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Pio XII e l'Olocausto articolo di Oscar Sanguinetti
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Pio XII e l'Olocausto: per un giudizio storico privo di equivoci
Come già accennato, gli storici e soprattutto i media stanno puntando l'indice contro uno solo, e certo non il più importante, dei numerosi protagonisti della drammatica vicenda dell'Olocausto ebraico e sembrano non tener conto del fatto che il rapporto fra Chiesa e Olocausto va invece, come si dice con un neologismo, "contestualizzato" nel suo tempo, nella condizione concreta del mondo in guerra e deve tener conto della natura umano-divina della Chiesa.
Partendo da questo punto, se è vero che la Chiesa cattolica è la sola grande religione dotata di un unico centro di dottrina e di governo, essa non è però un potere totalitario, né un ministero, dove basta una "velina" per ottenere obbedienza. La Chiesa è invece un corpo, dotato di mille articolazioni diverse, ciascuna con la sua storia e la sua relativa autonomia. Essa, negli anni Quaranta, vive e si muove in un orizzonte largamente secolarizzato.
Se queste due premesse sono corrette, non si può non rilevare come gli storici attribuiscano a Pio XII poteri d'intervento del tutto irrealistici. È vero: nella prima metà del Novecento la Chiesa subisce un crescente irrigidimento e accentramento, soprattutto attraverso l'estensione del Codice di Diritto Canonico del 1917.
Ma ad intra il Papa non poteva imporsi immediatamente, come un capo politico, alle diverse chiese particolari. Ad extra, poi, nella sfera temporale, il Papa, nonostante il suo ancor elevato prestigio, era ormai visto solo come il leader di una delle tante comunità religiose, pur potente e diffusa. Se dal 1929 in poi il Papa potrà avvalersi del ruolo di capo di Stato, in concreto non avrà altro mezzo d'intervento in temporalibus se non l'autorità del suo ufficio e la sua statura morale. Come Papa egli però poteva influire al massimo sui cattolici dell'uno e dell'altro campo, mentre il suo ruolo di capo di Stato era ampiamente condizionato dalla natura simbolica della Città del Vaticano.
L'azione pastorale di Pio XII dovrà sempre tenere conto di equilibri delicatissimi e si muoverà sempre "sul filo d'un rasoio": una sua decisione affrettata, un suo pronunciamento meno che imparziale - di cui non era affatto certo l'effetto - poteva indisporre l'uno o l'altro dei contendenti e aumentare, per esempio, la ferocia hitleriana oppure fare perire più civili sotto i bombardamenti alleati. L'equazione, che si vorrebbe impostare, secondo cui "se il Papa avesse parlato, la persecuzione sarebbe cessata o diminuita" è semplicemente scorretta sul piano storico, perché non tiene conto che il Papa cattolico non era tutta la Chiesa e che Pio XII non era in grado di condizionare proprio nessuno, se non moralmente.
Radicalmente diverso è invece il discorso per gli avversari di Hitler. Lasciando da parte i vertici della diaspora ebraica, largamente condizionati dalla mancanza di mezzi efficaci - non esisteva ancora uno Stato ebraico e il denaro, se faceva certo gola ai nazionalsocialisti, ma non fu mai determinante per salvare più di qualche ebreo -, risulta dai fatti che i governi alleati non si sono mossi affatto febbrilmente per fermare l'Olocausto, nonostante i mezzi che potevano mettere in campo, soprattutto dopo la svolta del 1943. Certo, gli Alleati erano in guerra con la Germania nazionalsocialista e, se avessero vinto, anche il massacro si sarebbe arrestato. Ma sono sempre stati avari di ospitalità, sono sempre stati tiepidi nelle trattative - è noto il rifiuto di scambiare autocarri per il fronte russo contro ebrei - e hanno costantemente rifiutato di compiere azioni belliche specifiche in favore degli ebrei, come bombardare le vie ferroviarie di accesso ai centri di sterminio. Se si vuol "mettere i puntini sulle i", bisogna dunque cominciare da Roosevelt, da Churchill e - perché no? - da Stalin, non da Pio XII.
