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Organo
di collegamento del Gruppo Missionario Parrocchia S. Croce Salerno Novembre 1997 |
Guai a coloro che il
Signore troverà ad occhi asciutti.
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In marcia per la Pace
di Rosario De Chiara
A che può servire la Marcia per la pace?
E' la domanda che mi sono posto a metà strada tra Perugia ed
Assisi domenica 12 ottobre, dopo aver percorso una decina di km a
piedi, ormai prossimo allo sfinimento... ed ha cominciato a
piovere.
«A che è servito tutto ciò?», mi sono chiesto nell'autobus
sulla strada del ritorno quando mi sono reso conto che l'unico ad
indossare le scarpe era l'autista, ed una cinquantina di paia di
piedi « fumanti» campeggiavano appoggiati un po' dovunque.
La risposta l'ho avuta a Salerno, quando coloro che hanno visto
la tv su Rai 2 hanno detto «Ti ho visto!», oppure «Ho visto lo
striscione del Gruppo Missionario!».
La testimonianza è lo scopo di queste manifestazioni. Infatti le
diecimila persone (più del doppio di quelle previste) che hanno
partecipato, hanno dato segno di appartenere a quelle centinaia
di migliaia di persone che lavorano nelle scuole, nelle
parrocchie, nelle segreterie politiche, nei centri sociali, in
centinaia di associ azioni, per creare la pace nelle città, nei
quartieri, nei paesi del sud del mondo e tra l'uomo e la natura.
Il colpo d'occhio che si aveva passeggiando per la
strada tra Perugia ed Assisi era davvero spettacolare. Si vedeva
una massa enorme di persone incorniciata da bandiere, striscioni,
gonfaloni di comuni (da Bologna a Viareggio, da Salerno a
Taranto), migliaia di fazzolettoni scout, passeggiare sui dolci
declivi delle verdi colline umbre, cantando canzoni di
appartenenza oppure De Gregori, O'sole mio o l'Inno
di Mameli. Veniva da chiedersi cosa univa il ragazzo con la
kefia del centro sociale al consigliere comunale con fascia
tricolore e tanto di guardie municipali in alta uniforme, oppure
noi del Gruppo Missionario ai Verdi. E' questo il senso dell a
manifestazione, la voglia di costruire giorno per giorno la pace,
tante volte auspicata nella Bibbia "Togliti dal male e fa'
il bene, ricerca la pace e corrile dietro" (Sal 34,15).
La pace è giustizia economica, uguali opportunità per tutti,
possibilità di sviluppo, indipendenza economica, libertà,
salute. Si vede che se pace è tutto questo evidentemente non
c'è pace quando milioni di persone sono costrette ad emigrare
senza avere nessuna speranza di trovare aiuto, non c'è pace
quando i paesi dell'Africa sono costretti a produrre per pagare i
debiti esteri lasciando le popolazioni affamate, non c'è pace
quando i paesi dell'America Latina dipendono dalla decisioni di
Washington per la propria politica, non c'è pace quando i paesi
poveri ospitano i rifiuti tossici dei paesi ricchi, ed infine non
c'è pace quando l'80% della popolazione mondiale vive con il 20%
delle risorse, mentre il 20% della popolazione mondiale si gode e
spreca l'80% delle energie e delle ricchezze della Terra. Ma per
fortuna, e la marcia lo dimostra, centinaia di migliaia di
persone lavorano per migliorare le condizioni degli immigrati,
informano sulla situazione in America Latina, raccolgono firme
per l'Africa e fanno campagne di pulizia e di sensibilizzazione.
Così di questa bellissima esperienza portiamo a
casa i colori e le risate degli scout, i canti fra le mura
medioevali di Perugia, il verde delle colline, le strette di
mano, i punti ristoro con i concerti, le parole dei francescani
che hanno ribadito la priorità degli aiuti per gli uomini
rispetto alle opere d'arte. Ricorderemo i biscotti energetici
degli Hare Krisna, che energetici dovevano esserlo davvero visto
che questi folcloristici «arancioni» hanno percorso tutta la
marcia saltando, cantando e suonando la loro preghiera: «O Dio
infinitamente affascinante, o potenza di Dio, ti prego di
permettermi di servirti con devozione».
