il suo cuore
è affranto, corroborato.
NYM: Il re è un buon re. Ma sia come si vuole, anche lui ha i
suoi umori e i suoi estri.
PISTOLA: Tante condoglianze al cavaliere. Mentre noi, invece, dobbiamo
vivere.
CORO: I Francesi, avvertiti
dalle loro spie di questi preparativi, tremano di paura, e con mosse
politiche tentano di deviare il proposito degli Inglesi. Oh,
Inghilterra, modello della tua interiore grandezza. Come un piccolo
corpo con un grande cuore, quali imprese gloriose potresti compiere se
tutti i tuoi figli fossero fedeli e naturali. Ma ecco che la Francia ha
trovato il tuo punto debole: un covo di cuori vuoti che essa ricolma
con le monete d'oro del tradimento. E tre uomini corrotti: il primo,
Riccardo, conte di Cambridge. Il secondo, Enrico, lord Scroop di
Masham. E il terzo, Tommaso Grey, cavaliere del Northumberland, per il
vile oro francese - oh, guai a chi vende l'onore - hanno cospirato con
la subdola Francia. E per mano loro questo raro gioiello di re deve
morire prima ancora d'imbarcarsi. Il tradimento è teso. Il re
è partito da Londra, e la scena ora si trasferisce a Southampton.
DUCA DI BEDFORD: Certo Sua
Grazia è imprudente a a fidarsi di quei traditori.
EXETER: Saranno arrestati, è questione di tempo.
WESTMORELAND: Con che sereno contegno si comportano, come se nel cuore
avessero soltanto fedeltà, obbedienza e costante lealtà.
BEDFORD: Il re ha avuto notizia delle loro intenzioni in un modo che
nemmeno si sognano.
EXETER: Come può uno che ha diviso con lui il letto, da lui
saziato e colmato di tanti regali e favori, come può? Per
dell'oro straniero, consegnare il suo sovrano alla morte e al
tradimento?
ENRICO: Ora il vento è favorevole. Ci imbarcheremo. Mio Lord di
Cambridge e mio caro Lord di Masham, e voi, nobile cavaliere, ditemi
ciò che pensate: non credete che le forze sotto il nostro
comando riusciranno ad aprirsi un varco nell'esercito francese?
ENRICO, LORD SCROOP DI MASHAM: Senza dubbio, sire, se ogni uomo
farà del suo meglio.
ENRICO: Di questo non dubito.
RICCARDO, CONTE DI CAMBRIDGE: Mai fu monarca più temuto e amato
di vostra maestà.
SIR THOMAS GREY DI NORTHUMBERLAND: È vero.
ENRICO: Questo ci riempie il cuore di gratitudine. Zio Exeter, mettete
in libertà l'uomo che ieri ha inveito contro la nostra persona.
Secondo noi fu solo lo stato di ubriachezza a istigarlo, eh, eh, eh, ma
ora s'è ravveduto e lo perdoniamo.
SCROOP: Questa è clemenza, ma anche mancanza di cautela.
Lasciatelo punire, sire, onde il suo esempio, tollerato in questo caso,
non ne generi altri.
ENRICO: Ah, vorremmo essere clementi!
CAMBRIDGE: Potete esserlo anche facendolo punire.
GREY: Sire, dimostrerete grande clemenza risparmiandogli la vita, dopo
averlo fatto punire.
ENRICO: E così il possente amore che voi nutrite per me si
traduce in condanna per quel povero diavolo. Se su piccole colpe
veniali dovute all'ubriachezza non chiudiamo gli occhi, come dovremmo
spalancarli quando delitti capitali masticati, inghiottiti e digeriti
ci appariranno davanti? Rimettete in libertà quell'uomo. Anche
se Cambridge, Scroop e Grey, nella loro tenera ansia per
l'incolumità della nostra persona vorrebbero farlo punire. E ora
i nostri affari di Francia: chi sono i commissari nominati?
CAMBRIDGE: Uno sono io, sire. Mi invitaste a chiedere oggi il mandato.
SCROOP: E anche a me, mio signore.
GREY: E anche a me, sire.
ENRICO: Allora, Riccardo di Cambridge, questo è vostro. Questo
è il vostro, lord Scroop di Masham; questo, lord Grey, cavaliere
di Northumberland, è il vostro. Leggeteli, e sappiate che io so
quanto valete. Mio lord di Westmoreland, zio Exeter, ci imbarcheremo
stasera. Ebbene, che vi succede? Che cosa leggete mai in quei fogli che
vi fa tanto impallidire?
CAMBRIDGE: Io confesso la mia colpa, e mi rimetto alla vostra clemenza.
SCROOP: E così facciamo noi.
ENRICO: La clemenza che poco fa era ancora viva in noi è stata
soffocata dai vostri consigli. Voi non dovete, per pudore non dovete,
parlare di clemenza! Le vostre ragioni vi si rivolgono contro come cani
che azzannano i loro padroni. Guardate, miei prìncipi, e miei
nobili pari, questi tre Inglesi mostruosi. Cosa dovrò dire a te,
lord Scroop, tu, crudele, tu, ingrato tu, selvaggia e inumana creatura.
Tu! Che tenevi la chiave di tutti i miei consigli, che conosci l'anima
mia fino in fondo, che avresti potuto coniarmi monete d'oro se avessi
voluto sfruttarmi nel tuo interesse! È mai possibile che il
soldo straniero abbia estratto da te una sola particella di male per
ferirmi anche soltanto un dito? È così strano, che
sebbene la verità risulti chiara come il bianco sul nero, i miei
occhi stentano a crederci. Tu sembravi così leale, così
virtuoso, e la tua caduta ha lasciato una macchia che indurrà
tutti a sospettare anche degli uomini più onesti. Io
piangerò per te, perché per me questa tua rivolta
è una seconda caduta dell'Uomo. Aaah! Via!
EXETER: Ti arresto per alto tradimento col nome di Riccardo conte di
Cambridge. Ti arresto per alto tradimento col nome di Tommaso Grey,
cavaliere di Northumberland. Ti arresto per alto tradimento col nome di
Enrico lord Scroop di Masham.
ENRICO: Ascoltate la sentenza: avete cospirato contro la nostra
persona, vi siete uniti a un nemico dichiarato e dai suoi forzieri
avete avuto la caparra per la nostra morte; avete venduto il vostro re
al massacro, i suoi prìncipi e i suoi pari alla
schiavitù, i suoi sudditi all'oppressione e al disprezzo, e
l'intero suo regno alla desolazione. Andatevene via, dunque, poveri,
miseri sciagurati, alla vostra morte. E che Dio nella sua clemenza vi
dia la forza di sopportarla, e un sincero pentimento per le vostre
gravi colpe. Portateli via!
SOLDATI: Eseguiamo la sentenza!
ENRICO: E ora, signori, in Francia! L'impresa sarà per voi come
per noi gloriosa, giacché Dio ha voluto portare alla luce il
tradimento che ne minacciava l'inizio. Alle nostre navi, con le insegne
di guerra spiegate! Non sarò re d'Inghilterra se non sarò
re di Francia!
QUICKLY: Ti prego, dolce
marito, lascia che ti accompagni a Staines.
PISTOLA: No, perché il maschio mio cuore è dolente.
Bardolfo, sta' allegro! Nym, sveglia la tua vena briosa! Ragazzo, tira
fuori il tuo coraggio! Perché Falstaff è morto, e noi
dobbiamo fare lutto.
BARDOLFO: Vorrei essere con lui, ovunque si trovi, in cielo o
all'inferno!
QUICKLY: Di sicuro non è all'inferno. È nel grembo di
Artù, se mai uomo andò in grembo a re Artù. Ha
fatto una bella fine. Se n'è andato come un bimbo appena
battezzato; è morto che era tra le dodici e l'una, proprio al
volgere della marea. Quando l'ho visto gualcire le lenzuola,
giocherellare coi fiori, e guardarsi le punte delle dita, ho capito che
era finita. Perché aveva il naso affilato come una penna, e
balbettava di campi verdi. "Che succede, sir John?", dico io. "Che
diamine, fatevi coraggio". E allora lui grida: "Dio! Dio! Dio!", tre o
quattro volte, e io per confortarlo gli dico di non pensare a Dio,
credevo non fosse ancora arrivata l'ora di confondersi con queste idee.
Lui mi dice di coprirgli ancora i piedi. Io infilo una mano sotto le
coperte, e sento che sono freddi come il gelo. Allora gli tocco il
ginocchio, e ancora più su, e più su, e tutto era freddo
come il gelo.
NYM: Dicono che abbia maledetto il vino.
QUICKLY: Oh, sì, è vero!
BARDOLFO: E le donne.
QUICKLY: Questo non l'ha fatto!
PAGGIO: Sì, è vero, ha detto che erano... diavoli
incarnati.