La coscienza della natura della tragedia che si andava consumando non è stata né immediata, né completa. Anche se è una ovvietà rilevarlo, allora non esisteva la CNN, né c'era Internet e le notizie sui massacri di ebrei che filtravano attraverso i fronti, soprattutto fino al 1943, erano poche, incontrollabili e quindi insufficienti per prendere decisioni impegnative. Sul piano delle informazioni la Chiesa era particolarmente svantaggiata. In Italia e negli altri paesi vigeva la censura di guerra, e lo Stato vaticano era ospite dell'Italia - da cui dipendeva per tutto: dalla luce elettrica, all'acqua, ai telefoni, al pane -, ossia di un paese prima alleato della Germania, e poi occupato dalla Wehrmacht. Non avendo inoltre il Vaticano una sua intelligence, probabilmente le uniche notizie che filtravano dall'esterno negli anni 1940-1945 erano i dispacci diplomatici. Le potenze alleate, viceversa, disponevano di reti di spionaggio e di sistemi d'intercettazione sofisticati, che diedero loro la notizia dei massacri fin dal 1941. Uno storico americano, Richard Breitman, osserva addirittura che i cronisti americani presenti in Germania nel tardo 1941, cioè alla vigilia dell'entrata in guerra degli USA, poterono addirittura assistere alla partenza dei primi convogli di ebrei verso l'est.
Eppure gli Alleati non si mossero prima del 1943 e non anteposero mai gli ebrei agli altri popoli. Dai dossier dei servizi segreti americani de-segretati in parte la scorsa estate sono emerse informazioni di eccezionale importanza a questo riguardo e, guarda caso tutte a favore di Pio XII.
Nonostante le difficoltà, comunque, una volta conosciuta più o meno nitidamente la tragedia dell'Olocausto, tutti nei paesi liberi, governi e privati, si sono mossi almeno per "ridurne il danno". Ma si sono mossi tardi e dovendo superare resistenze di non poco spessore, in primo luogo culturali. Solo la diplomazia e le missioni vaticane non hanno avuto remore e si sono attivate subito per soccorrere tutti i perseguitati e i sofferenti, compresi gli ebrei.
Un fatto è certo: come è emerso dalla calorosa gratitudine manifestata nel dopoguerra da numerosi esponenti dell'ebraismo, Pio XII, i suoi nunzi, i suoi vescovi, i suoi rappresentanti hanno contribuito a salvare migliaia di vite di ebrei, talora ammonendo, talora negoziando, talora nascondendo: ma con discrezione e sempre nella misura del possibile bene concreto. Quelli salvati erano tutti quelli che potevano essere salvati? Forse no: ma la perfezione esiste solo nel mondo di Utopia, mentre lo stesso interrogativo andrebbe rivolto in maniera ben più pressante e angosciosa ai veri potenti dell'epoca.
Pio XII non è rimasto in silenzio, come pure molti dei suoi confratelli nell'episcopato più direttamente provocati dal male. Nel contesto degli anni 1941-1945, però, scagliarsi contro Hitler e la sua banda di criminali neo-pagani, priva di scrupoli morali, radicalmente anti-cattolica e impadronitasi del più efficiente apparato totalitario-industriale del mondo, poteva significare scatenare una persecuzione di ancor maggiori proporzioni di quella nota - e non tutto era noto -, in primo luogo contro il popolo ebraico, come dimostra il caso olandese del 1942, di cui fu vittima santa Edith Stein, con il rischio di una sua estensione ai vertici della Chiesa stessa e alle popolazioni cristiane dell'impero nazionalsocialista, ivi comprese le chiese separate: l'intenzione dei gerarchi hitleriani di liquidare i cristiani una volta vinta la guerra trapelarono a più riprese.
Per completezza occorrerebbe prendere in considerazione altri importanti fattori che ebbero ripercussioni sulla Shoah, per esempio i rapporti fra cristianesimo ed ebraismo prima del Concilio Vaticano II, la natura nuova e totale della guerra mondiale - che ebbe un peso decisivo nel far scolorare la tragedia ebraica nella più generale catastrofe europea - e il comunismo, che una vittoria dell'URSS avrebbe fatto dilagare nel cuore dell'Europa, ma lo spazio manca.
Gli elementi che ho ricordato sono comunque sufficienti a delineare una condizione di straordinarietà assoluta, davanti alla quale è legittimo ipotizzare che Pio XII preferì mantenere un contegno al di sopra delle parti, evitando prese di posizione drastiche verso il regime nazionalsocialista, i cui effetti non erano né prevedibili né controllabili. Davanti al male, scelse di parlare ma non di gridare, perseguendo sempre e ovunque il bene possibile, non esitando peraltro, come nel 1944 a Roma, a esporre la sua stessa persona, né ad attingere al patrimonio di Pietro per proteggere chiunque ne avesse bisogno: dai piloti alleati, agli uomini politici italiani, ai senzatetto di Roma, agli ebrei del Portico d'Ottavia.
Oscar Sanguinetti
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