Sei meno uno non sei nessuno


         Din don dan...Erano le sette quando Suor Fausta, con  passo  grave  e
pesante, passò per  i  corridoi  del collegio,  dando  la  sveglia. La donna,
ormai  non  più giovane,  nonostante avesse sulle spalle il  fardello  di una
lunga vita, camminava austera a testa alta, quasi  a simboleggiare l'antica
magnificenza del collegio.
         Il collegio, edificio che conobbe nel dopoguerra l'apice  della  sua
importanza, pareva  oggi  agli  occhi dello  spettatore, come un valoroso
soldato che, afflitto dalle  barbarie della guerra, aveva smesso di
combattere. I  corridoi del collegio in cui la donna passava, facendo
risuonare la sua voce acuta simile a quella di un  grosso corvo,  erano bui e
sporchi e portavano alle camere  dove risiedevano  le  fanciulle,  ancora
addormentate.  Senza alcuna  dolcezza  suor  Fausta spalancò  la  porta  della
camera  delle ragazze, interrompendo bruscamente i  sogni della lunga notte.
          Serenella  fu  la prima ad alzarsi  dal  letto, nonostante avesse
preferito restare ancora sotto il dolce tepore  delle  coperte.  Anche
Margherita  seguì  il  suo esempio,  mentre  Letizia  indugiò  ancora  per
qualche minuto,  tirandosi le lunghe coperte sul  viso,  quasi  a nasconderlo
dalla luce che, fioca, entrava dalla finestra ormai  spalancata.  Il  cielo
turchino  fuori,  quasi  in contrapposizione    allo    squallore    del
collegio, caratterizzava  l'atmosfera  limpida  e  lucente  di  una tipica
giornata primaverile.
          Il  sole filtrava timido tra le fronde  novelle degli  alberi, le
rondini volavano solitarie tra i  tetti dell'ancora  addormentata  Lodi.  Il
cuore  della  città iniziava a svegliarsi; le finestre si stavano aprendo sul
Corso,  dai cui bar giungeva in strada  l'odore invitante del   primo  caffè
tostato,  mentre  i  primi  ambulanti sistemavano le bancarelle al mercato.
Anche i bambini, di lì  a  poco,  nel  tiepido sole  e  dopo  una  abbondante
colazione, si sarebbero preparati per iniziare una  nuova giornata di duro
lavoro a scuola.
        Intanto al collegio le ragazze erano tutte pronte e,  come ogni
mattina, Rossella andò dalle sue vicine  di stanza.  La  giovane, avvicinatasi
alla  porta,  bussò  e disse: «Ragazze, sbrigatevi o Suor Fausta ci farà
saltare la   colazione!».  Dalla  stanza  si  levò   un   corale:
«arriviamo!». Rossella era una fanciulla molto  graziosa, di  nobile famiglia,
mandata in collegio dalla madre  che continuamente  le diceva: «Cara, devi
aggraziare  le  tue maniere,  è  così  che  la  nostra  società  vuole!».  La
ragazza,  a  cui ben poco importava appartenere  all'alta borghesia,   non
faceva  pesare   alle   sue   compagne l'importanza   del  suo  nome,  anzi,
soprattutto   nei confronti  delle  più  povere,  era  sempre  disponibile,
mostrando così una grande sensibilità d'animo.
          Incontratesi   poi  alla  mensa,   le   ragazze consumarono le poche
cibarie della colazione e, presi gli zaini  nelle loro camere, si recarono a
scuola. Le nostre protagoniste  erano alunne presso l'Istituto  Magistrale, il
quale si trovava in via Carducci, a pochi minuti  dal collegio.
        Il Maffeo Vegio, così si chiamava l'Istituto, era una   vecchia
costruzione,  ormai  corrosa  dal   flusso impetuoso  degli anni. Alla persona
che vi fosse  entrata per  la  prima volta, il Maffeo Vegio sarebbe
certamente sembrato  un  museo,  dato  il grande  numero  di  effigi dedicate
alla  poetessa  Ada  Negri,  che,  nell'ultimo decennio del secolo scorso, si
diplomò presso questa sede con un alto profitto.
         Le  ignare fanciulle non sapevano ancora  quanto questa  donna,  di
cui  vedevano ogni  giorno  il  volto scolpito   in   un  marmo  dai  colori
freddi,   avrebbe rappresentato  in  un futuro assai  lontano  per  loro  e
quanta fatica avrebbe comportato lo studiare a scuola  le sue poesie e le sue
novelle.