QUICKLY: Non gli è mai piaciuto l'incarnato. È un colore
che non tollerava.
PAGGIO: Disse che sarebbe finito al diavolo a causa delle donne.
QUICKLY: Certo è che lui l'ha toccata, la materia femminile.
BARDOLFO, NYM, PISTOLA: Ah, ah, ah, ah!
QUICKLY: Ma quando era reumatico parlava della puttana di Babilonia.
PAGGIO: Vi ricordate quando vide una pulce ferma sul naso di Bardolfo e
disse ch'era un'anima nera che bruciava nell'inferno?
BARDOLFO: Ora il combustibile che alimentava quel fuoco si è
esaurito. Io ho guadagnato solo scherno al suo servizio.
NYM: Vogliamo andare? Il re sarà già partito da
Southampton.
BARDOLFO: Addio, ostessa.
NYM: Io non so baciare, e questo è quanto. Però... addio.
PISTOLA: Ricordati che devi fare economia. E segretezza. Io te lo
comando.
QUICKLY: Addio.
CORO: Seguite, seguite. Siamo
certi che chiunque abbia sul mento anche un solo ancor nascente pelo,
vorrà seguire questi prodi e scelti cavalieri fino in Francia.
CARLO VI, RE DI FRANCIA:
Dunque gli Inglesi si avvicinano, con un potente esercito: e noi
dobbiamo prepararci ad affrontarli con difese adeguate e degne di re. E
perciò, i duchi di Berry e di Bretagna, di Brabante e
d'Orléans partiranno sùbito; e anche voi, principe
Delfino.
LUIGI IL DELFINO: Mio temutissimo padre, di certo è più
che sacrosanto armarsi contro il nemico; la pace non deve intorpidire
un regno, ma tutte le difese, la mobiltazione, le manovre, vanno
costantemente mantenute, come se la guerra stesse per scoppiare.
Perciò io dico: è giusto che noi tutti partiamo a
ispezionare le regioni più sguarnite e deboli della Francia; ma
ciò sia fatto senza dar segni di paura. No, né più
né meno che se l'Inghilterra fosse impegnata a... in una moresca
di Pentecoste. Poiché, mio sovrano, essa ha sul trono un re
così ozioso, un giovane così vano, che non merita di
essere temuto.
CHARLES DELABRETH, CONNESTABILE DI FRANCIA: Vi prego, principe Delfino.
Vi sbagliate nel giudicare questo re. Vostra Altezza chieda ai nostri
ambasciatori con quale grazia regale egli li ha ricevuti, come è
circondato da nobili consiglieri, moderato nelle obiezioni, e quanto
sia terribile nella fermezza delle sue decisioni.
DELFINO: Non è così, signor Connestabile; ma anche se
così fosse, non importa. È sempre meglio considerare il
nemico più forte di quanto non sembri.
RE: Noi consideriamo re Enrico forte; e voi per affrontarlo dovrete
essere adeguatamente armati. Egli appartiene a quella stirpe
sanguinaria che ci ha incalzati fin qui, nella nostra Patria; lo
attesta la nostra memorabile infamia, quando a Crecy, in quella fatale
battaglia, tutti i nostri prìncipi furono fatti prigionieri da
quel portentoso nero nome di Edoardo, Principe Nero del Galles. Enrico
è un ramo di quel ceppo vittorioso. Tenete dunque conto
dell'innata sua potenza e del suo destino.
MESSO: Ambasciatori di re Enrico d'Inghilterra chiedono udienza a
vostra maestà.
RE: Andate, e fateli entrare. Vedete con quanta foga è condotta
questa caccia.
DELFINO: Mio buon sovrano, con gli Inglesi tagliate corto, e fate loro
vedere di quale monarchia siete re. L'amor proprio, sire, non è
tanto ignobile quanto il non aver considerazione di sé.
RE: Vi manda Enrico d'Inghilterra?
EXETER: Lui stesso, e così saluta vostra maestà. Vi
ingiunge, in nome di Dio onnipotente, di togliervi di dosso e di
rinunziare alle usurpate glorie che per dono del cielo, per legge di
natura e per diritto delle genti appartengono a lui a ai suoi eredi:
vale a dire la corona. Egli vi manda a esaminare questo albero
genealogico. Poiché lo troverete disceso in linea diretta dal
più celebre dei vostri antenati, Edoardo III, vi ingiugne di
cedergli la corona e il regno, sottratti con la frode a lui, unico,
vero, legittimo pretendente.
RE: Che accadrà, altrimenti?
EXETER: Una guerra sanguinosa. Poiché, anche se nasconderete la
corona nei vostri cuori, egli verrà a frugarvi lì dentro.
Perciò egli avanza, con ferrea tempesta, con tuoni che scuotono
la terra, come un Giove, che se non otterrà quanto chiede
costringerà con la forza. Questa è la sua richiesta, la
sua minaccia, e il suo messaggio. A meno che non sia qui presente il
Delfino, al quale ho incarico di porgere un particolare saluto.
DELFINO: Per il Delfino, sono qua io a rispondere. Cosa gli dice Enrico?
EXETER: Scherno e disprezzo; irrisione, disistima, e tutto ciò
che non sia disdicevole per il linguaggio di un re. Così egli vi
considera. Questo dice il mio re.
DELFINO: Digli che se mio padre sarà arrendevole lo farà
contro la mia volontà, poiché io voglio solo battermi col
re d'Inghilterra. E fu per questo, per far riscontro alla sua giovanile
frivolezza, che gli mandai le palle da tennis di Parigi.
EXETER: E lui per questo farà tremare il vostro Louvre. E state
pur certo che troverete una gran differenza, come l'abbiamo trovata
noi, suoi sudditi, tra ciò che promettevano i suoi anni
più verdi e le qualità che ha ora.
RE: Domani saprete esattamente come la pensiamo.
CORO: Così, con moto
non meno veloce di quello del pensiero, la nostra scena vola rapida
sulle ali dell'immaginazione! Lavorate dunque di fantasia, e con essa
vedete un assedio! Guardate sui loro affusti i cannoni con le loro
bocche spalancate sulla circondata Harfleur! Supponete che
l'ambasciatore francese ritorni e dica a Enrico che il suo re gli offre
la figlia Caterina e con lei in dote alcuni piccoli ducati di nessuna
importanza. L'offerta viene respinta, e il rapido artigliere, col fuoco
della miccia, tocca il diabolico cannone, e innanzi al loro attacco
tutto crolla!
ENRICO: Ancora una volta alla
breccia, cari amici, ancora una volta! Oppure coi nostri caduti
chiudete questo varco! In pace nulla si addice all'uomo quanto il
contegno moderato e l'umiltà. Ma quando il fragore della guerra
vi risuona nell'orecchio, allora imitate l'azione di una tigre:
irrigidite i muscoli; fate appello al sangue; nascondete la mitezza
sotto una grande ferocia; conferite al vostro occhio un aspetto
terribile: fate che scruti dalle feritoie del capo come un cannone di
bronzo, e che la fronte lo domini come uno scoglio corroso domina e si
protende sopra la sua base consumata e divorata dalla furia dell'oceano. Ora stringete i denti, dilatate le narici, trattenete il respiro, e tendete tutta la vostra forza fin dove può giungere! Avanti, dunque, miei nobilissimi Inglesi! Non disonorate le vostre madri; dimostrate di essere veri figli di coloro che chiamate padri. E voi, valorosi fanti, le cui membra furono fatte
in Inghilterra, fateci vedere di cosa foste nutriti, e che siete degni
della vostra stirpe, cosa che io non dubito, perché non
c'è nessuno tra voi per quanto umile di nascita che non abbia un
lampo di nobilità negli occhi. Vedo che siete come tanti
levrieri che smaniano e tirano il guinzaglio. La selvaggina è
qui, seguite l'impulso, e mentre caricate gridate: "Dio è con
Enrico, l'Inghilterra e San Giorgio!".
SOLDATI: Dio è con Enrico, l'Inghilterra e San Giorgio!
BARDOLFO: All'assalto!
All'assalto! All'assalto! All'assalto!
CAPITANO FLUELLEN: Avanti! Alla breccia, cani rognosi! Avanti,
gaglioffi malnati!
CAPITANO GOWER: Capitano Fluellen, dovete venire sùbito alle
mine. Il duca di Gloucester vuole parlarvi.
FLUELLEN: Dite al Duca che non è il caso di ricorrere alle mine.
Le mine non sono conformi alla disciplina della guerra. Porco diavolo!
Credo che scoppieremo tutti per aria se non migliorano gli ordini.
GOWER: Il duca di Gloucester, a cui è affidata la direzione
dell'assedio, è a sua volta diretto da un capitano irlandese.
FLUELLEN: È il capitano MacMorris, vero?