Ma soprattutto riporteremo la consapevolezza di non essere soli.
Metti una sera a S.
Croce...
di Vincenzo Agosti
Martedì 14 ottobre la nostra parrocchia ha avuto
l'onore di ospitare padre Josè Rutilio Sanchez, «Tilio» per
gli amici, uno dei più stretti collaboratori di Mons. Romero,
vescovo di San Salvador assassinato il 24 marzo del 1980 da un
killer assoldato dalla giunta militare che governava il paese.
Morto per aver difeso il suo popolo e per essere stato fedele al
Vangelo di Nostro Signore senza scendere a compromessi.
Insieme a padre Tilio ci è venuta a trovare Mariella Tapella,
un'italiana che da 11 anni vive in Salvador. Insieme lavorano al
SerCoBa (Equ ipo de Servicios para Comuninades de Base), un
organismo della Chiesa locale.
E' stata un'occasione per rinfrescarci la memoria e per conoscere
la storia e le vicende del Salvador, la pulce del Centro America,
un paese abitato da circa sei milioni di abitanti, e con due
milioni di salvadoregni che vivono all'estero e costituiscono,
con le loro rimesse, la più importante fonte di ricchezza
nazionale. E'un paese di contadini, di campesinos, dove 14
famiglie posseggono il 90% della terra facendo il buono ed il
cattivo tempo. Un paese la cui politica interna ed estera è
decisa lontano dalla capitale, a Washington, negli USA. Perché,
come tutti i paesi del Centro America e dei Caraibi, il Salvador
è considerato dagli USA il cortile di casa. In questi paesi non
si muove una foglia se non senza l'accordo di Washington.
Dal 1980 per dodici anni si è combattuta una guerra civile tra i
governi militari di destra, appoggiati dagli USA, e la guerriglia
di sinistra. Massacri, sparizioni... circa centomila morti in
tutto, tra cui 4.500 tra vescovi, preti, catechisti e delegati
della Parola. Uccisi in nome della Dottrina della Sicurezza
Nazionale, in nome di valori che spesso sono stati tragicamente
scambiati per valori cristiani.
Abbiamo confrontato il nostro ed il loro modo di essere Chiesa.
Noi chiamiamo Chiesa ogni cosa: il Tempio, la gerarchia, il
Popolo di Dio. Quando per definire più concetti si usa la stessa
parola, ha sostenuto padre Tilio, il suo vero significato è
sfumato, se ne perdono i veri contenuti. In Salvador, ed in tutta
l'America Latina, aggiungo io, ad ogni parola viene assegnato il
suo esatto significato: la gerarchia è quella istituzione utile
e necessaria al servizio della Chiesa, che è il Popolo di Dio,
ma non è la Chiesa. Importantissimo il loro rapporto con la
Bibbia. Nelle comunità salvadoregne non è concepibile leggere e
vivere la realtà senza confrontarla con le Sacre Scritture. La
loro condizione di povertà ed il loro impegno per il riscatto
sociale vengono interpretati alla luce della Bibbia. Fino a pochi
anni fa in Salvador, possedere una Bibbia poteva significare
morte sicura. Questo era dovuto al fatto che i campesinos sono
riusciti a scoprire l'enorme potere liberatore e destabilizzante
dell'ordine costituito della Parola di Dio.
Poi Mariella Tapella ha illustrato le attività svolte dal
SerCoBa: una associazione di donne che imparano ad utilizzare
l'energia solare per cucinare, nel rispetto delle risorse
ambientali; una associazione che produce artigianato,
acquistabile anche nel circuito del Commercio Equo e Solidale; un
programma di adozioni a distanza per l'istruzione tecnica e
professionale di ragazzi dai 12 ai 25 anni, i più colpiti dalla
guerra civile; una biblioteca comunitaria di base, per
l'alfabetizzazione; un programma di reinserimento sociale per gli
ex-combattenti ed i rifugiati.
Alla fine della serata, come è ormai tradizione del Gruppo
Missionario, siamo andati a mangiare una pizza e ci siamo
salutati nella speranza un giorno di poter visitare di persona il
Salvador, magari in marzo, quando tutta la popolazione ricorda il
martirio di Mons. Romero.