         Salite le scale che portavano al secondo  piano, le  ragazze
entrarono  in classe dove  incominciarono  a discorrere  sugli  avvenimenti
della  passata  giornata. Suonata  la campana, che dava inizio alle lezioni,
entrò in   classe   la   professoressa  di   latino,   che   se all'apparenza
poteva  sembrare  una  donna  innocua,  in verità era molto severa e riusciva
ad infondere su alcune ragazze, soprattutto le più fragili, una terribile
paura. Nonostante   l'opinione  generale   della   classe,   nel guardarla
Margherita  non  pensava  ad  altro   che   ad assomigliarle, a divenire un
giorno quella che  oggi  era per  lei  un modello di sensibilità, di
comprensione,  di vita  vissuta intensamente, di donna in grado di  provare
tenerissime emozioni.
          Com'era  dolce  con i capelli  sciolti  che  le cadevano  sinuosi
sulle  spalle:  assomigliava  ad   una bambina nel fiore della sua giovinezza,
sebbene oggi ella sfiorasse i cinquant'anni.
         Anche Rossella, che per molti aspetti era simile a  Margherita,  non
la vedeva come una professoressa,  ma come  una  donna molto simile a lei e
quando le  compagne non  comprendevano  il carattere sensibile  della  donna,
spesso  mascherato dalla collera, Rossella la  difendeva, poiché all'interno
del suo cuore, capiva.
         Il  suono  della  campanella,  che  indicava  il termine  della
prima ora, riportò le  fanciulle  con  «i piedi  per  terra».  La giornata,
appena  cominciata,  si presentava   piuttosto  pesante.   Nozioni   e
concetti avrebbero accompagnato lo scandire dei minuti e delle ore che,
interminabili, sembravano non finire mai.
         Finalmente suonò l'ultima ora, e le studentesse, simili  ad uno
sciame d'api, si riversarono per le strade cittadine, impazienti di fare
ritorno a casa.
          Fatto  ritorno  al  collegio,  le  ragazze   si recarono, come al
solito affannatissime, alla mensa, dove non  si  può  certo  dire che ciò  che
fu  loro  servito contribuì  a  placare la loro fame. Dopo  il  pranzo,  le
ragazze  si  riunirono nel giardino attiguo all'edificio, per  trascorrere  i
pochi minuti di svago  che  le  suore concedevano loro prima di cominciare il
lungo  pomeriggio di  studi e per scambiarsi quei piccoli pettegolezzi  che
sono il pane delle adolescenti.
         Gaia, però, non amava le maldicenze e nemmeno le voleva  sentire,
perché aveva un animo buono e gentile  e pensava  che  nessuno avesse il
diritto di giudicare  una persona  da  come  essa  sembrava  comportarsi.
Pertanto preferiva  raccontare alle amiche i  piacevoli  pomeriggi passati in
compagnia dell'amico Stefano, un ragazzo a cui la giovane sentiva di volere
molto bene.
         Nel  giardino fiorito e sotto la frescura  degli imponenti   alberi,
tutto  sembrava  più   gioioso;   le fanciulle  erano  solite  mettere  in
comune  i   propri problemi personali, per renderne uno cosa di tutti.
          Non  so  quale  strano  sentimento  legasse  le fanciulle che
sorridenti parlavano tra loro, ma  è  certo che non era una semplice amicizia
o l'infatuazione di  un momento,  ma  qualcosa  di  più  profondo  e
misterioso, qualcosa  di cui, solo in seguito, le fanciulle sarebbero venute
a conoscenza. La limpidezza della giornata  e  il sole che filtrava tra gli
alberi rifletteva la loro ombra sui  muri dell'antico collegio e rendeva la
conversazione delle  ragazze  più  piacevole. Le rose  e  i  fiori  del
giardino, emanavano un lieve profumo; la soffice erba del prato  si  riempiva
qua e là di ogni  sorta  di  colori. Mentre  le ragazze conversavano tra loro,
Iris non poteva far  a meno di correre per il giardino, di giocare con  i
fiori  e gli insetti, perché fra lei e la natura  vi  era un'intensa
relazione, che nessuno, forse nemmeno lei, era in grado di comprendere. Iris
era una fanciulla piuttosto timida  e  preferiva  stare sola  in  camera  a
leggere, piuttosto  che stare con le altre a parlare di  cose  che lei
considerava inutili. Alla giovane piaceva invece  la natura,  in tutti i suoi
vari aspetti: il tramontare  del sole  dietro il campanile della città, lo
scorrere  lieve del  fiume  sotto  il ponte, la corsa  delle  nuvole  nel
cielo...