GOWER: Credo che sia lui.
FLUELLEN: È il più grande asino che ci sia al mondo.
GOWER: Eh, eh, eh!
FLUELLEN: Quell'irlandese sa della vera arte della guerra quanto un
botolo di cane!
GOWER: Eccolo, è lui, e c'è anche il capitano Jamy.
FLUELLEN: Ah, il capitano Jamy è un magnifico e valoroso
gentiluomo, questo è certo.
CAPITANO JAMY: Vi do il buongiorno, capitano Fluellen.
FLUELLEN: Buongiorno a vossignoria, capitano Jamy.
GOWER: Capitano MacMorris, avete abbandonato le mine?
CAPITANO MACMORRIS: Giuro su Dio che così non si fa! La tromba
suona la ritirata! Giuro che così non si fa.
FLUELLEN: Capitano MacMorris, compiacetemi ora, nel voler discutere con
me dell'arte marziale applicata alla guerra. In parte per soddisfare la
mia opinione, e in parte per la soddisfazione della mia mente. Riguarda
la conduzione delle discipline militari.
MACMILLAN: Non è questo il momento di discutere. La città
è assediata, e la tromba ci chiama alla breccia, e qui si
chiacchiera e non si combina un bel niente.
JAMY: Per la messa, prima che i miei occhi si abbandonino a Morfeo,
combinerò qualcosa di buono, o cadrò steso sul campo.
FUELLEN: Capitano MacMorris, io sono dell'idea che qui non ci siano
molti della vostra Nazione.
MACMORRIS: La mia Nazione? Chi parla della mia Nazione è un
furfante, un bastardo, un codardo. E un reietto.
FLUELLEN: Sentite, se avete intenzione di fraintendere le mie parole,
capitano MacMorris, penserò che non mi stiate trattando con
quella cortesia, con quell'affabilità con cui dico che avreste
il dovere di trattarmi, invece, visto che valgo almeno quanto voi.
MACMILLAN: Io non vi riconosco pari a me nel valore. E che Cristo mi
salvi, vi taglierò la testa!
GOWER: Capitano!
ENRICO: Cosa decide dunque il
Governatore della città? È l'ultima volta che vi
concediamo di parlamentare. Quindi affidatevi alla nostra clemenza,
oppure, pronti alla distruzione, sfidate con fierezza il nostro furore.
Poiché vi giuro che se riprenderà il fuoco dei miei
cannoni non lascerò la già quasi conquistata Harfleur
finché non giacerà sotto le macerie. Perciò,
uomini di Harfleur, abbiate compassione della vostra città e del
vostro popolo, mentre tengo ancora in pugno i miei soldati, mentre la
fresca e moderata aura della grazia tiene lontane le nubi sporche e
contagiose del massacro impetuoso, del sacco e delle atrocità!
Se no, ancora un momento, e vedrete il soldato accecato dall'odore del
sangue, con mano empia, insozzare le chiome delle vostre figlie
strepitanti, i vostri padri afferrati per le bianche barbe, le loro
teste venerande sfracellate contro i muri, i vostri nudi infanti
infilzati sulle picche! Mentre le madri impazzite, con urla di
disperazione, frantumeranno le nuvole! Cosa dite, dunque? Volete
arrendervi, evitando tutto questo? O, colpevoli della difesa, volete
farvi distruggere?
GOVERNATORE DI HARFLEUR: Il Delfino, a cui avevamo chiesto aiuto, ci fa
sapere che non ha ancora forze pronte per far levare questo potente
assedio. E quindi, grande re, entra in città, e disponi di noi
tutti. Noi non siamo più in grado di difenderci.
ENRICO: Andate ed entrate in Harfleur; insediatevi e fortificate la
città contro i Francesi. Usate clemenza con tutti. Quanto a noi,
caro zio, giacché arriva l'inverno e si diffonde la malattia tra
i soldati, ci ritireremo a Calais. Stasera in Harfleur saremo vostro
ospite. Domani ci rimetteremo in marcia. Oh...
CATERINA, PRINCIPESSA DI
FRANCIA: Alice?
ALICE: Hm-hm?
CATERINA: Alice, tu as étudiez l'étranger, et tu parles
bien le langage.
ALICE: Un peu, madame.
CATERINA: Je te prie de m'enseigner; il faut que j'apprenne à
parler. Comment appelez-vous la main en ce langue?
ALICE: La main? Elle est appelée "mano".
CATERINA: "Mano". Et les doigts?
ALICE: Les doigts... Ma foi, j'oublie les doigts; mais je me
souviendrai. Les doigts? Je pense qu'ils sont appelés "dite".
CATERINA: La main, "mano"; les doigt. "le dite".
ALICE: Hm-hm.
CATERINA: Je pense que je suis le bon écolier. J'ai gagné
deux mots d'étranger vitement. Comment appellez-vous les ongles?
ALICE: Les ongles? Nous les appellons "le ungie".
CATERINA: "Le ungie". Ecoutez: dites-moi si je parle bien: "mano",
"di... dite", et "le ungie".
ALICE: C'est bien dit, madame; il est fort bien parler.
CATERINA: Et comment-on dites pour le bras?
ALICE: "Il brascìo", madame.
CATERINA: Et le coude?
ALICE: "Gomitò".
CATERINA: "Gomitò". Je m'en fais la répétition de
tous les mots que vous m'avez appris dès à présent.
ALICE: Il est trop difficile, madame, comme je pense.
CATERINA: Excusez-moi, Alice, écoutez: "la mano", et
aprés, "le dite", "le ungie", "brascìo", "gomìto".
ALICE: "Gomitò", madame.
CATERINA: O, Seigneur Dieu, je m'en oublie: "gomitò". Comment
appellez-vous le col?
ALICE: "Il cullo", madame.
CATERINA: "Il cullo". Et le menton?
ALICE: Eh... "l'occhio".
CATERINA: "L'occhio". Le col, "il cullo", le menton, "l'occhio".
ALICE: Oui, sauf votre honneur, en verité, vous prononcez les
mots aussi droit que les natifs de ce Pays.
CATERINA: Je ne doute point d'apprendre par la grace di Dieu, et en peu
de temps.
ALICE: N'avez-vous pas déjà oublié ce que je vous
ai enseigné?
CATERINA: Non, je reciterai à vous promptement:"la mano"...
ALICE: Oh!
CATERINA: ... "le dite","le unghe"...
ALICE: "Le ungie", madame.
CATERINA: "Le ungie", madame! "Il brascìo", "il gomìto"...
ALICE: Sauf votre honneur, "gomitò".
CATERINA: Ainsi dis-je: "gomitò", "il cullo","l'occhio". Comment
appellez-vous le pied et la robe?
ALICE: Le "piedè", madame, et la "con".
CATERINA: Le "piedè" et le "con"? O Seigneur Dieu! Ils sont des
mots de son mauvais, corruptible, gros et impudique, et non pour les
dames d'honneur d'user. Je ne voudrais prononcer ces mots devant les
seigneurs de France, pour tout le monde... Le "piedè" et le
"con"! Ah, ah, ah, ah, ah! Néanmoins, je reciterai une autre
fois ma leçon ensemble: "la mano","le dite", "le ungie", "il
brascìo","il gomi-gomi-gomi-gomito", "il collo", "l'occhio",
"piedè", "la con". Ah, ah, ah, ah, ah!
RE: Di certo ha attraversato
il fiume Somme.
CONNESTABILE: E se non gli diamo sùbito battaglia,
maestà, rinunciamo a vivere in Francia.
DELFINO: Normanni. Bastardi Normanni! Bastardi!
CONNESTABILE: Dove trovano tanto spirito? Non è il loro clima
nebbioso e grigio?
DUCA DI BRETAGNA: Ah, per l'onore della nostra Patria!
DELFINO: Io giuro sul mio onore che le nostre dame ci deridono, e
dicono chiaramente che il nostro vigore è esaurito! E... e
dicono che si concederanno alle voglie dei giovani Inglesi per
ripopolare la Francia di bastardi guerrieri!
RE: Dov'è Montjoy, l'araldo? Sia spedito al più presto, e
porti al re d'Inghilterra la nostra fiera sfida. Coraggio,
prìncipi, scendete dunque in campo muniti d'uno spirito d'onore
più affilato delle vostre spade. Sbarrate la strada a Enrico,
che scorrazza per la nostra terra sventolando bandiere arrossate dal
sangue di Harfleur! Calategli addosso, voi avete la potenza per farlo!
E portatelo incatenato a un carro, prigioniero a Rouen!
CONNESTABILE: Così parlano i grandi re! Peccato che abbia con
sé un esercito tanto esiguo, che i suoi soldati siano spossati
dalle marce, poiché quando vedrà le nostre truppe il suo
cuore vacillerà in preda alla paura, e ci offrirà il
prezzo del suo riscatto.
