[Il foglietto] Organo di collegamento del

Gruppo Missionario

Parrocchia S. Croce

Salerno

Marzo 1996

Guai a coloro che il Signore troverà ad occhi asciutti.

Gustavo Gutierrez


Spezzare il pane, condividere la vita.
di Giuseppe Pasini (Da Italia Caritas, 2/96 )

Per la Campagna quaresimale promossa dagli Uffici Pastorali della Chiesa italiana - tra i quali anche la Caritas - è stato scelto come motivo ispiratore lo slogan: «Spezzare il pane, condividere la vita.»
Sono concetti che, in forma diversa, ritornano nel messaggio del Santo Padre per la Quaresima, dal titolo: «Date loro voi stessi da mangiare». Il Papa sviluppa una seria di osservazioni che indicano la perenne attualità del Vangelo.
Anche noi, come gli Apostoli, ci sentiamo scoraggiati di fronte alla scarsità dei nostri mezzi e delle nostre disponibilità. Gli Apostoli avevano cinque pani e due pesci: che farne di fronte a una folla di migliaia di persone?
A noi, dice il Santo Padre, Gesù rivolge lo stesso invito: fatevi strumento della Provvidenza per aiutare i fratelli; siate voi il miracolo vivente della solidarietà, rifiutando sia la rassegnazione e l'indifferenza, sia la delega delle responsabilità.
E il Papa indica anche le strade.
Anzitutto ciascuno deve fare quello che può. In alcuni Paesi africani le persone sopravvivono con un piatto di polenta di miglio al giorno: equivale alla piccola colazione con caffè e brioche che molti di noi fanno al bar.
Non abbiamo l'obbligo di sfamare le folle dei poveri, ma abbiamo il dovere di sfamare una persona per una settimana o per un giorno, se non riusciamo a fare di più; di assicurare le medicine per un malato di malaria o di tubercolosi; di fornire quaderni e penne per uno degli 800 milioni di bambini che desiderano frequentare la scuola ma non ne hanno la possibilità.
E allargando la proposta allo slogan della Campagna Condividere la vita, possiamo contribuire a rendere il mondo più umano: per esempio andando a visitare un ammalato, aiutando una persona anziana impedita nella pulizia della casa o nel disbrigo di qualche pratica, sostenendo la moglie di un detenuto o la mamma disperata di un drogato. E' lo spazio delle «opere di misericordia»...
Per fare queste cose semplici e accessibili a tutti è però necessario rivisitare il nostro stile di vita, eliminare le spese superflue, aprire l'intelligenza e il cuore ai problemi e alle sofferenze degli altri.
La seconda strada, indicata dal Papa nel messaggio quaresimale, per realizzare la solidarietà, è l'impegno sociale e politico. Le povertà del mondo, infatti, non vanno considerate come una fatalità, una emergenza naturale tipo il terremoto o l'alluvione. A monte ci sono, sempre più frequentemente, precise responsabilità. Il Santo Padre ricorda l'esistenza di disuguaglianze scandalose, di strutture impastate di ingiustizia, di leggi di mercato inique. A titolo di esempio, il Papa ricorda che nei Pesi ricchi vengono distrutte, per esigenze di mercato, tonnellate di prodotti, mentre i poveri sono costretti a frugare nei cassonetti dell'immondizia. Evidentemente è il modello di sviluppo che va rivisto e cambiato.
Esistono responsabilità dei governi, ma è necessario che si costruisca un'opinione pubblica che prema sui propri rappresentanti politici. E a livello di territorio esiste, in ogni caso, la possibilità di vigilare sulla priorità della spesa pubblica e sul finanziamento dei servizi sociali, intervenendo, se è il caso, con petizioni, con dibattiti, con proteste, con tutte quelle espressioni in cui si articola la partecipazione alla via pubblica.
Infine, il Pontefice esprime due indicazioni, che ogni comunità cristiana deve interiorizzare: la solidarietà va costruita attraverso un paziente lavoro educativo, privilegiando le nuove generazioni; costruire una città solidale esige la sinergia di tutte le forze sane della società e innanzitutto di quanti credono alla verità del Padre Nostro.