         Le  ragazze si accorsero, ad un tratto, di dover tornare  nel
collegio perché era giunta l'ora di studiare e   i   minuti  loro  concessi
erano  trascorsi   troppo velocemente. Con poca voglia le sei amiche andarono
nelle loro stanze a prendere i libri su cui lavorarono tutto il pomeriggio,
fino  all'ora in cui,  finalmente,  poterono uscire dal collegio per
passeggiare per le vie di Lodi.
         Più veloci della luce, le ragazze si recarono in Corso  Roma,  per
conciliare  il  piacere  di  una  sana passeggiata  a  quello di farsi
guardare dai  ragazzi  ai tavolini  dei bar. Fu allora che Margherita  chiese
alle amiche:  «Ragazze, facciamoci un gelato,  io  ho  fame!». Come  al solito
Margherita sentiva la necessità di mandar giù  qualche cosa, più per gola,
come dicevano le  altre, che non per fame, come diceva lei.
         Margherita:  due occhi scuri e  dolci,  un  viso ridente,  simpatica
e allegra. Dietro  tutto  questo  un animo  sensibile  che  non  si rivelava
agli  altri.  Si sentiva  sola:  le idee, i sentimenti, la  sua  vita,  le
sembravano tanto diverse da quelle delle altre...non era, però,  del tutto
vero. Le altre forse no, ma Rossella  la capiva,  capiva  quel modello di vita
a  cui  Margherita aspirava,  capiva perché anche lei, prima di quegli  anni
di  tormento psicologico, era stata uguale alla compagna. Nonostante ciò
Margherita amava la vita ed era capace  di farla amare a tutti.
      Giunte  le  sei,  le  ragazze  dovettero  ritornare puntuali al
collegio, per non ricevere da suor Fausta una lunga serie di note di demerito.
Dopo una cena a base  di pasta  e fagioli e qualche pezzo di formaggio, le
giovani si  ritirarono come consuetudine nella camera di Letizia, dove
questa,  una volta chiuse le persiane,  era  solita raccontare  storie  di
terrore alla  luce  fioca  di  una vecchia lampada.
     I  racconti  che quotidianamente inventava  Letizia, erano  pieni  di
suspence e di brivido, ed erano  l'unica cosa che potesse tener sveglie le
giovani, in quelle sere così  monotone. Se la nostra storia fosse ambientata
nel Medioevo,  Letizia sarebbe certamente una  cantastorie  o una  buffona  di
corte, e infatti erano ormai  conosciuti tra  le giovani il suo spiccato senso
dell'umorismo e  la risata  che la caratterizzava. Letizia aveva un carattere
esuberante  e il divertimento era per lei il  sale  della vita.  Per la
fanciulla il collegio era una vera prigione e  lei,  sempre  in cerca
dell'avventura,  non  concepiva l'idea  di  vivere dentro quattro mura, senza
nemmeno  un briciolo  di  libertà.  Letizia si  trovava  in  collegio perché
i  suoi genitori ve l'avevano mandata in  seguito alla  bocciatura al
ginnasio. Ma alla giovane interessava ben poco il trascorrere intere giornate
sui libri: la sua vera  passione  era  il disegno, le forme  sinuose  delle
figure,  i  colori caldi e i ritratti delle  persone  che ella vedeva ogni
giorno per le strade di Lodi.
     Le  ore,  in quel modo, trascorrevano velocemente  e non  si  può  certo
dire che alle ragazze venisse  sonno, anzi,  nel  punto  cruciale  della
storia,  un  urlo  di divertito terrore turbò il sonno alquanto leggero di
suor Fausta,  che  subito, aperta la porta della  sua  stanza, iniziò  a
sbraitare senza sosta, come non si direbbe  che una suora possa fare.
      La  prima ad uscire, quella notte, dalla stanza  fu Iris, subito dopo
seguita da Gaia e Rossella, che avevano aspettato  a raggiungere l'amica
perché non riuscivano  a frenare le risate provocate dalle ridicole grida di
suor Fausta.  Letizia e le sue compagne di stanza,  datesi  la buona  notte,
spensero la luce. La notte passò tranquilla e  silenziosa e così giunse il
giorno, accompagnato dallo splendore   del   sole.  Al  risveglio  le
ragazze   si prepararono per andare a trascorrere l'ultimo  giorno  di scuola,
prima di un atteso fine settimana.
     Serenella  era  sempre  la  solita:  per  colpa  sua Letizia  e
Margherita venivano sempre rimproverate  dalla madre  superiora,  per  i  loro
continui  ritardi;  ella infatti  era  solita passare interi minuti  davanti
allo specchio,  scegliere  con cura gli  abiti  da  indossare, adoperarsi  ore
ed ore per rendere più gradevole  il  suo aspetto.  Serenella era comunque una
ragazza  allegra  e dinamica,   che,  secondo  quanto  ricordavano   le   sue
compagne, non aveva mai un velo di tristezza sul suo viso così vivace e
spontaneo.