RE: Di conseguenza, signor Connestabile, fate partire l'araldo Montjoy.
Principe Delfino, voi resterete con noi a Rouen.
DELFINO: No, vi scongiuro, vostra maestà!
RE: Siate paziente, Poiché dovete restare con noi. Avanti,
signor Connestabile, e prìncipi tutti, e tornate presto con la
notizia della disfatta di Enrico.
GOWER: Capitano Fluellen!
Venite dal ponte? Il Duca di Exeter è salvo?
FLUELLEN: Beh, grazie a Dio e al suo potere supremo non è
neanche ferito. Ma tiene il ponte con grande valore e con eccellente
disciplina.
PISTOLA: Capitano! Ti supplico di farmi un favore. Il Duca di Exeter ti
vuole molto bene...
FLUELLEN: Ah, ne ringrazio il Signore, forse me lo sono anche meritato
questo bene.
PISTOLA: Bardolfo, un soldato combattente, dal cuore saldo, di maschio
valore, ha, per crudele destino e per la ruota furiosa della Fortuna
infida...
FLUELLEN: Col vostro permesso, alfiere Pistola, la Fortuna è un
eccellente simbolo.
PISTOLA: Sì, ma la Fortuna è nemica di Bardolfo, e lo
guarda in cagnesco, perché lui ha rubato una pisside, e ora
dev'essere impiccato. E perciò devi parlare. Il Duca a te
darà ascolto. Su, parla, Capitano! E salvagli la vita! E io ti
compenserò.
FLUELLEN: Alfiere Pistola, in parte capisco quello che volete dire.
PISTOLA: Ma allora... rallegrati, dunque.
FLUELLEN: Non è cosa di cui rallegrarsi; perché se costui
fosse stato anche mio fratello, inviterei il Duca a fare quello che
più lo aggrada, e ad eseguire sùbito la condanna,
perché la disciplina va rispettata.
PISTOLA: Allora va' all'inferno! E fottiti tu e la tua amicizia!
ENRICO: Allora, Fluellen! Vieni forse dal ponte?
FLUELLEN: Sì, vostra maestà. Il Duca di Exeter ha tenuto
molto valorosamente il ponte.
ENRICO: Quanti uomini hai perso, Fluellen?
FLUELLEN: Servendo sotto il Duca non ho perso nessun uomo. Tranne uno.
Sarà giustiziato per aver rubato in una chiesa. Un certo
Bardolfo, se vostra maestà lo conosce. La faccia tutta ascessi,
pustole e bitorzoli, è infiammata come un tizzone. E le sue
labbra soffiano sul naso, che come brace ardente, ora è blu, ora
rosso. Ma il suo naso sarà giustiziato e il suo fuoco spento.
EXETER: In piedi!
NYM & PISTOLA: Eh, eh,
eh, eh, eh!
ENRICO: Ah, ah, ah, ah, ah!
BARDOLFO: Ah, ah, ah! Ricordati, quando sarai re, ah, ah, non farlo
impiccare! Ah, ah, ah!
ENRICO: No. I ladri no.
ENRICO: Così verranno
eliminati tutti i rei di questa sorta; e diamo espresso ordine che nel
marciare attraverso il Paese, nulla venga tolto ai villaggi con la
forza, che tutto ciò che si prende sia pagato, che nessun
Francese sia offeso o ingiuriato con disegnoso linguaggio;
perché quando si giocano un regno mitezza e crudeltà, il
giocatore più gentile è il sicuro vincitore.
MONTJOY: Così dice il mio re: "Di' a Enrico che sembravamo
morti, ma che eravamo solo addormentati. E che avremmo potuto
respingerlo ad Harfleur. Ora tocca a noi parlare, e la nostra voce
è imperiale: Enrico si pentirà della sua follia; invitalo
perciò a considerare il suo riscatto, che dev'essere
proporzionale alle nostre perdite: conto che se dovesse pagare per
intero, resterebbe in miseria. A questo aggiungi la sfida, e digli
quindi in conclusione che ha beffato i suoi poveri seguaci, la cui
condanna è ormai pronunciata". Questo manda a dire il mio re.
Questo era il mio incarico.
ENRICO: Qual è il tuo nome?
MONTJOY: Montjoy.
ENRICO: Assolvi bene il tuo incarico. Torna pure, e di' al tuo re che
ora non cerco di scontrarmi con lui, e che vorrei andare a Calais senza
impedimenti; va', dunque, e di' al tuo sovrano che io sono qui: il mio
riscatto è questa povera e fragile carcassa, il mio esercito un
manipolo di uomini esausti, e nondimeno digli che proseguiremo la
nostra marcia quand'anche il re di Francia in persona, e altri suoi
pari, ci sbarrassero la strada. Dunque, Montjoy, ti saluto. Il succo
della nostra risposta è questo: non cercheremo di dar battaglia
in questo stato, ma sebbene in questo stato, non ci tireremo indietro.
Dillo al tuo sovrano.
MONTJOY: Di certo riferirò. Grazie, vostra maestà.
GOWER - Spero che non ci attaccheranno ora.
ENRICO: Siamo nelle mani di Dio, fratello, non nelle loro. Avanti, al
ponte. Si avvicina la notte. Ci accamperemo al di là del fiume,
e quindi domani riprenderemo la nostra marcia verso Calais.
CORO: Ora evocate con la
fantasia un momento in cui un tetro mormorio e le crescenti tenebre
riempiono la grande cavità dell'universo. Da un campo all'altro,
nell'orrendo grembo della notte, i rumori dei due eserciti sono
così quieti che ogni sentinella quasi sente i bisbigli sommessi
di quelle dell'avverso campo. Un fuoco risponde all'altro. E nel lucore
delle fiamme ogni soldato scorge la faccia del nemico. I destrieri
levano alti e minacciosi nitriti, penetrando il sordo orecchio della
notte. Nelle tende, gli armaioli, accudendo i cavalieri, con operosi
martelli ribattono le giunture, con suoni di minacciosa preparazione.
Fieri del loro numero e da nulla intimoriti, i fiduciosi e sanguinosi
Francesi si giocano ai dadi i disprezzati Inglesi. E se la prendono con
la lenta e claudicante notte, che come una strega brutta e storpia,
così tediosamente si allontana.
CONNESTABILE: La mia è
la migliore armatura del mondo. Ah, fosse giorno!
DUCA D'ORLEANS: La vostra è un'eccellente armatura; ma sia reso
il dovuto elogio al mio cavallo.
CONNESTABILE: È il miglior cavallo d'Europa.
ORLEANS: Non spunterà mai il giorno?
DELFINO: Mio signore d'Orléans, e mio signore Connestabile, voi
parlate di cavalli e di armature?
ORLEANS: In entrambi siete ben fornito, quanto qualsiasi principe.
DELFINO: Io non cambierei il mio cavallo con nessun altro che cammini a
sole quattro zampe. Quando cavalco lui, io... volo: sono un falco. Il
mio cavallo è pura aria e fuoco! I grossolani elementi della
terra e dell'acqua non appaiono in lui tranne nell'immobilità
con cui attende che il suo cavaliere gli monti in groppa.
CONNESTABILE: Ma anche nelle sue qualità assolute egli resta un
cavallo.
MONTJOY: Monsignor Connestabile, l'armatura che avete nella tenda...
sono stelle o soli, le decorazioni?
CONNESTABILE: Stelle, Montjoy.
DELFINO: Voglio sperare che qualcuna cada, domani.
CONNESTABILE: Comunque il mio cielo non se ne accorgerà neanche.
DELFINO: Perché non fa mai giorno? Domani voglio trottare un
miglio, e lasciarmi dietro una strada lastricata di facce Inglesi.
CONNESTABILE: Io non lo direi, per paura che strada facendo possa
perdere la faccia.
DELFINO: Io vado ad armarmi.
ORLEANS: Il Delfino sta sulle spine. Credo che mangerà gli
Inglesi che uccide.
CONNESTABILE: Di certo non farà indigestione.
ORLEANS: Non ha mai fatto del male a nessuno.
CONNESTABILE: E non ne farà neanche domani. Ah, se fosse
giorno... Eh, sì, povero Enrico d'Inghilterra. Lui non si
strugge come noi, per l'alba.
ORLEANS: Se gli Inglesi avessero un po' di cervello, scapperebbero.
MONTJOY: L'isola d'Inghilterra procrea gente molto valorosa.
CONNESTABILE: È giunto il momento di armarsi. Andiamo a
prepararci.
ORLEANS: Adesso sono le due. Diciamo che per le dieci, ognuno di noi
avrà preso cento Inglesi.
