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17-3-2001
IN BUONA COMPAGNIA
Pagina a cura di Massimo Martinucci

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Socialisti e lavoro minorile
di Giovanni Formicola

Decine di bambini sono morti in modo atroce, in uno scenario di sfruttamento inumano del lavoro minorile che evoca quadri da prima Rivoluzione industriale. Quando l'assenza di regole e di umanità - conseguenza della "liberazione" dell'economia dalle "pastoie" della morale tradizionale, cioè cristiana, in nome della civiltà dei lumi, e della divinizzazione laica della produzione e del profitto - induceva a inchiodare letteralmente, con appositi gambaletti metallici, donne e bambini alle macchine industriali anche per dodici ore al giorno, oltre ogni limite di resistenza fisica mentale.
Nella Cina comunista si sono riproposti questi quadri, questi scenari. Bambini sfruttati e costretti a lavorare come schiavi, senza misericordia alcuna, esposti ad una morte che appare sempre di più un destino soltanto differito per chi sia avventurosamente scampato alle tecniche di pianificazione demografica, eufemismo per aborto ed infanticidio, che il comunismo cinese ha eretto a propria norma.
I bolscevichi russi sfruttarono la besprizornost, l'infanzia abbandonata dalle vittime delle prime campagne di terrore e della guerra civile, nei campi di lavoro, ma anche reclutandola a forza nella polizia politica, la nonna del KGB, la CEKA. I comunisti cinesi usano l'infanzia sopravvissuta ad aborto ed infanticidio come mano d'opera di tipo schiavistico, perpetuando quel lavoro minorile che si vuole proprio soltanto dello sfruttamento capitalistico.
Il comunismo ha sempre preteso la giustificazione, per la violenza e il totalitarismo che l'hanno ovunque caratterizzato, di aver agito per risolvere la "questione sociale", per dare al lavoro ed ai lavoratori una nuova dignità, e riscattarli dallo sfruttamento borghese, di cui il lavoro minorile è stato sempre agitato dalla propaganda socialcomunista come l'emblema. Invece dal comunismo non sono venuti mai né libertà, né diritto, e nemmeno giustizia sociale, ma solo miseria, terrore e morte: s'è pagato il "prezzo" - che già invero sembrava caro - ma non s'è avuto nulla in cambio, come il caso dei bambini cinesi ancora una volta e da ultimo dimostra.
Ma qualche tardo epigono, rifondatore o ex, post, neo comunista che sia, potrebbe di nuovo eccepire la "deviazione" - questa volta attribuibile alla mentalità "orientale" dei cinesi - dall'ideale, "umanistico" e desiderabile. Ed allora valgano le parole del "fondatore", Karl Marx, che certamente non era orientale né poteva "deviare" da se stesso, per misurare l'umanesimo comunista. Al congresso di Ginevra (1866) della I Internazionale socialista, egli fece votare una risoluzione che in un suo passaggio così suonava: "Il congresso ritiene che la tendenza dell'industria contemporanea a servirsi della collaborazione di bambini e adolescenti di entrambi i sessi nella grande impresa della produzione sociale sia una tendenza progressiva, sana e legittima. In una società razionalmente organizzata ogni bambino sopra i nove anni deve essere un lavoratore produttivo".
Altro che devianti: i comunisti cinesi sono fedelissimi alla linea in illo tempore fissata.
In realtà non si potrà capire niente del comunismo, ma soprattutto del post comunismo, se non si capisce che per esso la "questione sociale" fu solo il motore di una Rivoluzione che, come scrive Maksimov, voleva spingere l'uomo "non contro le circostanze sociali, ma contro se stesso, contro la propria natura".

Giovanni Formicola

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