 

Veritatis Splendor?
di Vincenzo Agosti

Nei giorni scorsi, in tutti i telegiornali e su tutti i quotidiani, è stato dato molto risalto alla visita del Santo Padre in Centroamerica. Guatemala, Nicaragua, Salvador e Venezuela sono i paesi che il Papa ha toccato durante il suo viaggio. Viaggio che ha contribuisce a squarciare il velo di silenzio e di indifferenza che avvolge il destino di queste terre e di questi popoli che, da oltre cinquecento anni, sono in attesa di affrancarsi dalla schiavitù economica e culturale imposta loro dai paesi occidentali. Ma leggendo i commenti dei giornalisti, che riportano anche alcune dichiarazioni attribuite al Papa, non posso esimermi dal fare alcune considerazioni.
Tutti hanno scritto e parlato dell'amichevole saluto tra il Papa, appena giunto all'aereoporto di Managua, capitale del Nicaragua, e il presidente liberamente (?) eletto Violetta Chamorro. Tutt'altra cosa rispetto alla fredda accoglienza riservata al Pontefice dall'ex presidente Ortega, rappresentante del Fronte Sandinista (formazione politica che, dopo la rivoluzione del 1979, conquistò il potere in Nicaragua.), durante la scorsa visita pastorale. E' proprio su quel «liberamente» che esprimo i miei dubbi. Se rileggiamo le cronache di quei giorni, rileveremo un fatto molto importante. Il risultato elettorale fu pesantemente influenzato da un'intervento dell'allora presidente degli Stati Uniti George Bush, il quale dichiarò che i finanziamenti e l'appoggio logistico ai gruppi guerriglieri dei contras (controrivoluzionari armati e supportati logisticamente dalla C.I.A, il servizio segreto statunitense, come ha provato lo scandalo Iran-Contra. Per la maggior parte appartenevano alle squadre della morte della precedente dittatuta militare.) e il blocco economico, in atto fin dal giorno della liberazione dalla dittatura di Somoza, non sarebbero cessati in caso di vittoria del Fronte Sandinista. Questo ricatto fece propendere la popolazione, stremata da decine di anni di guerra civile, a votare per la compagine di centro-destra, pur di riconquistare la pace.
Si è scritto molto anche sulla calda accoglienza che il popolo nicaraguense ha riservato al Papa, sulla sua partecipazione attiva e coinvolgente alla celebrazione della S. Messa. Soprattutto si è voluto rimarcare la notevole differenza rispetto alle contestazioni che il Santo Padre subì durante la S. Messa nella sua ultima visita pastorale in Nicaragua. Con molta superficialità i giornalisti hanno commentato che quelle dimostrazioni costituirono una ben orchestrata propaganda del Fronte Sandinista contro il Vaticano, che fin dal primo momento aveva osteggiato la rivoluzione del 1979. Questo è vero solo in parte. Certamente vi furono esagerazioni nelle proteste da parte dei sandinisti contro la politica adottata dalla Chiesa nei confronti della rivoluzione. Ma la motivazione che spinse la gente, soprattutto familiari di desaparecidos, a protestare non fu mero calcolo elettorale o propagandistico ma il dolore per il fatto che dal Papa e dalle alte gerarchie cattoliche del paese non era mai giunta una forte condanna per quello che le dittature militari avevano perpetrato in Nicaragua. Anzi, la condanna era giunta in occasione della sollevazione popolare del 1979 che quei regimi aveva cacciato. La cosa che i Nicaraguensi proprio non accettarono fu la persecuzione, da parte della Chiesa Romana, della cosiddetta Chiesa Popolare, nata nelle comunità cattoliche di base dei villaggi, autentica autrice del risveglio sociale e religioso del popolo nicaraguense. L'aver operato quell'opzione, quella scelta di campo a favore dei poveri, di cui oggi si parla tanto nella Chiesa, non solo in maniera formale ma anche sostanziale, evidentemente diede fastidio ai vari vescovi e cardinali legati a filo doppio con il regime dittatoriale di Somoza.