CORO: I poveri Inglesi, come
tante vittime votate al sacrificio, vegliano intorno ai fuochi, e con
pazienza, in cuor loro pensano al pericolo che li attende. E il triste
atteggiamento, le guance scavate, le uniformi logorate dalla guerra, li
fanno apparire, alla Luna che li guarda, come tanti orridi spettri. Oh,
ma ora colui che vedrà il regale Capitano di questa stremata
banda che cammina da un fuoco all'altro, da una tenda all'altra, gridi
pure: "Onore e gloria sul suo capo!", poiché egli fa visita a
tutti i suoi soldati, e a tutti dà il buongiorno, sorridendo
affabilmente; chiamandoli tutti fratelli, amici e compatrioti. Generosità universale è
nel suo occhio, che come un sole non esclude nessuno, sciogliendo ogni
paura, e così tutti possono godere - per così dire, nella
nostra lacunosa descrizione - di un non so che di Enrico, nella notte.
ENRICO: Buongiorno, sir
Thomas Erpingham! Per la tua testa bianca sarebbe meglio un guanciale
soffice, che una zolla di Francia.
SIR THOMAS ERPINGHAM: Non credo, mio sovrano; questo giaciglio mi piace
di più, giacché posso dire: "Ecco, ora dormo come un re".
ENRICO: Prestami il mantello, sir Thomas. Voi due, fratelli, salutatemi
tutti i nostri prìncipi. Date loro il buongiorno e invitateli a
venire al più presto alla mia tenda.
DUCA DI GLOUCESTER: Sarà fatto, sire.
ERPINGHAM: Vi accompagno, vostra grazia?
ENRICO: No, mio buon signore; io e la mia coscienza abbiamo qualcosa da
dibattere. E non desidero altra compagnia.
ERPINGHAM: Il Signore in cielo ti benedica, nobile Enrico!
ENRICO: Grazie di cuore, caro vecchio. Le tue parole mettono allegria.
PISTOLA: Qui va là?
ENRICO: Un amico.
PISTOLA: Conferisci con me: sei un ufficiale? O sei un comune, volgare
plebeo?
ENRICO: Sono gentiluomo in una compagnia.
PISTOLA: Quindi sei quasi un ufficiale.
ENRICO: Proprio così. E voi chi siete?
PISTOLA: Un gentiluomo all'altezza dell'imperatore.
ENRICO: Ah, allora siete più del re.
PISTOLA: Il re è un gran bel galletto, e ha un cuore d'oro, un
ragazzo di vita, un favorito dalla fama, di ottima famiglia e dal pugno
portentoso. Farei qualsiasi cosa per lui, e dal fondo del cuore io...
lo amo, quello scavezzacollo. Tu come ti chiami?
ENRICO: Enrico Le Roy.
PISTOLA: Le Roy? Ah... sei nato in Cornovaglia.
ENRICO: No, sono gallese.
PISTOLA: Lo conosci Fluellen?
ENRICO: Sì.
PISTOLA: Allora digli allora che gli sbatterò il suo porro sulla
zucca, il giorno di San Davide.
ENRICO: State attento che non sia lui a sbattere qualcosa di più
duro sulla vostra.
PISTOLA: Tu sei suo amico?
ENRICO: E anche suo parente stretto.
PISTOLA: Fottiti anche tu, allora!
ENRICO: Ah, grazie, Dio sia con voi.
PISTOLA: Il mio nome è Pistola, ricordalo!
ENRICO: Si adatta bene alle vostre sparate.
PISTOLA: Oh...
GOWER: Capitano Fluellen!
FLUELLEN: Shhh! In nome di Gesù Cristo, parlate piano! Se vi
prendete la briga di esaminare le guerre di Pompeo Magno, troverete, vi
garantisco, che non si facevano ciance, e non si parlava a vanvera nel
campo di Pompeo.
GOWER: Ma il nemico fa chiasso! Lo ha fatto tutta la notte!
FLUELLEN: Se il nemico è un asino, e uno sciocco, e un
pagliaccio chiacchierone, secondo voi anche noi dovremmo essere degli
asini, degli sciocchi e dei pagliacci chiacchieroni? Rispondete in
coscienza.
GOWER: Parlerò a voce più bassa.
FLUELLEN: Io vi prego e vi scongiuro di farlo.
SACERDOTE: Ego te absolvo, in nomine Patris, et Filii, et Spiritus
Sancti.
ALEXANDER COURT: Fratello John Bates, non è il mattino che
spunta all'orizzonte?
JOHN BATES: Credo proprio di sì, ma noi non abbiamo alcuna
ragione di desiderare l'arrivo del giorno.
MICHAEL WILLIAMS: Ora vedremo l'inizio del giorno, ma chissà se
ne vedremo la fine. Chi va là?
ENRICO: Un amico.
WILLIAMS: Sotto quale Capitano servi?
ENRICO: Sotto... sir Thomas d'Erpingham.
WILLIAMS: Un buon vecchio comandante, e un signore affabile e gentile.
Che cosa... dice lui della nostra situazione?
ENRICO: Che è come quella dei naufraghi arenati, che temono
l'arrivo della prossima marea.
BATES: E questo lo ha detto anche al re?
ENRICO: No, e non è bene che lo faccia; credo che il re non sia
che un uomo come me; la violetta ha lo stesso odore per lui che per me;
spogliato della pompa che lo riveste, nudo, non è che un uomo
come me; perciò quando ha ragione di temere, i suoi timori hanno
lo stesso sapore che hanno i nostri.
BATES: Può mostrare tutto il coraggio che vuole; ma per quanto
sia fredda questa notte, io credo che preferirebbe stare nel Tamigi
fino al collo. E magari ci stesse, e io con lui. Qualsiasi cosa, pur di
non essere qui.
ENRICO: Io credo che il re non desideri essere se non dov'è ora.
BATES: Allora vorrei che ci stesse da solo!
ENRICO: Io proprio non riesco a immaginare modo migliore di morire che
in sua compagnia. La sua causa è giusta, e la sua contesa
onorevole.
WILLIAMS: Che ne sappiamo noi di questo?
BATES: E la cosa neanche ci riguarda. Sapere che siamo sudditi del re
deve bastarci. Se la sua causa fosse ingiusta, l'obbedienza che
dobbiamo al re ci assolverebbe da qualsiasi colpa.
WILLIAMS: Ma se la causa non fosse giusta, il re sarebbe chiamato a una
grave resa dei conti, quando tutte le braccia, le gambe, le teste
staccate in battaglia si ricomporranno il giorno del Giudizio e
grideranno: "Morimmo nel tal luogo!", chi imprecando, chi invocando il
chirurgo, chi piangendo per la moglie rimasta in miseria, chi per i
debiti non pagati, chi per i figli rimasti orfani. Penso che siano
pochi a morire sereni, in battaglia. Poiché come possono
disporsi con spirito di carità, quando pensano solo ad
ammazzare? Ora, se questi soldati non moriranno bene, sarà un
brutto affare per il re che li ha condotti al massacro.
ENRICO: Così, se un figlio mandato dal padre in viaggio per
ragioni di commercio, dovesse fare naufragio in mare, le sue colpe
dovrebbero essere secondo voi addebitate al padre che ordinò il
viaggio? Ma non è così. Il re non è tenuto a
rispondere della fine dei suoi soldati, né lo è il padre
del figlio, poiché non chiedono loro di morire quando chiedono
loro di servire. Oltretutto, quale re, per quanto immacolata la sua
causa, può farla trionfare solo con soldati senza macchia?
L'obbedienza di ogni suddito è del re, ma l'anima di ogni
suddito è solo del suddito.
WILLIAMS: Certo. Se un uomo muore in peccato, ciò ricade su di
lui. Non deve risponderne il re.
BATES: Io neanche desidero che risponda per me; anche se mi
batterò gagliardamente per lui.
ENRICO: Ho sentito il re dire che non vuole essere riscattato.
WILLIAMS: Certo. Lo ha detto per farci combattere allegramente; ma
quando noi saremo scannati, lui potrà anche farsi riscattare.
ENRICO: Se vivo tanto da vedere questo, non mi fiderò più
della sua parola.
WILLIAMS: Un bel dispetto gli farete! Non vi fiderete più della
sua parola... Ah! Dite delle sciocchezze!
ENRICO: Il vostro rimprovero è pesante. Andrei in collera con
voi, se non fosse fuori luogo.
WILLIAMS: Facciamo una sfida tra noi, se vivrai.
BATES: Siate amici, stupidi Inglesi! Abbiamo già abbastanza guai
con i Francesi!
GOWER: Shhh! Silenzio!
ENRICO: Addosso al re! Le nostre vite, le anime, i nostri debiti, le
ansiose mogli, i nostri figli, e i nostri peccati, sulle spalle del re.
