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LA PARTENZA
Si parte.
I preparativi occupano qualche
giorno: c'è una revisione al corredo con distribuzione di vestiario
nuovo per chi ne ha bisogno ma senza indumenti speciali perché dicono
che arriveranno in seguito. Finalmente il 4 luglio arriva l'ordine di portare
materassi e coperte in magazzino, poi adunata con zaino affardellato nel
cortile del battaglione. Esco tra gli ultimi dalla camerata dove sono rimaste
solo le brande vuote; sulle mensole sopra i posti-letto non ci sono più
gavettoni, rasoi, fotografie dei parenti; sulle pareti, ormai vuote, restano
solo le foto ritagliate dai giornali di Isa Miranda e Alida Valli, le attrici
del momento. Un ultimo sguardo in giro, quasi un saluto, e poi via.
In fila sull'attenti ascoltiamo
le parole del Maggiore che ci raccomanda "aspetto marziale e canto
a piena voce". Ci hanno distribuito delle bandierine tricolori da
infilare nella canna dei fucili e scendiamo verso la stazione ferroviaria
cantando "VINCERE" e
l'inno del reggimento:
Ottantanove
Non chiedo dove
Dobbiamo andare altrove...
"Non chiedo dove"
è il motto del nostro reggimento; la musica, una marcia, è
buona ma mentre l'autore ne scriveva le rime la sua musa doveva essere
occupata in altre faccende. Di solito la cantiamo cambiando le parole,
cosa che provoca risate, ma ora non ci va troppo dì sorridere. I
più anziani sono richiamati e camminano con gli occhi fissi in avanti:
certo pensano alle mogli, ai figli che hanno lasciato a casa: noi giovani
cresciuti all'ombra del Littorio e che crediamo ancora alle parole del
duce, pensiamo che si tratti come di fare una passeggiata fuori porta ma,
in fondo in fondo, c'è un po' d'apprensione. Per le strade di Ventimiglia
la gente, muta, ci guarda passare. Molte donne piangono e noi continuiamo
a marciare cantando "VINCERE" con le bandierine tricolori infilate
nelle canne dei fucili mod. '91.
Le tradotte sono composte come
al solito di vagoni merci sui quali spicca la scritta: "Cavalli 8,
uomini 40" che è la densità ottimale di ogni carro merci,
misura che credo internazionale perché il vagone sul quale mi hanno
stivato assieme ad altri 39 fra soldati, caporali e sergenti porta la scritta
in francese: "Hommes 40, chevaux 8" che dà la precedenza
agli uomini; forse in Francia valgono più dei cavalli.
La sistemazione della truppa,
delle salmerie e delle vettovaglie procede abbastanza celermente e nel
pomeriggio la tradotta inizia il suo viaggio.
Il tempo è bello, il
paesaggio della Riviera ligure è stupendo con le piccole insenature
protette dalle rocce degradanti sul mare azzurro chiaro e noi, seduti con
le gambe penzoloni fuori del vagone, cantiamo allegramente le canzoni in
voga già prima della guerra: "Paesanella" e "Campagnola
bella". Allora il regime voleva che l'Italia fosse un paese di agricoltori
rudi e buoni, in lotta per la conquista del primato nella cosidetta "Campagna
del Grano", ma dopo la guerra d'Abissinia, dove abbiamo sconfitto
- ma con tanta, tanta fatica - l'esercito etiopico armato con lance, frecce
e vecchi archibugi, siamo diventati tutti eroi e guerrieri e il nostro
compito, adesso, è quello di liberare i popoli dalla schiavitù.
Il pensiero di dove stiamo andando
non ci preoccupa più che tanto perché, uscire dai confini
dell'Italia, per chi non ha mai lasciato il proprio paese, è di
per sé un'avventura. Si va verso luoghi mai visti, verso terre delle
quali sappiamo solo che sono lontane. Della guerra si sa ancora meno, si
sente solo che in Russia è ripresa l'offensiva tedesca verso est.
Ma io non mi rendo conto di
ciò che mi attende.
La tradotta procede molto lentamente
con lunghe fermate alle stazioni. Ciò consente ai familiari dei
molti liguri che fanno parte del reggimento, di venirli a salutare. A notte
fonda arriviamo a Genova. La tradotta è messa in sosta su un binario
dello scalo merci e viene immediatamente circondata da un'enorme folla
di parenti. Richiami, grida, tutti corrono lungo i vagoni chiamando a gran
voce il figlio, il marito, il fratello. I vagoni si svuotano, io resto
là con le gambe a penzoloni assieme a Brambilla che è di
Inzago e che, come me, nessuno è venuto a salutare. Ma il pensiero
corre alla famiglia che non so quando potrò rivedere.
Verso le due del mattino si
riparte e ci possiamo sistemare per la notte.
"Radio Scarpa" dice
che il viaggio durerà due settimane.
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