Grazie padre Tilio, grazie Mariella: a rivederci presto!
Arrivederci, don Luigi
di Vincenzo Agosti
Domenica 12 ottobre a Milano si è spento Mons.
Luigi Di Liegro, direttore della Caritas Romana, noto a tutti per
le sue battaglie al fianco di poveri, emarginati, senza fissa
dimora, immigrati extracomunitari.
Come è strano il destino! Mentre il popolo della Giustizia e
della Solidarietà si avviava ad iniziare la Marcia per la Pace,
don Luigi se ne andava. Proprio lui, voce e bandiera dei senza
voce, coloro i quali la Marcia ha voluto ricordare. \par Non
starò qui a tessere le lodi di un uomo straordinario quanto
umile, ci penseranno altri più degni di me, che lo hanno
conosciuto meglio. Voglio solo contribuire con il ricordo
dell'unico incontro che ho avuto con lui.
Era il novembre del '92 ed io partecipavo ad un campo scuola per
Capi Scout, a Roma. Era sera e non vedevamo l'ora di mangiare. Il
pomeriggio avevamo svolto servizio presso la mensa dei poveri
della stazione Termini, gestita dalla Caritas romana, ed eravamo
davvero affamati. Ma stavamo aspettando un ospite.
Ad un tratto, nell'ombra, dal fondo della strada sbuca una
piccola figura, che procede lenta verso di noi. E' un uomo,
bassino, di mezza età. D'un tratto la luce del lampione illumina
il suo volto e, meraviglia delle meraviglie, ecco Mons. Di
Liegro. Aveva l'aria molto stanca, il colletto della camicia
slacciato, segno evidente di una giornata faticosa, magari
passata tra la sua gente: i senza fissa dimora, gli
extracomunitari della Pantanella, gli anziani. Oppure passato a
bussare alle porte di chissà quali burocrati che degli
«ultimi» non volevano proprio sentir parlare. Mi mise la mano
sulla spalla e mi chiese cosa c'era da mangiare. Io volevo
saltargli al collo e gridare alla Rolando: «Non ci posso
credere!», ma non ebbi il coraggio e mi rivolsi a lui come ad
una persona qualunque, con semplicità, così come lui si era
presentato a noi.
Quella sera parlammo di lui, della sua storia, delle sue scelte.
Era nato a Gaeta, era un uomo del Sud. Già prima della sua
ordinazione si erano evidenziate le sue qualità si sacerdote: un
rompiscatole nei confronti del potere costituito, sempre in
difesa dei più deboli. Lo chiamavano il Di Vittorio del
seminario (il primo segretario generale della CGIL. N.d.R.) Ci
parlò delle scelte che devono essere alla base del servizio, di
come invece l'uomo moderno si stava chiudendo sempre più
all'altro, al diverso. Ci disse che il nostro compito era rompere
il guscio che ci racchiudeva e correre verso il prossimo. Ci
raccontò delle sue battaglie con i politici che chiudevano
sempre le porte in faccia alla solidarietà . Di come leggi anche
molto poco garantiste verso gli immigrati, come la legge
Martelli, non venissero applicate, lasciando allo sbando migliaia
di persone. Dopo cena ci lasciammo. Non ho più avuto occasione
di reincontrarlo ma, ogni tanto, vado a leggere gli appunti che
riuscii a scrivere durante l'incontro. Molto pochi, per la
verità, perché non potevo staccare gli occhi da lui, era troppo
bello starlo a sentire!
Ho sempre continuato a seguire le sue battaglie, non ultima
quella sul decreto Dini in materia di immigrazione, ed idealmente
ero con lui.
Ed ora, chi combatterà al suo posto? La Chiesa ha perso un
grande uomo che sarà difficile sostituire, per la tenacia e la
volontà con le quali perseguiva i suoi obiettivi.
I poveri hanno perso un grande amico, umile, semplice, realmente
solidale con la loro condizione. Chi si schiererà ancora con
loro?
E domenica, alla Marcia, c'eri anche tu, don Luigi, e noi non ce
ne siamo accorti, perché eri in disparte, silenzioso, come tuo
solito, e ci guardavi dall'alto.
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