Tutto il peso su di noi. Ah, dura condizione, gemella della grandezza,
soggetta al mugugno di ogni stolto. Di quale infinita
tranquillità negata ai re godono i cittadini comuni. E che
cos'hanno i re che non abbiano anche costoro, tranne lo sfarzo? E che
cosa sei tu, regale sfarzo, vano idolo? Quante volte al posto
dell'omaggio sincero ricevi vuota adulazione? Oh, ammàlati di
suprema autorità, e chiedi al tuo sfarzo di guarirti. Puoi tu,
disponendo dell'omaggio del mendìco, disporre anche della sua salute? No, orgoglioso sogno, non puoi ingannarmi. Tu che giochi così subdolamente col mio riposo: io sono un re, e ti smaschero, poiché io so. Non
è l'unguento, lo scettro, il globo, la spada, la mazza, la
corona imperiale, il regale manto intessuto d'oro e di perle, il
prolisso elenco dei titoli che annunciano il re, il trono su cui egli
si siede, né l'ondata di pompa che batte ogni giorno sull'alta
riva del suo mondo. No, nessuna di queste cose - sfarzo tre volte
sfarzoso - distesa sul letto morbido della maestà regale, riesce
a dormire il sonno profondo del misero schiavo, che col corpo pieno e
la mente sgombra riesce a dormire; sazio del suo sudatissimo pane non
vede l'orrenda notte, figlia dell'inferno, ma sano e allegro da mattina
a sera suda sotto l'occhio di Febo; e tutta la notte dorme nell'Eliso.
L'indomani all'alba si alza, aiuta Iperione a salire sul cocchio, e
segue il corso ininterrotto degli anni lavorando utilmente fino alla
tomba; e se non fosse che per lo sfarzo negato alla maestà,
questo reietto, che passa i suoi giorni nella fatica e le sue notti nel
ristoro del sonno, sarebbe più grande e più importante di
un re.
ERPINGHAM: Mio signore, i vostri nobili, ansiosi per la vostra assenza,
vi cercano per il campo preoccupati.
ENRICO: Mio buon cavaliere, radunali tutti nella mia tenda. Io ti
precederò. Dio degli eserciti, tempra nel ferro i miei soldati,
allontana da loro la paura; togli loro la facoltà di contare, se
la superiorità numerica degli avversari dovesse spaventarli. Non
oggi, Signore, oh, no, Signore, non oggi, non ricordare oggi la colpa
con la quale mio padre ottenne la corona! Ai resti di Riccardo ho dato
nuova sepoltura, e su di essi ho versato più lacrime di quante
gocce di sangue non ne fece sgorgare allora la violenza. Cinquecento
poveri ogni anno mantengo a mie spese, e due volte al giorno essi
levano le mani al cielo e chiedono perdono per quel sangue. E ho fatto
costruire due monasteri, dove santi sacerdoti cantano per l'anima di
Riccardo; di più ancora farò, anche se tutto ciò
che io faccio a nulla vale. Ogni penitenza da me fatta mi spinge a
implorare nuovo perdono.
GLOUCESTER: Sire!
ENRICO: Mio fratello Gloucester mi cerca. So cosa viene a chiedermi: e
io non mi sottrarrò. Il giorno, i miei amici, e ogni altra cosa
attende il mio cenno...
CONNESTABILE: Ascoltate come
nitriscono impazienti i nostri destrieri!
DELFINO: Montateli, e pungete i loro fianchi, affinché il loro
caldo sangue spruzzi negli occhi degli Inglesi.
CONNESTABILE: Presentatevi a quella banda di derelitti affamati, e il
vostro aitante aspetto scuoterà i loro cuori, lasciando di essi
solo vuoti gusci di uomini! Non c'è abbastanza lavoro per noi
tutti.
MONTJOY: Perché indugiate tanto, nobili di Francia? Quelle larve
di isolani, senza speranza di salvarsi, mal si addicono al campo
mattutino.
CONNESTABILE: Avranno detto le preghiere, poiché la morte li
attende. Un po' di lavoro, e tutto sarà finito. Senza fatica. Le
trombe diano il segnale di montare e di dar corso alla battaglia! E
appena contempleranno il nostro atto di sfida, gli Inglesi cadranno a
terra spaventati e si arrenderanno!
GLOUCESTER: Dov'è il
re?
BEDFORD: È andato ad osservare il loro schieramento.
WESTMORELAND: I loro combattenti saranno almeno sessantamila.
EXETER: Cinque contro uno... e inoltre loro sono tutti freschi.
ERPINGHAM: È una lotta impari.
WESTMORELAND: Oh, se avessimo qui con noi almeno diecimila di quegli
Inglesi che in Patria oggi se ne stanno sfaccendati!
ENRICO: Chi è mai che desidera questo? Mio cugino Westmoreland?
No, mio caro cugino. Se è destino che si muoia, siamo già
in numero più che sufficiente; e se viviamo, meno siamo e
più grande sarà la nostra parte di gloria. In nome di
Dio, ti prego, non desiderare un solo uomo di più. Anzi, fai
pure proclamare a tutto l'esercito che chi non si sente l'animo di
battersi oggi, se ne vada a casa: gli daremo il lasciapassare e gli
metteremo anche in borsa i denari per il viaggio. Non vorremmo morire
in compagnia di alcuno che temesse di esserci compagno nella morte.
Oggi è la festa dei Santi Crispino e Crispiano; colui che sopravviverà quest'oggi e tornerà a casa, si leverà sulle punte sentendo nominare questo giorno, e si farà più alto, al nome di Crispiano. Chi vivrà questa giornata e arriverà alla vecchiaia, ogni anno alla vigilia festeggerà dicendo: "Domani è San Crispino"; poi farà vedere a tutti le sue cicatrici, e dirà: "Queste ferite le ho ricevute il giorno di San Crispino". Da vecchi si
dimentica, e come gli altri, egli dimenticherà tutto il resto,
ma ricorderà con grande fierezza le gesta di quel giorno. Allora
i nostri nomi, a lui familiari come parole domestiche - Enrico il re,
Bedford ed Exeter, Warwick e Talbot, Salisbury e Gloucester - saranno
nei suoi brindisi rammentati e rivivranno questa storia. Ogni brav'uomo
racconterà al figlio, e il giorno di Crispino e Crispiano non
passerà mai, da quest'oggi, fino alla fine del mondo, senza che
noi in esso non saremo menzionati; noi pochi. Noi felici, pochi. Noi
manipolo di fratelli: poiché chi oggi verserà il suo
sangue con me sarà mio fratello, e per quanto umile la sua
condizione, sarà da questo giorno elevata, e tanti gentiluomini
ora a letto in patria si sentiranno maledetti per non essersi trovati
oggi qui, e menomati nella loro virilità sentendo parlare chi ha combattuto con noi questo giorno di San Crispino!
SALISBURY: Mio sovrano signore, affrettatevi alla battaglia; i Francesi
son già schierati in campo, e tra poco muoveranno all'assalto
contro di noi!
ENRICO: Ogni preparativo è fatto, se il cuore è pronto a
battersi.
WESTMORELAND: Perisca colui che non è pronto a battersi!
ENRICO: Non vuoi più rinforzi dall'Inghilterra, cugino?
WESTMORELAND: Perdio, mio signore, potessimo voi e io soli combattere
questa regale battaglia!
SOLDATI: Yeah!
EXETER: Ah, ah, ah!
ENRICO: Conoscete i vostri posti! Dio assista voi tutti!
MONTJOY: Ancora una volta vengo per sapere, re Enrico, se sei disposto
a trattare il tuo riscatto prima della tua sicura sconfitta.
ENRICO: Chi ti ha mandato ora?
MONTJOY: Il Gran Connestabile di Francia.
ENRICO: Ti prego di portargli la mia risposta precedente: prima
dovranno uccidermi, e poi potranno vendere le mie ossa. Santo Dio!
Perché si beffano così della gente? Lasciami parlare con
orgoglio: di' al Connestabile che noi siamo guerrieri dei giorni
feriali; i nostri colori e i nostri ori sono imbrattati dalle penose
marce nei vostri pantani, ma per la messa i nostri cuori sono
più che in forma. Araldo, risparmiati la fatica: non tornare
più a parlarmi di riscatto, cortese araldo, non avranno da me
alcun riscatto, tranne questa mia carcassa, dalla quale, se l'avranno
come intendo lasciarla a chi ti manda, non ricaveranno niente. Dillo al
Connestabile.
MONTJOY: Lo farò, re Enrico. E quindi ti saluto. Né
questo né altri araldi sentirai più.
DUCA DI YORK: Mio signore, vi supplico in ginocchio di affidarmi il
comando dell'avanguardia.
ENRICO: È tuo, prode York! Ora, soldati, in marcia, dunque. E
Tu, Dio, secondo la tua volontà, disponi della vittoria.