     Alla  mensa  il  latte era già stato  versato  nelle tazze quando le sei
ragazze si sedettero al tavolo mentre suor  Fausta, con sguardo attento, le
osservava. A questo punto, Rossella fece alle amiche una bella sorpresa: «Che
ne  dite se stasera, invece della solita chiacchierata al bar, si facesse una
festa a casa mia? I miei genitori non ci sono, ed avremo la casa tutta per
noi».
     E'  inutile  dire  quanto  questa  notizia  rendesse allegre le nostre
amiche che, pur di sfidare la monotonia delle ore, avrebbero fatto qualunque
cosa.
      I   preparativi   per  la  festa  cominciarono   al pomeriggio  stesso.
Con  cura fu  scelta  la  musica  da ascoltare,  gli abiti da indossare e gli
addobbi  per  la casa.  Sarebbe  stata  una festa  grandiosa!  Le  ragazze
occuparono  per circa due ore il telefono  del  collegio, certo non senza il
disappunto di suor Fausta - che vedeva sempre più alta la bolletta telefonica
- per invitare gli amici  più  intimi alla festa che si preannunciava  molto
divertente.
      Nel   collegio  aleggiava  un'aria   palpabile   di eccitazione e di
gioia: tutte erano ansiose di entrare in quella casa che la gente comune
definiva una reggia dalle grandi arcate con giardini meravigliosi.
     Per  rendere le cose ancora più eccitanti, Rossella, da  brava  padrona
di casa, telefonò al suo  autista  per farsi  venire  a  prendere  in macchina
direttamente  al collegio.
     Giunte  le sette, le ragazze erano tutte  pronte  in sfavillanti  vestiti
da sera, dai vivaci  colori  e  dai leggiadri tessuti primaverili. Una alla
volta le  ragazze salutarono  suor  Fausta,  dandole  appuntamento  per  il
lunedì successivo.
     Dopo circa un'ora le ragazze fecero il loro ingresso nella villa, immersa
nel verde e nella tranquillità della campagna lodigiana.
     La  magnificenza  e la ricchezza  dell'edificio  non poté  non
impressionare le giovani, che solo raramente  o in  sogno avevano immaginato
tanta meraviglia. Le  arcate del porticato erano simili agli impettiti
maggiordomi che avevano il compito di dare il benvenuto agli invitati; le
imponenti scalinate erano perfette per fare un'entrata di gran  classe. Se
solamente l'aspetto esteriore della casa stupì  a  tal punto le ingenue
ragazze, immaginate  quale stupore le colpì nell'entrare nella casa.
     L'atrio  della villa era lucente come  non  mai.  Il marmo della
pavimentazione era un vero splendore di  luci e  riflessi policromi; i quadri
alle pareti erano vivaci, ma  nello  stesso tempo rigidi e austeri nelle forme
dei ritratti   di   famiglia.   I  lampadari   di   cristallo diffondevano
per  la  stanza una luce  molto  soffice  e tranquilla;  il mobilio era pieno
di intarsi  e  preziose rifiniture.
     Alle nove la casa era già colma di gente. Giovani in eleganti  abiti  da
sera riempivano il salone  principale della  villa, danzando alternativamente
tra dolci melodie e  ritmate  musiche moderne. Fiumi di  bevande,  tra  cui
forti  alcolici, riempirono i bicchieri dei  ragazzi  per tutta la durata
della festa.
     E'  inutile  dire quanto le ragazze  si  divertirono quella  sera,
passando di braccia in braccia e  cambiando continuamente  cavaliere per
accontentare  tutti  i  loro pretendenti.
     Gaia  sembrava  essere  la più  divertita  di  tutte dall'allegria  che
aleggiava nel salone  della  casa  di Rossella.  Ovviamente,  come  tutti,  la
giovane   aveva «alzato un po' troppo il gomito» e, solitaria, girava tra gli
invitati chiedendo a qualche baldo giovane una corsa in auto prima dell'arrivo
a casa.
     Fatta  conoscenza  con un allettante  ragazzo,  Gaia salutò le amiche e
si recò nel giardino di casa dove  una splendida  Mercedes aspettava i due. I
ragazzi,  un  po' brilli, salirono sull'auto e si lanciarono freneticamente
sulla  strada buia e deserta. Il contachilometri sfiorava all'incirca  i
duecento  chilometri  orari,  quando   la macchina,   sfrecciando  impetuosa,
andò  a  schiantarsi contro  lo  spartitraffico e finì fuori  strada,  facendo
perdere i sensi ai due giovani.
