Il giorno del trasloco, il clima familiare era molto diverso da
quello abituale; mia madre era molto agitata e noi, io e mio
padre, pur non essendo da meno, cercavamo di tranquillizzarla.
La casa, ormai vuota e cupa, mi dava un senso di tristezza e
tutti i ricordi della vita trascorsa mi riaffioravano alla mente
ed i miei pensieri. Ero afflitta perchè stavo per lasciare il
mio paese nativo, in cui avevo trascorso un'infanzia felice. Con
le lacrime agli occhi mi incamminai sulla stradina che conduceva
alla piccola chiesetta dove, come solitamente usavo fare, mi
immersi in me stessa per meditare.
Prima di tornare a casa mi sedetti sulla scalinata della chiesa,
incantata ad osservare il mio paesello. Era il mio regno. Per me
io mondo consisteva in quella pianura infinita, sempre verde, con
sporadiche casette, intersecata da fossi e canali, da quel cielo
sempre limpido e quell'aria pura, tipica di un paese di campagna.
Le condizioni fisiche e psicologiche di mia madre non erano
ottime, il nuovo lavoro di mio padre era poco produttivo e vano
risultò il tentativo di cercare fortuna in città, visto che la
campagna non dava più da vivere.
Non potendo far granchè per aiutare mia madre, nel mio piccolo
cercavo di non darle ulteriori preoccupazioni, impegnandomi a
scuola e facendo qualche lavoretto qua e là.
Il rapporto coi miei compagni di classe fortunatamente era buono
perchè loro erano i miei unici amici, senza i quali mi sarei
trovata persa in quella città fatta solo di mura.
Un pomeriggio mentre mi distraevo sull'altalena dell'unico
parchetto vicino a casa mi si avvicinò una ragazzina
dall'aspetto gioviale, non molto più alta di me ma con un viso
da bambina e lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle.
«Ciao, come ti chiami?» mi domandò avvicinandosi cautamente.
«Martina» le risposi sopprapensiero, immersa nei miei ricordi.
«Piacere, io mi chiamo Monica, vorresti venire a fare un giro
con me?» «Si, con piacere. Sai, sono sempre da sola al
pomeriggio e ho proprio bisogno di qualche amico.»
Così ci incamminammo senza meta, parlando del più e del meno.
Ero felice, ma non sapevo che da quel giorno la mia vita sarebbe
cambiata. Più i giorni passavano, più mi rendevo conto che in
realtà Monica non era quella docile e gioviale ragazzina che
avevo conosciuto due mesi prima. Notavo nel suo comportamento un
cambiamento quasi giornaliero e non riuscivo a capirne il motivo.
Ma tutto mi fu chiaro dal giorno in cui, ritrovandoci al solito
parchetto, vedemmo tra l'erba del prato una siringa. Monica non
esitò ad iniziare il discorso, facendomi capire che non era
così male drogarsi e che aveva iniziato da poco.
Rimasi stupefatta, perchè avevo sempre considerato il drogato
una persona totalmente diversa da Monica. Frequentandola da tanto
tempo pensavo di conoscerla bene. Mi ero fatta illudere troppo da
quella piccola ragazzina divenuta per me quasi una sorella.
Ma io per lei cosa ero? Un'amica o una cavia? La mia mente era
confusa e affollata da idee. Non sapevo più a chi rivolgermi per
avere qualche consiglio su come comportarmi con Monica. Con voce
fioca la salutai e tornai a casa che non ero più me stessa.
Cercai rifugio e conforto in mia madre, senza trovarlo, poichè
la sua crisi depressiva si era aggravata.
Nei giorni successivi vidi nuovamente Monica, ma la evitai: così
mi trovai ancora una volta sola e questo fece sorgere in me un
atteggiamento molto scontroso, sia con i miei compagni, sia con
la mia famiglia.
Tutti i miei voti a scuola calarono paurosamente.
La suola, non l'avevo mai amata. Nessun rapporto esisteva tra me
e il sistematico ingranaggio scolastico. Mi sforzavo di
comprendere solo perchè dovevo non potendo ribellarmi, ma, in
fondo, non desideravo che di evadere. Volevo studiare unicamente
perchè non intendevo né logorarmi lavorando la terra né
divenire una specie di automa nelle fabbriche,
come mio padre.
Adesso, anche se mi sforzavo di studiare, non riuscivo, perchè
tutti i miei pensieri si incentravano su Monica e sul colloquio
che avevamo avuto qualche giorno prima. Quando aprivo i libri, lo
sguardo si paralizzava e rimaneva fisso, perso nel vuoto della
stanza; la mia mente vagava spersa tra pensieri irreali.