CORO: E ora la scena si
sposta alla battaglia, dove purtroppo faremo grande torto con quattro o
cinque spade di scena mal maneggiate da goffe comparse alla vera
battaglia e al nome di Azincourt.
COMANDANTE: Caricate! Mirate!
Lanciate! Lanciate! Mirate! Lanciate! Mirate! Lanciate! Lanciate!
Lanciate!
CONNESTABILE: Tutte le nostre
truppe sono in rotta!
DELFINO: Oh, incancellabile infamia!
CONNESTABILE: Infamia... Eterna infamia... Nient'altro che infamia.
ORLEANS: Moriamo con onore. Torniamo alla carica, siamo ancora in
numero sufficiente per schiacciare gli Inglesi se si riesce a
riordinare le nostre azioni!
DELFINO: Il diavolo se lo porti, l'ordine! Andrò nella mischia,
sia breve questa vita, o sarà troppo lungo il disonore!
ENRICO: Ci siamo battuti
bene, miei compatrioti, ma non è ancora finita: tengono bene il
campo i Francesi. Aaah!
FLUELLEN: Uccidere i ragazzi
a guardia del carriaggio è espressamente vietato dalla legge
delle armi! Io dico che è la furfanteria più matricolata
e disumana che si possa commettere! Dite, in coscienza, anche voi,
Gower? Non è così?
GOWER: Non uno dei ragazzi è rimasto vivo.
ENRICO: Non mi ero tanto indignato da che sono in Francia come in
questo momento!
EXETER: Ecco l'araldo dei Francesi, mio signore.
ENRICO: Cosa c'è ancora? Che significa, Araldo? Eh? Vieni ancora
a chiedere il riscatto?
MONTJOY: No, grande re! Vengo solo a chiederti licenza di percorrere
questo campo insanguinato, di contare i morti e seppellirli; di
separare i nostri nobili dai soldati comuni. Molti nostri
prìncipi giacciono immersi e annegati nel sangue dei mercenari.
Concedici dunque, grande re, di perlustrare il campo in libertà
e di disporre dei loro cadaveri.
ENRICO: Ti dico la verità, araldo: io non so se la vittoria sia
nostra o vostra.
MONTJOY: La vittoria è vostra.
ENRICO: Per questo sia lodato Dio, ancor più che la nostra
forza. Che castello è quello che si innalza laggiù?
MONTJOY: Si chiama Azincourt.
ENRICO: Allora questa si chiami "la battaglia di Azincourt", combattuta
il giorno di Crispino e Crispiano.
FLUELLEN: Il vostro bisnonno di fausta memoria, se piace a vostra
maestà, e il vostro grande zio, anche Edoardo, il Principe Nero
del Galles, a quanto ho letto nelle cronache, combatterono una
battaglia valorosa qui in Francia.
ENRICO: È vero, Fluellen.
FLUELLEN: Ah, vostra maestà dice la verità. Se vostra
maestà vorrà rammentarsene, i Gallesi si batterono
valorosamente in un orto dove crescevano dei porri, e se li infilarono
nei loro berretti di Monmouth. Come vostra maestà sa, ancora
oggi il porro è un'onorevole insegna del loro valore. E io credo
che vostra maestà non disdegna di portare il valoroso porro il
giorno di San Davide.
ENRICO: Lo porto in memoria di gesta onorate, perché anch'io
sono gallese, mio buon compatriota, ah, ah, ah, ah, ah!
FLUELLEN: Tutta l'acqua del Wye non potrà lavare via dal vostro
corpo il vostro sangue gallese, ve lo assicuro. Dio lo benedica e lo
protegga finché piacerà alla sua grazia e alla sua
maestà divina.
ENRICO: Grazie, mio buon compatriota.
FLUELLEN: Per Gesù, sono compatriota a vostra maestà! E
che si sappia pure! Io lo confesserò a tutto il mondo! E non
avrò da vergognarmi di voi, sia lodato Dio, finché vostra
maestà sarà un onest'uomo.
ENRICO: Così piaccia a Dio.
PISTOLA: La Fortuna si mette
a fare la ritrosa con me, ora? Ho saputo che la mia Nel è morta.
Divento vecchio, e dalle mie stanche membra l'onore è cacciato.
Bene: mi farò delinquente, e imparerò l'arte del mezzano,
del ladro e del ricatto. Tornerò a casa furtivo, e lì
vivrò... di furto.
ENRICO: Araldo, avete contato
i morti?
MONTJOY: Sì. Ecco l'elenco dei Francesi uccisi.
ENRICO: Quest'elenco dice che sono diecimila i Francesi che giacciono
morti sul campo di battaglia. Fra questi vi sono centoventisei
prìncipi, ai quali si aggiungono ottomila e quattrocento
cavalieri, scudieri e valorosi gentiluomini, cinquecento dei quali sono
stati fatti cavalieri solo ieri. La morte ha voluto vittime di rango.
Dov'è l'elenco dei caduti inglesi? "Edoardo, duca di York, il
conte di Suffolk, sir Richard Ketly, David Gam, gentiluomo". Nessun
altro di nome. E di soldati semplici venticinque... soltanto.
EXETER: È magnifico!
ENRICO: Venite. andiamo in corteo fino al villaggio. E si proclami la
pena di morte a tutto l'esercito per chi con i suoi vanti tenti di
sottrarre a Dio la lode che spetta solo a Lui.
FLUELLEN: Non sarà neppure lecito, vostra maestà,
riferire il numero dei caduti?
ENRICO: Sì, capitano, ma con questo riconoscimento: che Dio ha
combattuto con noi.
FLUELLEN: Devo dire, in coscienza, che ci ha dato un grosso aiuto.
ENRICO: Ora tutti i sacri riti si compiano. Sia cantato in coro il "Non
nobis" e il "Te Deum"; trovino sepoltura i caduti nella terra, e poi a
Calais, e quindi in Inghilterra, dove mai arrivarono dalla Francia
guerrieri più felici.
SOLDATO: Non nobis, Domine, Domine / Non nobis, Domine / Sed
nomini, sed nomini tuo da gloriam...
ENRICO: Pace a questa
assemblea, e al nostro fratello Re di Francia, salute e giorni felici.
Gioia e auguri sinceri alla nostra bella e nobile cugina Caterina, e
quale ramo e membro di quella reale Casa che ha convocato questo grande
convegno, salutiamo il duca di Borgogna. E a voi, nobili di Francia, e
pari, il nostro saluto.
RE DI FRANCIA: Siamo lietissimi di vedere il vostro viso. Valoroso
fratello d'Inghilterra, benvenuto. E così a voi tutti, nobili
Inglesi.
DUCA DI BORGOGNA: La mia obbedienza ad entrambi, fondata su pari
affetto, potenti re di Francia e d'Inghilterra. Dal momento che la mia
mediazione ha ottenuto che visu a visu e a quattr'occhi vi siate
scambiati il saluto, non tornino a mio disonore se domando al vostro
regale cospetto quale ostacolo vi sia a che la nuda e bistrattata pace
non debba in questo superbo giardino del mondo, la nostra fertile
Francia, mostrare il suo leggiadro viso? Ahimè, la Francia, essa
è da troppo tempo esiliata, e tutte le ricchezze della sua
cultura giacciono in mucchi e marciscono per la sua troppa
fertilità. E così come i nostri vigneti, prati e siepi,
pervertiti nella loro natura, si inselvatichiscono, anche le nostre
famiglie, noi stessi e i nostri figli abbiamo perduto o non abbiamo
tempo di acquisire la conoscenza che dovrebbe abbellire la nostra
terra; ma diventiamo selvaggi, come soldati che non pensano altro che
al sangue, dediti alla bestemmia, agli atteggiamenti truci, al vestire
stravagante... E a tutto ciò che sembra... innaturale. Il
discorso vi supplica di farmi conoscere perché la dolce pace non
dovrebbe espellere tutti questi inconvenienti, e benedirci con le sue
migliori qualità.
ENRICO: Se, Duca di Borgogna, volete la pace, la cui assenza ha dato
origine ai danni che avete elencato, dovrete comperarla, accogliendo
tutte le nostre giuste richieste.
RE DI FRANCIA: Io ho soltanto dato un'occhiata alle vostre richieste.
Voglia vostra grazia designare qualcuno del suo consiglio per riunirsi
ancora con noi; e senza indugio sarà data la nostra regale
risposta di accettazione.
ENRICO: Sarà fatto. Lasciate però nostra cugina Caterina
qui con noi: lei è la principale richiesta, inclusa negli
articoli che stanno in testa al trattato.
RE DI FRANCIA: Ha il nostro permesso.
ENRICO: Bella Caterina, anzi, bellissima, volete compiacervi di
insegnare a un soldato parole che trovino strada nell'orecchio di una
dama, per portare al suo gentile cuore una amorosa istanza?
