Mi tocca indossare la divisa anche per uscire dalla caserma: non la mimetica che si deve tenere solo in servizio, ma la drop che avevo indosso anche il giorno del giuramento.
I miei genitori vogliono vedermi in divisa.
Francesca vuol vedermi in divisa.
I miei futuri suoceri vogliono vedermi in divisa.
Io preferirei avere addosso qualsiasi altro vestito - anche in mutande! - ma non voglio rovinare questa giornata. Sopporterò la drop anche se ha attaccato l’odore impossibile della naja. Sopporterò tutto: aiuterà a far passare la giornata, altre ventiquattro ore da condannato.
Settantatré giorni all’alba.
Settantadue domani.
Penso a Francesca. Fosse venuta da sola!
Ho cercato di spiegarle che ho bisogno di lei, ma lei ha fatto un po’ la timida ed è finita così. Visita con tutti i genitori a fare una guardia benigna e appiccicosa. Forse non si poteva fare diversamente.
Accidenti all’esercito che mi ha mandato a fare la naja a 500 chilometri da casa!
Un anno senza i miei amici, senza la mia ragazza, senza la mia città, senza potere fare nulla né per lo studio né per un lavoro.
Dalla cuccetta sopra il Beccaossi mi vede in divisa e sghignazza. Fa battute idiote e poi si esibisce nella sua specialità che è ruttare. La naja è queste cose: un Beccaossi che ti rutta in testa e che quando è ubriaco certe volte si mette ad urlare nella notte dormendo ma senza svegliarsi. E lo sveglio io, mollando pugni nella rete del letto. Il Beccassi: uno dei sette con cui divido la camera, persino quello che è più sopportabile.
Il peggiore è Vincenzi, un piccoletto romano incapace quasi di parlare italiano e che si vuole fare trattare da nonno. Mi hanno raccontato che per lui la naja è peggio che per gli altri perché è sposato e la moglie aspetta un figlio, ma questo non toglie che sia un bastardo. Se prenderò a calci qualcuno in caserma sarà quel romano, ma per fortuna tra due settimane Vincenzi ha finito, e sarà un bel momento per tutti. Però sogno tante volte di saltargli sopra e spaccargli la faccia anche se, in un a corpo a corpo, malgrado quel fisico grezzo che si ritrova, sarebbe lui a farmi saltare i denti.
Guardo l’orologio: è ancora presto per la libera uscita - essendo sabato è alle due e mezza. Forse i miei mi aspettano fuori o forse non sono ancora arrivati. Scommetto che sono già fuori.
Mi metto cinque minuti sulla branda e sbadiglio. Non si dorme mai bene in camerata e poi la sveglia all 6 e 15 tutti i giorni è una follia.
Beccaossi ha altro da dire. Non sa che c’è fuori la mia ragazza ma lo immagina e si fa le sue battute sopra, sulle donne che sono tutte puttane e tutte uguali. Discorsi da caserma. Poi Beccalossi fa il compagnone e mi chiede se gli lascio "fare un giro anche a lui". Lascio dire, tanto le sue parole mi rimbalzano. Lui ride e poi rutta. Potessi farmelo io, oggi, "un giro"!
Passerà anche quest’anno.
Penso che non faccio l’amore da due mesi: una licenza veloce e Francesca aveva ceduto solo dopo avere capito quanto ne avevo bisogno. Ed era stata un momento veloce, febbrile, rubato alla rete di appuntamenti e di doveri che mio padre mi aveva preparato. Perché per lui appena esco di caserma devo recuperare il tempo perduto: come se fossi stato io a decidere di perderlo!
Il caserma dicono che, quando hai una ragazza, il militare tira fuori tante verità: io comincio sempre più a considerare Francesca come una piccola moglie, con i doveri ed i diritti che comporta.
E così fanno i miei ed i suoi genitori - e questo mi piace meno.
Come moglie Francesca avrebbe il dovere di essere mia oggi!
Il Beccaossi rutta e poi ride: "Scusate ragazzi! Vi do fastidio?"
Rutta subito di nuovo. Passerà anche quest’anno.
Guardo ancora l’ora ed è ancora presto. Fuori c’è il sole e fa caldo, il caldo piacevole di metà Giugno.