     Da questo momento sarebbe cominciata la lunga agonia della  piccola Gaia.
Di lì a poco, infatti, ella  sarebbe stata   trasportata  d'urgenza
all'ospedale,  dove   una prognosi  riservata  sanciva  l'entrata  in  coma
della ragazza,  come  conseguenza di un trauma  cranico  subito nell'auto del
giovane scellerato, che per il resto  della sua vita avrebbe avuto una tale
colpa sulla coscienza.
     Nel frattempo, nel salone della casa di Rossella, la festa  stava  ormai
terminando,  quando  una  telefonata improvvisa turbò enormemente la felicità
che ancora  viva aleggiava  nell'aria. Una voce sconosciuta spiegava  alle
cinque  amiche che la povera Gaia era rimasta vittima  di un  brutale
incidente e che si richiedeva, al più presto, la    loro   presenza
all'ospedale,   quali   testimoni dell'accaduto.
     Chiamato  l'autista, Rossella e  le  sue  amiche  si precipitarono
all'ospedale di Lodi, dove  i  genitori  e parenti   di   Gaia   aspettavano
impazienti   ulteriori informazioni  sulle condizioni della giovane.  Le
cinque ragazze  si  sedettero nella sala d'attesa,  cercando  di farsi forza
l'una con l'altra per superare il momento  di grande  sconforto. Com'erano
tristi i volti delle  nostre amiche:  avevano gli occhi gonfi di lacrime e lo
sguardo perso  nel  vuoto! Interiormente si sentivano private  di qualcosa che
era quasi una parte di loro stesse.
     Come  spesso  capita  in  questi  momenti,  il  modo migliore  per
superare l'angosciante attesa e cercare  di aiutare  spiritualmente la persona
cara che sta  lottando con la morte, è proprio quello di ricordare i momenti
più felici  passati in sua compagnia. Ed è questo quello  che fecero  le
nostre amiche. Riunite in cerchio, le  ragazze cominciarono  a  ricordare  i
momenti  più   lieti   che potessero  in  qualche modo riportare alla  mente
quella dolce fanciulla a cui sentivano di volere particolarmente bene,   e  la
cui  perdita  avrebbe  segnato  un   danno irreparabile.  E  pensarono allora
a come  sarebbe  stata triste  la loro vita senza di lei, che attraverso
piccoli gesti  sapeva regalare emozioni preziose; ripensarono  ai momenti
difficili  passati  insieme  e  sempre  insieme superati;  alle grandi risate
ai tavolini di un  bar;  ai pomeriggi passati studiando.
     Fu  Margherita la prima a parlare, forse perché  più delle  altre
sentiva  il bisogno  di  esprimere  i  suoi sentimenti,  o  forse perché più
delle altre  si  sentiva forte  e  coraggiosa. Perché Gaia sarebbe dovuta
morire? Perché   sono  sempre  le  persone  migliori  a   doverci lasciare?
Queste erano le domande a cui le nostre amiche, nel loro intimo, tentavano di
dare una risposta.
     Passarono i giorni e con loro le notti e sempre  più deboli  erano  le
speranze che Gaia  potesse  tornare  a sorridere.  Finché  una notte, come un
raggio  di  luce, arrivò  la  notizia che le condizioni  della  ragazza  si
erano  finalmente stabilizzate e che di lì a pochi giorni sarebbe stata
dimessa dall'ospedale. Fu grande ovviamente la gioia che provarono in quel
momento le cinque ragazze, come se si fossero svegliate da un incubo che da
tempo le angustiava,  o  si fossero liberate da  un  fardello  che gravava
sulla coscienza.
      E  solo  ora  che  siamo  cresciute  e  soprattutto maturate,  plasmate
dagli anni e dalle  esperienze,  solo ora  capiamo come quell'episodio
contribuì a  formare  la nostra  personalità di giovani adolescenti. Solo ora
che siamo  qui  riunite  davanti al caminetto,  mentre  fuori dalla  stanza
il  mondo continua la sua frenetica  corsa verso  il  futuro  e il progresso,
qui, riunite  come  da tempo  non lo eravamo più, siamo felici di ammettere
che l'amicizia è un bene prezioso di cui nessuno può  fare  a meno  e che non
si può comperare neanche con tutto  l'oro del  mondo,  poiché  nasce in te  e
sempre  in  te  deve esistere.

(Elisa - Serenella) (Stefania - Letizia) (Chiara D. Gaia) (Elena - Margherita) (Marina - Iris) (Annalisa - Rossella)