CATERINA: Vostra maestà si burla di me: io non parlo vostra
lingua.
ENRICO: Ah. E... bella Caterina, se voi mi vorrete bene col vostro
cuore francese, sarò lieto di sentirvelo dire anche con
linguaggio difettoso. Vi piace uno come me?
CATERINA: Pardonnez-moi, io non so cos'è "uno come me".
ENRICO: Un angelo è come voi, Kate, e voi come un angelo.
CATERINA: Que dit-il, que je suis semblable à un ange?
ALICE: Oui, vraiment, votre grace, ainsi dit-il.
CATERINA: Mon Dieu! Les langues des hommes sont pleines de tromperies!
ENRICO: Cosa dice, bella dama? Che le... le lingue degli uomini sono
piene... d'inganni?
ALICE: Sì, le langhe degli òmini sono piene dell'inganni,
dice la princess.
ENRICO: So corteggiare quanto voi parlare la mia lingua. Io non so fare
smancerie in amore, preferisco dirvi chiaramente: "vi amo". Ma se voi
m'incalzate e ribattete "mi amate davvero?", la mia corte è
finita. Datemi una risposta, e concludiamo sùbito l'affare con
una bella stretta di mano, che ne dite?
CATERINA: Sauf votre honneur, vi ho capito bene?
ENRICO: Eh... se mi chiedete di recitare versi o di danzare per voi,
Kate, sono rovinato! Se dovessi conquistare una dama con un salto,
oppure balzando in sella al cavallo con tutta l'armatura, non avrei
alcun problema a trovarmi in groppa a una moglie, e saprei restarci
attaccato come una scimmia. Ma giuro su Dio, Kate, che non so fare
quello che si strugge. Né sospirare la mia eloquenza, né
so fare... amorose proteste. Se puoi amare un individuo così,
che non cerca mai nello specchio un'immagine da vagheggiare, lasciati
servire dal tuo occhio. Ti parlo da semplice soldato: se puoi amarmi
così, allora prendimi; se no, dicendo che di sicuro morirò, dirai il vero, ma non per amor tuo, no. E tuttavia io ti amo. Se ti sta bene uno
così, prendimi. E prendendo me, prendi un soldato, e prendendo
un soldato, prendi un re. Che cosa dici, dunque, Kate, del mio amore?
Rispondi, amore mio, e fallo con amore, ti prego.
CATERINA: È possibile che io posso amare il nemico della Francia?
ENRICO: No, Kate. Non è possibile che tu possa amare il nemico
della Francia, Kate. Ma amando me tu ameresti un amico della Francia;
poiché io amo tanto la Francia, che non rinuncerò a un
solo villaggio: voglio che sia tutta mia, e quando la Francia
sarà mia e io sarò tuo, la Francia sarà tua, e tu
mia.
CATERINA: Non so cosa voler dire.
ENRICO: No, Kate? E allora te lo dirò in francese, che mi
rimarrà appeso alla lingua, come una sposa novella al collo del
marito, da non poterla più staccare. Eh... Je quand sur la
possession de France, et... et quand... quand vous avez la possession
de moi... eh... santo Dio, come si dice? Ah! Eh... Donc... eh... votre
est France et vous ètes mienne, eh, eh, eh! È più
facile per me conquistare un regno che parlare un altro po' di
francese! Tutto ciò che otterrò in francese sarà
farti ridere di me.
CATERINA: Ah, ah, ah! Sauf votre honneur, le français que vous
parlez, l'est meilleur que l'etranger lequel je parle.
ENRICO: No, Kate, non è vero. Ma dimmi, Kate: riesci a capire
almeno questo nella mia lingua? Credi che potrai amarmi?
CATERINA: Io non so dire.
ENRICO: Può dirlo qualcuno del tuo sèguito? Glielo
chiederò. Sul mio onore, in linguaggio semplice, io giuro
d'amarti, sul quale onore non oso giurare che tu ami me. Anche se il
mio sangue comincia a farmi credere di sì, a dispetto della mia
brutta faccia che non ha su di te alcun effetto. Sia maledetta
l'ambizione di mio padre: pensava alle guerre civili quando mi
concepì, e così fui creato con questa dura scorza, con
questa faccia di ferro che quando corteggio le signore, le spavento. Ma
in fede, Kate, ti prometto che con gli anni migliorerò. La mia
unica consolazione è che la vecchiaia, la grande devastatrice
della bellezza, non potrà imbruttire di più questa mia
faccia. Tu mi prendi, se mi prenderai, al mio peggio; e possedendomi,
se mi possederai, troverai che miglioro. E quindi dimmi, mia bellissima
Caterina, vuoi accettarmi? Avanti, dammi la tua risposta in musica,
poiché la tua voce è musica, e il tuo accento è
musicale. E quindi, regina di tutte le regine, vuoi accettarmi?
CATERINA: Sarà come piacerà al Roi mon père.
ENRICO: Il re... a lui piacerà molto, Kate. A lui
piacerà, Kate.
CATERINA: E allora farà contenta anche me.
ENRICO: E con questo, ti bacio la mano, e ti chiamo mia regina.
CATERINA: Laissez, mon seigneur, laissez, laissez! Ma foi, je ne veux
pas que vous abaissiez votre grandeur en baisant la main d'une de votre
seigner indigne serviteur. Excusez-moi, je vous supplie, mon
très puissant seigneur.
ENRICO: Allora ti bacerò le labbra, Kate.
CATERINA: Les dames e les demoiselles pour etre baisées devant
leur noces il n'est pas la coutume de la France!
ENRICO: Madama interprete, cosa dice?
ALICE: Che non è la moda nell'uso per le donne di Francia.. io
non so come si dice "baiser" da voi...
ENRICO: "Baciare"?
ALICE: Vostra maestà intende meglio che me.
ENRICO: Ah, che non è usanza delle damigelle di Francia farsi
baciare prima di essere sposate.
ALICE: Oui, vraiment.
ENRICO: Oh, Kate, il costume si inchina davanti ai grandi re. Tu e io
non possiamo essere confinati entro i ristretti limiti delle usanze.
Noi siamo i creatori delle usanze, Kate. E quindi pazienza, e
arrenditi. Dalle tue labbra scaturisce una magia, Kate; c'è
più eloquenza nel tuo tocco dolcissimo che nelle lingue del
Consiglio di Francia. Ecco tuo padre.
BORGOGNA: Dio salvi vostra maestà! Mio regale cugino, insegnate
a Caterina la vostra lingua?
ENRICO: Vorrei che apprendesse di quale perfetto amore io l'amo. Solo
questo mi sta a cuore.
RE DI FRANCIA: Abbiamo accettato tutte le condizioni ragionevoli.
ENRICO: E ora concedetemi la mano di vostra figlia.
RE DI FRANCIA: Prendetela, caro figlio; e dal suo sangue fatemi nascere
buona prole. Onde i regni rivali di Francia e d'Inghilterra, corrosi
dall'invidia che l'una soffre per la felicità dell'altra,
desistano dall'odio, e questa felice unione crei nei loro cuori
inteneriti rapporti di buon vicinato e di cristiana concordia, e che
mai la guerra levi ancora la sua spada sanguinante tra la vostra
Inghilterra e la bella Francia.
ENRICO: Amen. Benvenuta, Kate. E mi siete tutti testimoni che io la
bacio qui come mia sovrana regina. Dio, ottimo artefice di tutti i
matrimoni, unisca i nostri cuori in uno, i nostri regni in uno, come
marito e moglie diventano nell'amore un solo essere, così vi sia
tra i nostri due regni un simile sposalizio; che mai cattiva azione o
crudele gelosia, che spesso turbano il felice letto coniugale, si
insinuino nell'alleanza di questi due regni, a provocare il divorzio
della loro salda unione. Che Inglesi e Francesi, Francesi e Inglesi
possano accogliersi come fratelli. Dio accolga questo augurio. Amen.
TUTTI: Amen!
CORO: Fin qui, con rozza vena
e inadeguata penna, l'umile autore ha portato avanti questa storia,
confinando in piccoli spazi i grandi uomini, tagliando le loro gesta e
mutilandone la gloria. Breve tempo, ma in quella brevità
splendette fulgida questa stella d'Inghilterra: la Fortuna
forgiò la spada con la quale il più bel giardino del
mondo conquistò, lasciandone poi il figlio l'imperiale signore.
Enrico VI, ancora in fasce, incoronato re di Francia e d'Inghilterra,
succedette a questo re; sotto di lui furono tanti a comandare lo Stato,
e perdettero la Francia, e fecero sanguinare l'Inghilterra, come
sovente è stato qui rappresentato. E in ricordo di questo,
vogliate accogliere bene anche questa rappresentazione. Grazie.
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(2007)
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