[Il foglietto] Organo di collegamento del

Gruppo Missionario

Parrocchia S. Croce

Salerno

Settembre 1996

Guai a coloro che il Signore troverà ad occhi asciutti.

Gustavo Gutierrez


Il popolo dell'Arcoiris
di Rosario De Chiara

Arcoiris, nella lingua degli insurgentes, significa arcobaleno. E proprio un paracadute con i colori dell'Arcobaleno campeggiava sospeso fra gli alberi di una aiuola sabato 13 Luglio. Che cos'è stata la festa dell'Arcoiris? E' stato un incontro, inimmaginabile qualche anno fa, tra persone: gruppi parrocchiali, burattinai, partiti politici, ecologisti, clown, suonatori ambulanti, gente che andava a mare, ragazzini, bambini ed addirittura qualche gruppo di ragazzi solito trascorrere il sabato sera in giro per locali. Che cosa hanno in comune il gruppo missionario di Santa Croce con il Collettivo Zapatista Tierra y Libertad, oppure con gli altri gruppi o gruppuscoli lì rappresentati, con stand enormi e colorati, oppure con solo un banchetto ed una sedia? L'interesse per la situazione nel Chiapas e la volontà di sostenere le rivendicazioni degli indios. Dal 1° gennaio '94 è in vigore il NAFTA , cioè un accordo tra Stati Uniti, Canada e Messico che permette di agganciare l'economia messicana a quella di paesi stabili come Canada e USA, aprendo le porte del «primo mondo» al Messico. Ora il Messico è un paese nel quale analfabetismo, povertà e stratificazione economica impongono un sistema che paga mezzo dollaro l'ora gli operai e non permette al 60% delle famiglie di assolvere ai loro bisogni primari. Paradossalmente, è proprio questo il «patrimonio» che il Messico offre al NAFTA, cioè manodopera non specializzata e a basso costo, con poche pretese e pochissimi diritti. La festa dell'Arcoiris è stata prima di tutto un occasione per far sapere cosa succede, come si vive in Chiapas, per mezzo di testimonianze vive, come quella di Gabriella appena tornata da laggiù. Per chiarire che nel mondo le sorti dei più poveri sono decise dalla volontà di pochi, pochissimi. Per sottolineare che anche in un paese del «primo mondo» c'è gente che non è d'accordo, che dissente e si rende conto che c'è chi sopravvive invece di vivere. Per noi che eravamo lì è stato bellissimo vedere che gente abituata al mesto degrado della Villa Comunale di Salerno si avvicinava e timidamente prendeva un volantino, o addirittura cominciava a domandare ed a interessarsi. Così la festa è stata sempre più festa. Un giro fra gli stand era una esperienza davvero singolare: si partiva dal nostro stand con le foto dei bambini di Santa Cruz e le foto dell'ospedale del Brasile, poi si passava a stand del Commercio Equo e Solidale, poi stand sui quali sventolavano bandiere più o meno rosse con falce e martello e silhouette di Che Guevara; c'era lo stand di Amnesty International che raccoglieva firme, lo stand di Greenpeace con l'orca che trionfava su un mercatino di felpe e magliette «ecologiche». C'era anche un cartellone con foto del Chiapas, articoli e ritagli; c'era uno stand che vendeva spillette a forma di sombrero fatte di pasta di sale. Ma quello che poi in effetti davvero si coglieva era la voglia della gente di stare insieme, e parlare. Era bello vedere che, mentre il figlio assisteva allo spettacolo del pagliaccio, il padre si informava sulla nostra adozione a distanza; era bello che, mentre qualcuno cantava insieme ad un folcloristico cantante di strada, c'era chi si meravigliava degli assalti di Greenpeace ai pescherecci abusivi . In questo clima veniva preparato qualcosa di simbolico e concreto: uno striscione sul quale ognuno era libero di scrivere ciò che voleva, striscione che sarebbe stato poi consegnato alle popolazioni in lotta. Tutte queste persone, anche chi magari ha solo comprato un pupazzetto d el Commercio Equo e Solidale, davano un messaggio prima di tutto a noi che eravamo li con sorrisi ed incoraggiamenti, poi agli insurgentes della Selva Lacandona, che con i volti mascherati combattono per avere di che vivere, e poi a tutte quelle persone che dividono gli uomini in nord e sud, bianchi e neri, schiavi e padroni, ricchi ed impoveriti. Il messaggio è che ci si vuole impegnare per cambiare questo mondo che raramente è «il migliore dei mondi possibili».

 

