[Il foglietto] Organo di collegamento del

Gruppo Missionario

Parrocchia S. Croce

Salerno

Luglio 1996

Guai a coloro che il Signore troverà ad occhi asciutti.

Gustavo Gutierrez


La rivolta degli uomini di mais
di Vincenzo Agosti

In questi giorni a Salerno c'è gran fermento per le numerose iniziative di solidarietà con il Chiapas, regione meridionale del Messico, al confine con il Guatemala, da oltre due anni sconvolta da combattimenti tra l'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) e le truppe dell'esercito federale messicano. Con questo articolo voglio anch'io dare un minimo contributo teso alla comprensione dell\rquote evento Chiapas che, come dirò più avanti, non è immediatamente catalogabile. Lo farò partendo in primo luogo dai comunicati degli insorti chiapanechi. Risulta evidente la volontà esplicita di non proporre tutte rivendicazioni etniche, quanto nodi tematici rivolti alla globalità della società messicana e mondiale. Infatti più volte nei comunicati si invoca l'indispensabilità di convivere e operare secondo giustizia, nella libertà e con procedure veramente democratiche. Ma scopriamo che significato hanno, per gli indios, le parole Giustizia, Libertà e Democrazia.

GIUSTIZIA E MEMORIA: è evidente che la radice india della rivolta pone immediatamente alla ribalta il concetto di memoria storica conservata ed utilizzata a fondamento delle proprie esigenze e rivendicazioni. I 500 anni di resistenza india, nel cas o del Chiapas, non hanno prodotto il ripetersi di esigenze antiche e tipiche, ma un allargamento di prospettiva e la comprensione dei processi politico-economici successivi alla Conquista: la scelta del 1° gennaio 1994 per l'inizio della lotta, in coincidenza con l'entrata in vigore del NAFTA (l'accordo commerciale stipulato tra U.S.A., Canada e Messico che abbatte le barriere doganali e favorisce la libera circolazione delle merci e dei capitali, aprendo alle industrie nordamericane i mercati centroamericani e colpendo la piccola produzione), ne è esplicita conferma. Si evince dalle dichiarazioni del Subcomandante Marcos, portavoce dell'EZLN, l'originalità di questa rivolta preparata da oltre un decennio senza episodi di violenza, furti, assalti, sequestri. Essa non si richiama alla tradizione guerrigliera sud e centro-americana. Infatti non è un piccolo gruppo di uomini che cerca di reclutare e coinvolgere la gente ma è l'intera popolazione civile, coagulatasi intorno ad un migliaio di armati, che copre, protegge e sorregge l'EZLN. Inoltre è chiaro anche il rifiuto del coinvolgimento e dell'ispirazione proveniente da altri che non siano la comunità delle etnie indie. In questo caso, la memoria diventa progetto, prospettiva, proposta nel momento stesso in cu i la condizione di subalternità delle popolazioni indigene viene lasciata in un canto ed un popolo, non un gruppo guerriero, si solleva contro una dittatura chiamando a più e diverse forme di lotta e compartecipazione tutti i diseredati, gli oppressi, gli sfruttati, a prescindere dall'etnia. L'oppressione usa simboli etnici, razziali o di classe solo in funzione delle proprie convenienze. Da qui la necessità di andare oltre e promuovere prima la compassione e poi la condivisione come mezzo di superamento ed alternativa anche economica alle cosiddette strutture di peccato capitaliste.

