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Il mio Paese mi fa male di Giovanni Formicola
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Il mio Paese mi fa male.
Così si lamentava il povero Robert Brasillach, e non gliene mancavano certo valide ragioni. Prendo in prestito il suo lamento - pur senza voler comparare l'incomparabile: al poeta francese il suo Paese fece proprio male - e lo faccio mio.
Il mio Paese mi fa male.
Quando uccide decine di migliaia di bambini ogni anno "legalmente" con l'aborto di Stato, e quando vuol produrre embrioni - cioè uomini molto piccoli - per usarli come magazzini di pezzi di ricambio, ovviamente a fin di bene.
Ma anche quando ti fa credere di essere l'unico imbecille a non parlare di colui del quale almeno io non voglio parlare anche se tutti ne parlano, e quindi non lo nomino. Ma gli imbecilli sono loro.
Quando dimentica che Maradona ha tradito prima di tutto se stesso, di cui è stato il primo nemico, e che con il ministro della sanità può essere tutt'al più sponsor dell'uso di droga, perfezionando la trasformazione di tutti noi in un popolo di zombi sorridenti, inebetiti ed ottusi dalle stupefacenti miscele. Ed invece lo trasforma in un modello: la cui negatività è difficile definire adeguatamente.
Il mio Paese mi fa male, perché ancora non ha esiliato Mastella e - soprattutto - signora. Perché Pecoraro Scanio è vivo e parla - ahimè, quanto parla - in mezzo a noi. Perché Di Pietro ha ottenuto la licenza media (come fece?) e da lì iniziò tutto. Perché c'è qualcosa ch'è quasi peggio della droga: la televisione, con i suoi Maurizio Costanzo e
l'antipedagogia di un mondo scemo. Scemo come lo intese Dante - non quello dell'olio - cioè vuoto. E vuoto non perché non vi accada niente, ma perché tutto quel che vi accade - anche troppo - è privo di significato e verità.
Il mio Paese mi fa male, se predica il dovere di non credere in niente perché considera pericoloso chi invece crede in qualche cosa, trasformando il relativismo nell'unico assoluto tollerabile: ossimoro che ripete quello della tolleranza intollerante di chi distingue ancora il vero dal falso, il bene dal male.
Il mio Paese mi fa male, con la sua gente nova e' subiti guadagni che orgoglio e dismisura han generata: ma moriranno, moriranno anche loro.
Il mio Paese mi fa male, ma io non voglio far male al mio Paese, e perciò non mi adeguo.
Non ho paura delle parole. Mi chiamino pure reazionario, ma non mi piego. La spazzatura delle mutandine sfilate in diretta televisiva - ha ragione Mario Landolfi - la chiamo spazzatura, ed ogni altra porcheria del mio Paese che mi fa male, la chiamo porcheria.
Nessuna modernità potrà mai trasformare il male in bene, e se è vero che c'è sempre qualcosa che è peggio, questo non è mai un buon motivo per rassegnarsi al male.
E, se me lo consenti, signor direttore, noi non ci rassegnamo.
Giovanni Formicola
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