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Organo
di collegamento del Gruppo Missionario Parrocchia S. Croce Salerno Maggio 1998 |
Guai a coloro che il
Signore troverà ad occhi asciutti.
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I panni sporchi
di Rosario De Chiara
In questo articolo parleremo di panni sporchi
che, come da proverbio, devono essere lavati in famiglia.
Fuor di metafora, è risaputo che la saggezza popolare ci
consiglia di far sì che le magagne, i peccati ed i bisticci di
una qualsivoglia comunità di persone (famiglia, parrocchia,
nazione), non diventino di pubblico dominio, in quanto gli
estranei, che sicuramente non riuscirebbero a comprendere,
potrebbero trarne giudizi affrettati, o peggio, immischiarsi.
Questo proverbio, usato ed abusato, accomuna, in un incredibile
parallelo, Santa Croce e Santa Cruz in Messico.
Andiamo per ordine: partiamo da Santa Cruz.
La suora saveriana con la quale abbiamo contatti ( e che gestisce
i fondi che inviamo) ci scrive che la comunità di Santa Cruz
soffre per la siccità e teme addirittura una carestia a causa
degli sconvolgimenti atmosferici causati da El ñino (la
corrente stagionale di aria calda che scorrazza per tutto il
globo). Comunque siamo sempre presenti nelle sue preghiere e ci
invia gli auguri per Pasqua.
Poi nella lettera ci dice anche «strane» cose del tipo: «Non
diffondete i nostri nomi lì da voi, perché il governo messicano
vede di cattivo occhio chi fa solidarietà con gli indigeni e chi
parla del Chiapas, e potrebbero espellere noi straniere che
stiamo lavorando qui...». E continua: «Qui ci sentiamo
controllate e probabilmente leggono anche la nostra posta».
Perché il governo messicano ha un atteggiamento del genere verso
suore che aiutano indigeni messicani a sopravvivere,
rischiando la vita? Perché la solidarietà internazionale nei
confronti del Chiapas è mal vista?
La spiegazione la troviamo proprio nel succitato proverbio. E
così i «panni sporchi» messicani, e cioè indigeni abbandonati
a Santa Cruz e indigeni che lottano per la terra in Chiapas,
devono esclusivamente essere «lavati in famiglia». Lo scorso
dicembre abbiamo anche visto come: 45 persone, tra cui
donne, vecchi e bambini, barbaramente uccise dagli squadroni
della morte mentre pregavano.
Con tutto il rispetto, l'indignazione e la rabbia, per questo
sangue innocente, torniamo a Santa Croce.
Parliamo di Internet. In pratica chi ha un computer oggi,
collegandosi tramite un modem ed un telefono, può accedere alla
rete mondiale e leggere milioni di documenti del genere più
vario: vi troviamo ricette esotiche, testi di canzoni,
fotografie, canti, lettere d'amore ed altro. In questo «oceano»
in cui si «naviga», c'è anche il nostro spazio, e cioè il
«sito» del Gruppo Missionario, su cui si trova anche la copia
fedele di tutti i numeri de Il Foglietto.
Molto scalpore ha destato la pubblicazione sul
nostro sito di un precedente numero del nostro giornale, in cui
era contenuta una lettera aperta di un componente del Gruppo
Missionario rivolta al Parroco ed al Consiglio Pastorale. Non
l'avessimo mai fatto: secondo alcuni sacerdoti è improponibile
ed inaccettabile un tale comportamento, in quanto causa di
scandalo. Ci sono mille (?) altri modi per risolvere problemi del
genere: l'importante è discutere senza fare molto chiasso.
Inoltre proprio noi non possiamo lamentarci visto che facciamo
ciò che vogliamo a Santa Croce, anche «la solidarietà con
l'africano». Non è «igienico»occuparsi di faccende che non ci
competono.
Ed ecco di nuovo riapparire il succitato proverbio. A questo
punto, poiché come si è notato, non intendiamo accettare i
consigli dei nostri antenati, vediamo quali sono i «panni
sporchi» della parrocchia: immobilità, disorganizzazione,
assenza del sentimento di comunità, mancanza di riferimenti, la
desolazione che coglie chiunque partecipi anche saltuariamente
alla vita della nostra parrocchia.
Ed il modo di «lavarli in famiglia» dovrebbe essere: fare buon
viso a cattivo gioco, accontentarsi, non lamentarsi perché c'è
chi sta peggio di noi, e magari ringraziare. Intanto S. Croce,
chiesa del popoloso quartiere di Torrione, diventa una parrocchia
di anziani. I giovani sono dovunque: in auto, a piedi, sulle
panchine, ma non nei gruppi, che pure presentano un'ampia scelta.
Non c'è più nemmeno l'Azione Cattolica per i bambini, attività
storica nella nostra parrocchia. Le S. Messe risentono
dell'improvvisazione, si passano ore a parlare senza agire per
smuovere la situazione, il Centro Sociale parrocchiale è
diventato una catapecchia sporca ed abbandonata dove chiunque fa
i propri comodi, compresi gli ormai «mitici» Carabinieri-in-pensione
che, nei secoli fedeli, trotterellano su e giù per le scale.
Sono queste le faccende «che non ci competono»?
Il presente ed il futuro della nostra parrocchia, e quindi, fatte
le dovute proporzioni, della Chiesa, non è nelle mani di ogni
singolo fedele, così come ci insegna il Concilio Vaticano II?
Non siamo tutti ugualmente responsabili dell'annuncio del
Vangelo?
A me che scrivo quest'articolo viene da pensare: «Probabilmente
hanno ragione loro. Mi sto sbagliando. Ma a me, in fondo, chi me
lo fa fare? Ho tante preoccupazioni che mi ballano nel cervello,
ora mi metto a pensare anche alla parrocchia?»
Coloro che ci hanno criticato hanno già dato una risposta a
queste domande, nascondendo la testa sotto la sabbia, come gli
struzzi: vivi e lascia vivere.
Evviva la saggezza popolare!
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