Una frase più di tutte ha colpito il mio immaginario. Recitava più o meno così: «E' terminato il momento delle tenebre ed è arrivata l'ora in cui il Nicaragua conquisterà la propria indipendenza e democrazia. Quello che è importante è che la follia rivoluzionaria marxista è solo un lontano ricordo». Vorrei tanto sapere di quale indipendenza, ma soprattutto di quale democrazia il Santo Padre sta parlando. Come ogni esperienza umana, la rivoluzione nicaraguense non fu scevra da errori, ma da qui a dire che essa ha gettato nelle tenebre il Nicaragua ce ne passa. Il Nicaragua, come tutti i paesi della regione, fa parte di quello che viene definito Cortile dello Zio Sam, una zona sotto l'influenza degli Stati Uniti che, ripeto, non avrebbero mai accettato un governo democraticamente eletto di colore politico diverso da quello che loro desideravano. I sandinisti avevano osato porre fine a decenni di sanguinose dittature protette economicamente e politicamente, quando non militarmente, dagli Stati Uniti e dai paesi occidentali, e avviato un processo di riscatto sociale delle fasce più povere della popolazione: alfabetizzazione, riforma sanitaria e agraria, ecc. La democrazia che si è instaurata nel paese dopo la vittoria alle elezioni della coalizione di centro-destra, non può e non deve essere considerata tale. I cosiddetti «aggiustamenti strutturali» (taglio alla spesa pubblica, incremento delle privatizzazioni delle imprese pubbliche, ecc.) che il governo ha dovuto realizzare per accedere ai finanziamenti della Banca Mondiale stanno penalizzando le fasce più povere della popolazione, soprattutto gli indios. Il Nicaragua è il paese con il più alto tasso di disoccupazione tra la popolazione attiva di tutto il continente americano. Come troviamo scritto nel documento della C.E.I. Educare alla legalità, non c'è democrazia se non c'è legalità e giustizia sociale. E tra le condizioni essenziali per sviluppare autentici principi di legalità c'è «l'efficienza delle strutture sociali che consentano a tutti [...] l'attuazione dei propri diritti, in modo da evitare la beffa di una proclamazione dei diritti cui non segue l'effettivo godimento», e poi «attenzione privilegiata agli interessi giusti e meritevoli di tutela legislativa di coloro che a motivo della loro debolezza non hanno nè la voce per rappresentarli, nè la forza per imporli alla considerazione degli altri». Se questo deve valere per Italia, non vedo perché non debba valere per il Nicaragua.
Un'ultima puntualizzazione e concludo. L'espressione «follia rivoluzionaria di stampo marxista» merita delle considerazioni a parte, sia per i motivi che ho fin qui indicato, sia perché è palese, in chi ha pronunciato queste parole, la totale mancanza di conoscenza del perché e del percome della rivoluzione sandinista, e dei personaggi che con le loro idee la ispirarono. E' stato sempre chiaro, come alcuni testimoni dell'avvenimento hanno sostenuto, che la rivoluzione del 1979 fu una rivoluzione a basso profilo ideologico, che partiva dal bisogno del popolo di poter sopravvivere, di avere una terra da coltivare, di non lavorare più come schiavi nei latifondi dei pochi e ricchi proprietari terrieri del Nicaragua, di non avere la paura che un gruppo di armati o la stessa polizia arrivasse durante la notte a portare via i loro figli, e di instaurare un «regime» di giustizia sociale e di pace. Purtroppo, si sa, chiunque elevi la sua voce contro le ingiustizie perpetrate ai danni dei più poveri e degli indifesi, viene tacciato di essere un comunista. Ne sanno qualcosa gli indigeni Maya del Chiapas, autori di una rivolta armata in Messico nel gennaio del 1994, ne sanno qualcosa i vari teologi della liberazione, da Leonardo Boff al vescovo Helder Camara, fino a Mons. Romero, assassinato il 24 marzo 1980 mentre celebrava la S. Messa, perchè aveva osato alzare la voce della Chiesa per condannare coloro che trucidavano il popolo salvadoregno. Popolo nel quale Romero aveva visto incarnato il Cristo flagellato e crocifisso e a cui si era dedicato anima e corpo.
E' quando la Chiesa viene perseguitata e i suoi figli martirizzati che siamo sicuri che essa sta percorrendo la strada giusta. Quella strada, indicata da Cristo, in favore dei poveri, delle donne, dei lebbrosi di ogni tempo, dei bambini, degli ultimi di questa nostra società. Ma quando la Chiesa è impegnata a fare dei suoi templi un mercato, tratta con i potenti, verifica il cammino che sta percorrendo con la maggiore o minore presenza di persone ad una celebrazione liturgica presieduta dal Papa, e si straccia le vesti se uno dei suoi figli osa contestare tutto ciò, allora, signori miei ...



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