La lunga e contorta catena di avvenimenti e mutamenti
che caratterizza la seconda metà del ’900 sul piano scientifico
ed ideologico ha comportato, elemento più volte deprecato, uno
spiccato senso di autonomia, se non di vero affrancamento, dalla tradizione,
considerata sempre più inutile nel complesso di una società
che tra incredibili conquiste scientifiche e progressi prima inimmaginabili,
più volte si è lasciata andare al mito ingannevole di
un presente autosufficiente, ormai definito e privo di debiti verso
il passato.
Contro generazioni più
fresche che si sono formate e tuttora si formano con una conoscenza
del passato ed un rispetto verso di esso limitati a confronto delle
generazioni culturalmente formatesi prima della fatidica data del ’68,
si alza spesso la voce di quanti, denunciando l’insensibilità
e la scarsa conoscenza della storia dei padri, ne vogliono riproporre,
talvolta con irriducibile piglio, l’utilità e l’attualità.
E quello che dovrebbe essere uno stimolo ad una comprensione viva ed
intelligente della storia si risolve in atteggiamenti reazionari che
assumono spesso come slogan espressioni appartenenti a climi ed ambienti
totalmente superati: "la storia si ripete", "la storia è maestra
di vita", "il passato è sempre attuale", "il mondo è stato
sempre quello" etc.
A questa tendenza che mira
a riproporre lo studio del passato come modello da seguire si è
contrapposta, segnatamente nell’ultimo ventennio, una tendenza storiografica
che ha abbattuto la retorica dell’eredità si e posta di
fronte alla storia, non con la riverenza e l’ossequio, ma con i mezzi
della critica, liberi da ogni fascinazione proveniente dal tempo passato,
talvolta anche dissacrando. Sarebbe un atto di presunzione tentare
di sintetizzare lo spirito innovativo, sorretto da rigorosa disciplina
metodologica, che caratterizza una buona parte della storiografia italiana
degli ultimi trent’anni, ma vorrei qui richiamare soltanto quanto lo
storico Aldo Schiavone ha scritto nella prefazione della Storia di
Roma di Einaudi che in questi tempi si va pubblicando e che rappresenta
l’immagine vivente dei tempi nuovi della storiografia italiana:
"il passato non è tracciato omogeneo che aiuti nel suo insieme
a capire il presente: e non tutto il presente spiega e chiarisce l’intero
passato che lo ha prodotto".
Se ci rivolgiamo ad osservare
la storiografia su Capri, non si può non ravvisare un cronico
e, spesso voluto, attardamento dei metodi, un gap enorme rispetto
ai progressi ed ai metodi in atto nel panorama mondiale e, segnatamente,
italiano.
Innanzitutto l’uso delle
fonti: da premettere che le osservazioni di chi scrive sono relative
alla storia antica, ma non si esclude che diverse competenze potrebbero
verificare altrettanto in altri ambiti cronologici. Nell’uso delle fonti
sulla storia antica dell’isola si verifica una diffusa tendenza ad assumere
come insindacabili autorità gli studi che vanno dal Settecento
alla metà del nostro secolo, con un’inevitabile refrattarietà
verso le fonti primarie. In altri termini agli storici antichi, oggi
sempre più in edizione economica, si preferiscono gli studi sette-ottocenteschi
e/o locali sicuramente più appetiti dagli interessi bibliografici
antiquari. I guai e le distorsioni avvengono quando, nel voler contribuire
alla conoscenza della storia dell’isola, si richiamano contenuti di
testi passati che dovrebbero oggigiorno ricevere solo la cura e l’interesse
della loro conservazione materiale e null’altro: sarebbe come voler
studiare lo sviluppo economico dell’antica Ercolano sulla base della
visione neo-classica di Winckelmann! Ogni epoca scrive e riscrive la
sua storia secondo i mezzi metodologici che possiede ed i propri schemi
ideologici: Capri, salvo qualche rara eccezione, non è per niente
oggetto di un’analisi storica al passo coi tempi. Ogni indagine parte
sempre dall’autorità della tradizione erudita e positivistica
dei clue secoli scorsi e puntualmente si va a leggere la storia dell’isola
con gli stessi occhiali con cui l’hanno vista dal Settecento
fino alla metà del nostro secolo.
Studiare la storia di Capri
oggi più che mai significa scavalcare, liberarsi dal peso di
una visione erudito-antiquaria, frutto normale e rispettabile di epoche
passate ma oggi insufficiente e spesso ostacolante una corretta e intelligente
comprensione della fenomenologia storica.
La lettura di fonti di prima
mano non ha, tuttavia, risolto, quando e stata operata, tutti i problemi,
spesso inestricabili, che la storia propone: invece di ricorrere all’ipse
dixit, sarebbe buona norma interrogarsi di più sull’ambiente
storico-ideologico di chi tramanda la notizia, saper capire fino a che
punto ci troviamo di fronte a storici o archeologi di professione (spesso
si richiama l’autorità storica di viaggiatori e cronachisti)
e quale ne è la metodologia di base. Ma soprattutto una storiografia
all’avanguardia dovrebbe operare nel senso di legare la storia dell’isola
più strettamente ai fenomeni ed alle dinamiche storiche-economiche
della terraferma, superando quella romantica isolanità
che vede Capri come unicum nei costumi, nella lingua, nei fenomeni
storici.
Si avverte, insomma, l’esigenza
di una storiografia più professionale che ampli i suoi orizzonti
proprio per meglio comprendere la storia dell’isola. Tutto questo anche
per arginare la tendenza dominante della cultura caprese nella
quale si assiste sempre e comunque ad una fruizione gastronomica
della storia, con una analisi indirizzata a suscitare sapori, suggestioni,
visioni, recuperi memoriali e appagamento di curiosità personali.
Bisogna, in altri termini,
fare storia in maniera diversa e non ricorrere sempre alla rievocazione
aneddotica che vede l’interesse concentrato solamente su abitudini di
vita quotidiana di frequentatori dell’isola, assunti come soggetti unici
attivi della storia dell’isola: di fronte al persistere di una concezione
della storia come determinata da azioni private si dovrebbe molto riflettere.
La storiografia, soprattutto
oggi, ha il compito di sollevare problemi ed incertezze, di impiantare
rigorose indagini miranti a cogliere, più di ogni altro aspetto,
il tessuto socio-economico dello sviluppo storico: invece si continua
ad insistere sul biografismo di carattere antiquario, sulle curiosità
personali, su un tipo di storiografia privatistico che "scioglie i problemi
nella narrazione", approdando sempre e comunque ad una visione oleografica
della complessa realtà storica.
I tempi, pertanto, appaiono
maturi per inaugurare una nuova storiografia, al passo dei tempi che
viviamo e con le metodologie attuali, senza più spinte retroattive
e conservative. Ma per creare tutto questo occorrerà forse demolire
più di un mito, verificare le nostre effettive competenze ed
accettare così le regole del gioco, come le definì
nel 1974 l’illustre storiografo Arnaldo Momigliano. Forse non tutti
accetteremmo l’imperativo cosi netto di vivere totalmente il nostro
presente, naturalmente nei suoi lati positivi e progressisti. Ma l’auspicio
è d’obbligo...
Eduardo Federico