S. Maria delle Grazie: in ascolto della Parola e dei Poveri
di Vincenzo Agosti

«La nostra comunità è formata da uomini e donne che si impegnano nella vita comune secondo il Vangelo, sull'esempio di altri che di generazione in generazione si sono consacrati radicalmente, dopo il battesimo, nello stile di vita del monachesimo. Nei ritmi della preghiera comunitaria e personale, mediante l'accoglienza, il lavoro, il silenzio, con dinamiche di vita obbedienti ai consigli evangelici, si consacrano a costituire una parabola dei discepoli di Cristo nell'oggi...»: così narra di se stessa la fraternità monastica di S. Maria delle Grazie, che ha iniziato il proprio cammino nel 1974 a Rossano Calabro (CS), grazie all'opera di Gianni Novello, veneto di nascita ma calabrese di adozione. Dopo l'esperienza del noviziato a Taizé presso frère Roger Schultz ed una lunga militanza nel movimento di Pax Christi, a cui la fraternità fa ancora riferimento, insieme a Mons. Bettazzi ed il compianto Mons. Tonino Bello, Gianni ha dato inizio ad un cammino, non certo semplice e privo di ostacoli, di sequela del messaggio evangelico nel nostro spesso trascurato e martoriato Sud. Un itinerario che rappresenta un punto di riferimento importante per tanti che, nel corso di questi ventidue anni, hanno preso parte alle settimane di studio e preghiera organizzate dalla comunità. Ad una delle settimane in programma quest'estate ho partecipato insieme ad altri ragazzi e ragazze della parrocchia: il tema era In ascolto della Parola e dei Poveri. Attraverso la lettura della Bibbia e la preghiera comunitaria costante abbiamo percorso un cammino che ci ha portato ad interrogarci su Dio, sulla pace, sul senso della vita, in questa realtà in cui sorgono povertà sempre più crescenti ed in cui assistiamo impotenti ad un creato ed una umanità sottoposti a prove tremende: la guerra nella Ex-Yugoslavia, i massacri in Ruanda e Burundi, il disastro atomico di Chernobyl, l'Olocausto. Il filo rosso che ha legato tutti i giorni della settimana trascorsi insieme sono stati i canti del servo del Signore, contenuti nel libro del profeta Isaia. Tramite la lettura di questi brani abbiamo appreso che esiste un modo nuovo, diverso di leggere la Bibbia. Una lettura non soltanto spiritualista ed individualista ma comunitaria, sociale e politica. Una lettura che ci ha fatto comprendere che non si può parlare di pace se non si parla di giustizia, non si può parlare di Regno di Dio come un qualcosa che si realizzerà ma dobbiamo impegnarci oggi a scoprire i segni che lo anticipano in questo mondo. Abbiamo appreso che dobbiamo smetterla di indignarci per le cose che accadono per poi nasconderci dietro le nostre paure e sensi di impotenza, ma all'indignazione dobbiamo far seguire delle azioni che ci permettano di rovesciare la situazione. Per esempio occorre smetterla di «collaborare» con questo sistema socioeconomico che produce 1 miliardo e 400 milioni di «esuberi» (così si definiscono coloro che vivono sotto la soglia di povertà), ignorando eventuali alternative valide ed idolatrando il cosiddetto libero mercato. Noi cattolici abbiamo una grande responsabilità morale. Ci diciamo seguaci dell'Uomo Nuovo, del Cristo che è venuto in mezzo a noi per annunciare la salvezza, che ci ha chiamati a vivere una vita basata su tutt'altre relazioni rispetto alle precedenti, dove il beato è il povero e non il ricco, dove ad ereditare la terra è colui che è mite e puro di cuore e non l'arrogante e l'approfittatore, dove colui che lotta per la pace è chiamato Figlio di Dio (appellativo che da solo dovrebbe scatenare una gara tra tutti noi per potercene fregiare). Eppure siamo stati noi a creare questo sistema ed oramai non riusciamo a dire più niente di nuovo in questo mondo, siamo caduti in una crisi quasi irreversibile. Non sappiamo andar oltre a spesso sterili pronunciamenti sulla morale sessuale, sull'aborto o sull'eutanasia. Temi importantissimi, per carità, ma, come diceva don Tonino Bello: «Tra questi due eventi c'è una vita intera: interessiamocene». Necessitiamo di una nuova evangelizzazione. Ma siamo degli illusi se speriamo che da soli, con la nostra mentalità occidentale individualista e liberale che ha generato i mostri che cerchiamo di combattere, saremo capaci di trovare la strada che ci riporti verso la Via, la Verità e la Vita. Sono i poveri, anzi, gli impoveriti, soprattutto quelli del Terzo Mondo, coloro i quali ci arrogammo il diritto di «evangelizzare» secoli fa, la speranza di un ritorno a Cristo, vera Luce. Sono loro i primi destinatari della Buona Notizia ed è al loro grido di sofferenza che Dio ha sempre risposto nei secoli. La vita delle Comunità di Base, rispettosa delle differenze, pacifica, in cui vige la giustizia, in cui il lavoro e l'economia sono a misura d'uomo, con la loro preghiera e la loro mistica, è paradigma di un nuovo modo di concepire l'esistenza umana. E non ci dobbiamo meravigliare se un giorno sarà da quei luoghi lontani che vedremo arrivare i «missionari» che ci convertiranno al Vangelo e ci battezzeranno nel nome del Padre Onnipotente, del Figlio Signore e dello Spirito Santo Amore. Con questo senza voler fare della povertà, che è da condannare e da combattere se non scelta liberamente, una virtù e considerare esperienze, che vanno comunque calate nella nostra realtà, come ricette miracolose per lenire i mali del nostro opulento Occidente. «Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili, ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote». Questa la preghiera di ringraziamento che Maria offre al Signore. In questi giorni dedicati alla Madre di Dio, mi auguro che questa preghiera sia sempre sulle nostre labbra e nel nostro cuore e che da essa scaturisca la speranza e la voglia di lottare per un mondo diverso dove la S.Croce da oggetto di scandalo per i potenti di ogni tempo diventi trono maestoso e segno di vittoria sulla «morte».



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