Nella camerata vicina qualcuno lancia un registratore con musica napoletana a tutto volume. Una pausa, poi urla, imprecazioni e bestemmie, ma la musica non smette.
Mi alzo, vado in bagno, mi risciacquo la bocca, sputo, mi pettino.
La mia drop con i baffetti da caporale sulle spalle.
È ancora presto, ma inizio ad andare verso la guardiola.
Nel cortile incontro un tenente e lo saluto, lui guarda scettico la mia drop ma non dice niente. Chi esce in libera uscita lo fa sempre in civile e non deve salutare nessuno.
Conosco i tre che sono di guardia e mi lasciano dare uno sguardo dagli spioncini: c’è una cinquantina di persone in attesa e riconosco subito Francesca che è un po’ dietro gli altri ma su un monticello di terra così, anche se non è tanto alta, la vedo benissimo. Ha una canotta bianca che le lascia scoperte le spalle e jeans: sono abituato più alle sue gonne un po’ corte - però mai eccessive - che alle sue spalle nude, e devo riconoscere che la visione mi piace. Cerco i miei genitori e li trovo invece più avanti. Non vedo i genitori di Francesca ma sono sicuri che ci sono anche loro, anche se meno impazienti.
Sei minuti alla libera uscita. Mi unisco al gruppetto che aspetta si apra il portone - ed io sono ovviamente l’unico in divisa. Uno della mia camerata mi sfotte anche lui: "Avevi finito le camicie pulite? O sono le tue amanti che ti preferiscono in divisa?"
Riesce a farmi ridere: "La seconda che hai detto!"
Il sole ci batte in testa. Quattro minuti.
Qualcuno protesta, ma protestare serve solo a farsi aprire il portone qualche minuto dopo, se si esagera.
Due minuti ed il portone si apre. Si sente anche il vociare di parenti ed amici crescere come motori di Formula 1 al momento della partenza.
Lascio sfilare i più impazienti, riesco anche a pensare che sarebbe divertente se io non uscissi.
Invece esco.
I miei genitori e Francesca - e adesso vedo anche i suoi genitori - stanno guardando verso un gruppo dove io non sono. Poi Francesca mi vede e mi vola incontro. Lo fa con un entusiasmo che intenerisce, troppo bello perché sia programmato. E mentre corre le saltano i seni ed è un bello spettacolo: mentre corre resto ipnotizzato da quel movimento pieno sul suo petto: non la ricordavo così, o forse è solo l’elasticità aderente della canotta e la corsa che danno quest’effetto.
Mi finisce tra le braccia ed io, dopo l’abbraccio cerco la sua bocca. La trovo e da Francesca, che è sempre stata un po’ freddina nelle effusioni e che si blocca se non siamo soli, questo è veramente un segno di amore.
Ci separiamo ed i suoi occhi brillano di felicità. Devo salutare i miei genitori e poi quelli di Francesca, dicono tutti insieme le prevedibili banalità ed io rispondo con sorrisi e banalità simili, preoccupato solo di tornare da Francesca.
La sorpresa della visita è che hanno anche portato mia nonna: povera vecchina, poteva anche starsene a casa, o potevano portarla altrove e lasciare me con Francesca.
Bacio anche mia nonna: è molto dimagrita in questo periodo ma le giuro che sta benissimo.
I vari genitori perdono un po’ di tempo per decidere come organizzarsi ed io vado da Francesca e le prendo le mani. Mi sorride ed è felice e forse eccitata come me.
"Ti piace come sono vestita?"
Le donne hanno sempre troppa fretta di parlare e così non riesci quasi mai a dire loro come vorresti. Forse hanno paura di quello che potrebbero sentirsi dire oppure preferiscono immaginare che sapere.
"Mi piacciono le tue spalle!"
Ride: "Mamma mi ha detto che sono vestita male e che saresti stato deluso!"
"Mi piacerebbe vederti correre di nuovo!"
Non capisce e mi guarda: "Perché?"
"Ti saltavano le tette! Era bello!"
Una cosa del genere un anno fa non gliel’avrei mai detta e mi guarda senza sapere se riderne o se arrabbiarsi. Alla fine fa una spalluccia e guarda altrove: "Non sei gentile!"
"Non volevo offenderti! Volevo dire..."
Non è offesa: si gira verso di me con un dito sulle labbra perché io stiai zitto.