E ripensando a ciò che mi aveva detto Monica, nacque in me un
forte desiderio di provare quella «magica polverina bianca». In
coscienza, sapevo però che con questa non avrei risolto tutti i
miei problemi, anzi forse li avrei raddoppiati... così decisi di
stare alla larga da Monica
e dai suoi amici.
Ad interrompere i miei pensieri fu l'urlo che mia madre lanciò
dalla sua camera in preda alla disperazione in seguito alla sua
ennesima crisi nervosa che l'aveva ridotta in fin di vita.
Spaventata, decisi di chiamare urgentemente l'ambulanza, che
arrivò tempestivamente a casa nostra.
Mia madre fu ricoverata di urgenza nel reparto di neurologia,
dove per qualche giorno fu continuamente assistita dalle cure dei
medici. Mi presi la responsabilità di essere presente in quei
giorni 24 ore su 24, poichè mio padre era nell'impossibilità di
assisterla assiduamente a causa del suo lavoro. Abbandonai per un
certo periodo la scuola, e a malincuore tutti gli altri miei
impegni quotidiani, perchè dovevo svolgere quei piccoli
lavoretti che mi facevano sentire utile alla famiglia.
Dopo una settimana ripresi la scuola, perchè la mia assistenza
pomeridiana e serale non era più necessaria. Comunque
quotidianamente facevo visita a mia madre cerrcando di apparirle
felice, nonostante il mio conflitto interiore.
In mezzo a tanti camici bianchi, notai un ragazzo dalla bellezza
angelica: alto, biondo, dalla corporatura esile e dagli occhi
azzurro cielo. Fu un colpo di fulmine! Questo giovane, che
lavorava come infermiere in ospedale, ebbi modo di conoscerlo il
pomeriggio seguente, quando andai a chiedergli un bicchiere
d'acqua.
Lui me lo porse gentilmente e mi chiese: «Come ti chiami?».
«Martina» gli risposi arrossendo.
«E tu?».
«Alessandro, bel nome vero?».
«Si, si» risposi timidamente.
Intanto il mio cuore palpitava a tal punto da sentirmelo in gola
e mi resi conto di provare un sentimento profondo mai sentito
prima: l'amore.
Io niente, nulla ancora sapevo dell'amore e prima di allora ne
ridevo e con un tantino di apprensione in fondo in fondo: così
come chi ha timore del nuoto e pur sappia che un giorno o l'altro
dovrà nuotare.
Il giorno che Alessandro mi invitò ad uscire con lui, ne fui
subito illuminata: lo accolsi con un interno grido di trionfo.
Quella sera e i giorni successivi furono indimenticabili, infatti
tutti i giorni vedevo Alessandro che si prendeva amorosamente
cura di mia madre e poi alla sera usciva con me.
Purtroppo questa mia felicità non durò molto: infatti mia madre
peggiorò notevolmente e nonostante le fatiche dei medici e degli
infermieri, morì.
Ne rimasi sconvolta: fu come se, tutto a un tratto, mi fosse
piombato un macigno addosso; mia madre era l'unica persona a cui
tenevo veramente e Dio me l'aveva portata via proprio quando ne
avevo più bisogno. Fortunatamente con me c'era Alessandro che,
con il suo conforto e il suo amore, alleviò questo mio immenso
dolore.
Al funerale, pochi giorni dopo, vidi mio padre, anche lui
sconvolto per l'improvvisa morte di mia madre: mi chiamò,
parlammo un pò e mi diede uno starno bracciale dicendo: «Tieni,
Martina, questo era il braccile preferito da tua madre.
Custodiscilo gelosamente e portalo sempre con te, così lo
spirito della mamma veglierà su di te in ogni momento. Purtroppo
io sono molto impegnato con il mio lavoro, perciò per adesso
dovrai arrangiarti, sei grande ormai! E io ho molta fiducia in
te: comunque, se avrai bisogno, dammi un colpo di telefono. Se
riuscirò ad aggiustarmi col lavoro ritorneremo insieme, tu ed
io, e formeremo ancora una famiglia. Ora vai e sii felice.»Me ne
andai via con le lacrime agli occhi e con il bracciale stretto al
cuore. Corsi incontro ad Alessandro che mi stava aspetando: «Ho
sentito tutto, mi disse, non ti preoccupare, verrai da me ad
abitare per un pò.»
Così andai ad abitare da Alessandro, in un appartamento al primo
piano di un palazzo di periferia, piuttosto vicino alla mia
vecchia casa.
Appena entrata notai che l'abitazione era abbastanza
confortevole: c'erano una cucina, un ampio salotto, due bagni, un
ripostiglio e due camere da letto.