LIBERTA': l'EZLN, con la sua lotta, prospetta una libertà da un'oppressione che è sì dittatoriale, ma soprattutto si rapporta ai meccanismi economici internazionali. L'EZLN non vuole rovesciare governi, semmai assicurare libere elezioni. Denuncia il NAFTA, considerato dal Subcomandante Marcos «una sentenza di morte» per gli indigeni non solo chiapanechi, e denuncia che il neoliberismo economico, che sottende al NAFTA, non fa che polarizzare ulteriormente un tessuto sociale ed economico che vede sempre più miseria da una parte e ricchezza ingiusta dall'altra, indipendentemente dalle etnie. Il concetto di libertà assume una valenza che va oltre il concetto di nazionalità, di indipendenza, di vita democratica nazionale, per raggiungere un terreno sovranazionale che l'economia ha ormai imposto come realtà per le proprie competenze. Queste competenze invadono e pregiudicano il valore della politica, tanto più che anche gli accordi inter nazionali di cooperazione riguardano in pratica la sola materia economica e da essa si fanno regolare ( vedi il NAFTA, ma anche la UE ). L'internazionalizzazione delle economie, delle leggi di mercato come strutture e regole portanti anche della politica, lo smantellamento dello stato sociale, fanno finalmente capire che la sindacalizzazione delle istanze di base non può funzionare se si limita ad un'ottica nemmeno nazionale, ma addirittura di categoria. La libertà che si vuole in Chiapas parla di buona ali mentazione, di case degne, di pane, di terra, istanze senza confini che chiamano ad una lotta senza confini: rimettere in discussione non la forma stato, non la classe politica, ma la forma economica che domina il mondo. Si tratta di trovare nuovi signifi cati al valore della democrazia come parametro etico anche dei processi economici; anche qui la rivoluzione del Chiapas può offrirci spunti di riflessione ed autocritica.

DEMOCRAZIA: «Oggi siamo pienamente coscienti del fatto che la nostra liberazione definitiva può esprimersi soltanto con l'esercizio pieno della nostra autodeterminazione. Senza autogoverno indio e senza controllo sui nostri territori, non può esservi autonomia. Intendiamo affermare la decisione di difendere la nostra cultura, la nostra educazione, la nostra religione come base fondamentale della nostra identità di popoli, in intima comunione con nostra madre natura. Cerchiamo un nuovo ordine sociale che accolga l'esercizio del diritto tradizionale indigeno». Così i delegati indios di venti paesi americani scrivevano nella Dichiarazione di Quito, il 21 luglio 1990, alla vigilia del quinto centenario della loro resistenza. Le richieste sono chiare, precise, vanno al cuore del problema, non negano l'esistente, il diritto nazionale ed internazionale, semplicemente vogliono entrarne a fare parte a pieno titolo. La rivoluzione chiapaneca accoglie queste istanze e propone una modernizzazione democratica risultante dall'ampliamento del mercato basato sulla giustizia sociale e della utilizzazione delle capacità umane sulla base della dignità: sa che l'economia è una relazione tra persone, non tra cose. La democrazia dei diritti umani e dell'autodeterminazione non può prescindere dal risolvere, qui e ovunque, il problema del possesso della terra, a partire dalla spoliazione della Conquista per giungere, in Messico, al rinnovato stimolo al latifondo ed alla distruzione ecologica favorito ancor di più dal NAFTA. Democrazia per un indio può esistere se il diritto di tutti alla terra comunitaria, da condividere, è considerato inalienabile e condizione stessa della propria autodeterminazione. Ecco perchè nel Chiapas il problema ecologico è sentito, non come argomento fine a se stesso, ma in stretta connessione col legame uomo-terra e col conflitto democrazia-capitale. Ancora una volta rimettiamo in gioco la nostra qualità di eredi attivi dei conquistadores solo se, riconoscendo il problema terra come asse portante dell'indipendenza indigena, sapremo ricollegare questo problema all'esigenza di dover incidere sulle leggi del mercato come regolatrici del mondo.

Vi è un ulteriore stimolo al progresso dell'uomo che ci viene dalla lezione chiapaneca. Nel programma dell'EZLN vi è il riconoscimento del ruolo che la donna indigena ha svolto nelle lotte passate, la comprensione che sia necessario estendere la partecipazione della donna nelle organizzazioni indie. L'indio americano compie un ulteriore salto di qualità e, superando una tradizione millenaria, riconosce la «pari dignità della donna come questione chiave del proprio esercizio politico». Potremmo pensare, ipocritamente, che ce ne hanno messo del tempo! Tuttavia credo che la lezione india sta proprio nella capacità dimostrata di superare i propri ambiti tradizionali e di saper accogliere, laddove è necessario, anche l'esempio proveniente da altre culture. L'interculturalità, oggi tanto propugnata, trova qui un esempio concreto davvero straordinario, per chi anche poco conosca la realtà tradizionale di discriminazione subita dalla donna india.

Uscire da sé ed accogliere l'altro, così come il dare alla propria rivendicazione un respiro autenticamente globale e democratico, sono la lezione ricavabile dalla rivoluzione chiapaneca: e se per giungere a noi, ha dovuto usare le armi, prendiamocela con chi ha reso questo ineluttabile!



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