GYMNASIUM

Palestra per giovani leaders intellettuali


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ESSERE FELICI: FRUTTO DEL CASO O DI CHE COSA ?

 

 

Parliamo della felicità. No, non spaventarti. E’ parola grossa, sì, ma possiamo arrivare a parlarne in modo preciso e concreto. Anzi, dobbiamo. Perché se no la vita ci sfugge di mano ..... inseguendo cosa? Non possiamo rinunziare a capire dove va il nostro cuore, a sapere se c’è qualcosa che merita di essere cercato e se la felicità sgorga da qualcosa che può essere posseduto.

 

E’ certo che senza libertà non si può essere felici. Ma è altrettanto certo che non basta essere liberi, nel senso di poter fare ciò che si vuole, per essere felici.I giovani oggi sono molto piu’ liberi di una volta. Anche il benessere, in media, è aumentato, e con esso le possibilità di esercitare in vari modi la propria libertà. Altre generazioni hanno sognato questo benessere, e altri popoli della terra sognano oggi di ottenerlo un giorno. Sembra paradossale che ci siano fra noi tanti giovani poco felici.

 

Carichiamo le nostre aspettative con una speranza di felicità che portiamo dentro e che si confonde con l’attesa di ciò che abbiamo davanti: un incontro, un divertimento, un viaggio, un obiettivo da raggiungere... Succede così che la nostra aspettativa è sempre superiore alla soddisfazione che poi proviamo. La realtà, sotto qualche aspetto, è sempre deludente. Cerchiamo di supplire a questa delusione ideando nuove aspettative. Siamo degli incontentabili. La frequenza e l’intensità con cui questo succede sono indici della grandezza del desiderio che portiamo dentro.

 

La nostra felicità dipende essenzialmente dalla qualità delle nostre relazioni con gli altri. Noi non sappiamo esser felici da soli. Abbiamo bisogno di significato, di ruolo, di sentirci utili, di sentirci amati, di voler bene a qualcuno. La condanna piu’ crudele è non essere amati, o stimati, o considerati, da chi vorremmo. Succede così che la nostra felicità è in qualche modo legata agli altri. Siamo dipendenti da loro. Anche se a volte ci illudiamo di esser contenti per ciò che siamo, o per le qualità che abbiamo, non ci accorgiamo che la nostra sicurezza in noi stessi è il riflesso dell’immagine che abbiamo davanti agli altri, immagine che il nostro talento sostiene, ma non garantisce. Ce ne accorgiamo quando succede qualcosa che infrange questa immagine: esser lasciati dal partner nel corso del fidanzamento, incontrare qualcuno piu’ dotato di noi nello stesso campo nel quale vogliamo primeggiare, non godere di simpatia all’interno di un gruppo sono esperienze che possono farci comprendere la nostra fragilità di fronte alla mancanza di consenso.

Le nostre relazioni con gli altri...quanto rischiano di essere spersonalizzate e poco autentiche ! Seguiamo, nei comportamenti sociali, dei cliché di buona educazione... oppure di aggregazione... che spesso ci coinvolgono solo esteriormente, mentre il nostro animo è immerso nella solitudine. Ci si può sentire soli anche in mezzo a un gruppo di ragazzi che fanno una festa. Quanto desideriamo, in realtà, mettere in comune ciò che effettivamente pensiamo, o sentiamo, in definitiva ciò che effettivamente siamo! Eppure, spesso non riusciamo a realizzare questo desiderio....perché non troviamo il contesto, o perché non riusciamo ad esprimerci, o perché non riesciamo a indovinare la lunghezza d’onda dell’altro, che ci passa vicino ma sembra avere altri interessi. C’è qualcosa di paradossale nel mondo in cui viviamo: siamo inondati di messaggi, sappiamo tante cose degli altri, inviamo noi stessi tante notizie da un capo all’altro della terra.....eppure comunichiamo tanto poco di ciò che abbiamo piu’ a cuore, e con le persone che ci sono piu’ vicine. Perché ci confidiamo così poco ?

 

Perché i rapporti sentimentali fra ragazzi e ragazze sono oggigiorno così instabili? E i matrimoni, così fragili?

 

Per affrontare questi problemi, abbiamo oggi a disposizione: tecnologie sofisticate, immagini, suoni ed emozioni a non finire, vita di gruppo, razionalità, scientificità. Ma nessuna di queste cose sembra capace di darci le risposte che cerchiamo. La fredda ragione scientifica non ci dice nulla che parli al nostro cuore. L’emotività non è in grado di fondare una vita stabile. La morale del gruppo è priva di ragioni convincenti e ci spinge a pensare in un certo modo solo attraverso il condizionamento dei legami affettivi. Avvertiamo l’esigenza di un uso profondo dell’intelligenza: non della ragione che elabora dati, ma di un intus legere (intelletto!) nelle cause e nei fini della vita; di una consapevolezza di chi siamo; di una sapienza che abbracci tutti noi stessi (testa, cuore, corpo e spirito) e che ci aiuti ad avere (o per lo meno a cercare) "un centro di gravità permanente"; di una ricerca seria per esser felici non solo oggi, ma anche fra dieci anni.

 

IN OGNUNO DEI PARAGRAFI DEL TESTO CHE HAI APPENA LETTO ABBIAMO CERCATO DI METTERE A FUOCO UN ASPETTO DEL PROBLEMA.

 

PARTENDO DAGLI SPUNTI QUI FORNITI, CHIEDIAMO CONTRIBUTI CONSISTENTI:

a) NEL COMMENTO DEL CONTENUTO DI UNO O PIU’ PARAGRAFI: PUO’ TRATTARSI O DI COMUNICAZIONE DELLA PROPRIA ESPERIENZA O DI RIFLESSIONI ASTRATTE.

b) NELL’AMPLIAMENTO DEI PUNTI DI RIFLESSIONE CON LA MESSA A FUOCO DI ULTERIORI ASPETTI DEL PROBLEMA.

 

ATTENDIAMO I TUOI SUGGERIMENTI PER PREPARARE NUOVI TEMI DI DIBATTITO !

 

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