Sistemai le mie poche cose nella stanza degli ospiti e, siccome
era ora di cena, decisi di preparare qualcosa: cucinai degli
spaghetti al sugo e due uova al tegamino, le uniche cose che
avevo imparato a cucinare. Mentre stavamo mangiando, chiesi ad
Alessandro: «Ma come mai vivi tutto solo?».
Lui cominciò la sua storia:«Fino a pochi anni fa, vivevo qui
con la mia famiglia, mio padre, mia madre e mia sorella Silvia.
Poi è successa una disgrazia: dovevamo partire per le consuete
vacanze estive, ma io mi ero ammalato e i miei non volevano
saperne di aspettarmi. Così loro partirono e mi dissero che,
appena ristabilito, avrei dovuto prendere il primo pullman che
portava a quella destinazione e raggiungerli.
Ci fu però un terribile tamponamento e i miei vi rimasero
coinvolti: la sera stessa sentii questa notizia al telegiornale e
ne fui scoinvolto.
Dopo alcune ore mi informarono che mio padre e mia madre erano
morti sul colpo, mentre mia sorella era morta durante il
trasporto all'ospedale.
Al mio dolore si aggiunsero presto altri problemi: innanzi tutto
dovevo pagare l'affitto dell'appartamento.
Non avevo soldi e dovetti abbandonare gli studi per cercarmi un
lavoro: all'inizio facevo un po' quelllo che mi capitava, poi
trovai lavoro come infermiere.» Io, con le lacrime agli occhi,
non dissi niente ma lo abbracciai calorosamente e mi accorsi che
ormai era l'unica persona che amavo veramente e che dovevamo
proteggerci a vicenda.
Un pomeriggio, tornata acasa da scuola, Alessandro mi fece una
proposta interessante:«Martina, che ne diresti di venire con me
ad una festa organizzata dai miei amici? Sai, è gente simpatica,
non ti devi preoccupare!».
Io, un po' titubante, risposi:«Non li conosco neppure, non mi
troverò a mio agio!».
Ma la sera, vinti tutti i timori, andai. Entrata nel locale fui
avvolta da un fascio di luci accecanti e da una musica
assordante. Si avvicinarono immediatamente tre ragazzi:« Chi è
questa bella ragazzina?» chiese un ragazzo coi capelli lunghi e
incolti, ma con due magnifici occhi verdi, che mi diede un
pizzicotto sulla guancia.
«Lasciatela stare è un amia amica.»
«Hai portato la roba?» chise un altro ragazzo dallo strano
aspetto:
Alessandro si sentì imbarazzato e si accorse che lo stavo
fissando con grande stupore.
«Ne parleremo dopo, d'accordo?» e così dicendo ci
allontanammo.
La festa era ormai nel pieno svolgimento, ma io, ripensando allo
incontro di prima, preferii sedermi su una poltrona a bere
qualcosa di fresco.
Tutto a un tratto vidi che ad Alessandro si era avvicinato una
ragazza dall'aspetto a me familiare e riconobbi Monica.
Istintivamente mi alzai per raggiungerla ma, ad un tratto, fui
fermata da una forza sconosciuta che mi diceva di non farlo. Mi
nascosi dietro ad un pilastro per spiarli e vidi che Alessandro
passava a Monica una strana bustina e da quel momento mi fu tutto
tremendamente chiaro. Come aveva potuto Alessandro ingannarmi
fino ad ora? Ero stata forse troppo ingenua per non capire che
fosse anche lui coinvolto in quel brutto «giro» della Droga?
Alzando lo sguardo, i miei occhi si scontrarono con quelli di
Alessandro e presa dal panico lasciai di corsa la sala. Lui
subito si precipitò all'uscita cercando di fermarmi e mi
disse:«Hai capito tutto, vero? Mi dispiace, avrei dovuto dirtelo
prima, scusami!» Abbracciandomi aggiunse:«Sai, lo stipendio di
un infermiere non mi poteva certo bastare per vivere ed allora ho
cominciato a vendere droga leggera...». Ed io, ancora
lacrimante:«Si, l'ho subito immaginato, poichè ho visto
avvicinarsi a te Monica e sai...la conosco! Eravamo ami- che, ma
l'ho lasciata propio per questo motivo e credo che ora succeda
anche a noi. Alessandro, è venuto il momento di lasciarci, non
vorrei anch'io cadere in questo brutto vizio!» «Ma dove andrai
a vivere?» «Non preoccuparti, saprò cavarmela, l'importante è
che tra noi due tutto finisca, e sarà merglio per entrambi.»
Corsi via e, ad un certo punto,roicordai le parole che mio padre
mi aveva detto al funerale. Così, decisi di tornare a casa, per
riprendere la vita di prima.
(Paola) (Claudia G.) (Chiara O.) (Alessia)