"Ho capito! Non devi dire più niente!"
Sto bene con Francesca e lo scopro soprattutto in questi momenti. Piccola moglie!
Sorride e anch’io alzo una mano per toccarle le labbra. Prima che io faccia di più si scosta e guarda verso i genitori. Purtroppo hanno trovato l’accordo. Verso i giardini a fotografare il prode difensore della patria in divisa: peccato che non abbia medaglie sul petto a testimonianza del mio valore e che non sappia neanche da chi devo difendere la patria.
Ci s’incasina su come dividersi nelle due auto: spero solo che mi lascino con Francesca e sono accontentato a metà. I miei genitori e la nonna su un’auto ed io, Francesca e i suoceri sull’altra. Solo che mi fanno stare davanti mentre Francesca sta dietro con la sua mamma. Inghiotto la rabbia: in ogni caso il viaggio ai giardini non è più di tre chilometri.
Francesca è seduta dietro di me e non la vedo neanche. Mi passa solo una mano nei capelli e me li tira.
Mia suocera vuole farmi parlare. Mi chiede come si vive in caserma. Sono banale. Ripeto che in fondo il tempo passa, anche se in realtà i giorni sono lenti e noiosi oltre ogni dire.
"Oggi settantatré. Domani settantadue!"
Ridono tutti come ad una grande battuta. Non si rendono conto. Per loro sono numeri e basta, per me sono le misure di un’agonia che non riesce a finire.
Ho ancora due settimane di licenza ed un 48 ore ma non voglio sottrarli: l’alba è tra settantatré giorni.
Mi chiedo come si possono spiegare certe domeniche di guardia, quando ti taglieresti le vene solo per la distrazione di provare qualche sensazione strana guardando il sangue che esce dal tuo corpo? Come spiegare che sentirò il Beccaossi ruttare ancora diecimila volte prima che sia finita? E devo parlare dei cessi alla turca sporchi, senza carta igienica e con le porte che non si chiudono? Mesi e mesi che non ho una vita mia e che devo condividere ogni istante con altri disperati najoni come me.
E adesso, che vorrei un attimo mio con Francesca - e credo che lei lo vorrebbe ugualmente, anche se meno disperatamente di me - quattro genitori ci fanno la guardia.
E sono ancora settantatré giorni.
Ai giardini fatichiamo a trovare dove parcheggiare le auto. Quando scendo dall’auto mia madre mi rimprovera: "Potevi venire in auto con noi!"
Non so che dire: sono andato dove mi hanno detto ed adesso mia madre è arrabbiata. Francesca va dietro a suo padre e si defila. Mio padre tira fuori la sua reflex e comincia a preparare gli obiettivi. Perché lo scopo di questa visita è questo: immortalarmi in divisa!
E dire che io vorrei una foto, una sola, ma di Francesca: ne ho alcune di un anno fa, ma è cambiata da allora - ha i capelli più corti, ha più seno ma non è ingrassata, forse è persino cresciuta ed anche il viso è più serio, più espressivo - e di adesso ho solo una foto tessera che mi ha spedito lei insieme con una lettera lunghissima, ma che sembrava un pezzo di diario. Una lettera ed una foto che mi hanno fatto passare qualche ora senza guardare l’orologio.
In posa. Da solo. Con mamma. Con Francesca. Con Francesca e i suoceri. Con i miei genitori. Da solo di nuovo. Ancora. Con Francesca.
Mio padre cambia gli obiettivi. 50 millimetri. 75. 135. Grandangolo per prendere il panorama. Uffa, ma perché non si compra uno zoom regolabile? So perché non lo fa: perché dice che l’ottica è meno buona. Ma sta fotografando me per l’album di famiglia, non Claudia Schiffer per Vogue!
Francesca mi sorride poi, improvvisamente imbarazzata, abbassa gli occhi.
Dio, quanto la voglio! Cinque anni di vita per dieci minuti solo con lei! Dieci anni per dieci minuti!
E oggi settantatré giorni...
La drop mi gratta il collo, addosso me la sento proprio male. Mamma e suocera hanno ripetuto tante volte che la divisa mi sta davvero bene. "Un bel ragazzo in divisa…". Ogni volta mi è sembrato di sentire in lontananza il Beccaossi che ruttava.