[Il foglietto] Organo di collegamento del

Gruppo Missionario

Parrocchia S. Croce

Salerno

Maggio 1998

Guai a coloro che il Signore troverà ad occhi asciutti.

Gustavo Gutierrez


I panni sporchi
di Rosario De Chiara

In questo articolo parleremo di panni sporchi che, come da proverbio, devono essere lavati in famiglia.
Fuor di metafora, è risaputo che la saggezza popolare ci consiglia di far sì che le magagne, i peccati ed i bisticci di una qualsivoglia comunità di persone (famiglia, parrocchia, nazione), non diventino di pubblico dominio, in quanto gli estranei, che sicuramente non riuscirebbero a comprendere, potrebbero trarne giudizi affrettati, o peggio, immischiarsi. Questo proverbio, usato ed abusato, accomuna, in un incredibile parallelo, Santa Croce e Santa Cruz in Messico.
Andiamo per ordine: partiamo da Santa Cruz.
La suora saveriana con la quale abbiamo contatti ( e che gestisce i fondi che inviamo) ci scrive che la comunità di Santa Cruz soffre per la siccità e teme addirittura una carestia a causa degli sconvolgimenti atmosferici causati da El ñino (la corrente stagionale di aria calda che scorrazza per tutto il globo). Comunque siamo sempre presenti nelle sue preghiere e ci invia gli auguri per Pasqua.
Poi nella lettera ci dice anche «strane» cose del tipo: «Non diffondete i nostri nomi lì da voi, perché il governo messicano vede di cattivo occhio chi fa solidarietà con gli indigeni e chi parla del Chiapas, e potrebbero espellere noi straniere che stiamo lavorando qui...». E continua: «Qui ci sentiamo controllate e probabilmente leggono anche la nostra posta».
Perché il governo messicano ha un atteggiamento del genere verso suore che aiutano indigeni messicani a sopravvivere, rischiando la vita? Perché la solidarietà internazionale nei confronti del Chiapas è mal vista?
La spiegazione la troviamo proprio nel succitato proverbio. E così i «panni sporchi» messicani, e cioè indigeni abbandonati a Santa Cruz e indigeni che lottano per la terra in Chiapas, devono esclusivamente essere «lavati in famiglia». Lo scorso dicembre abbiamo anche visto come: 45 persone, tra cui donne, vecchi e bambini, barbaramente uccise dagli squadroni della morte mentre pregavano.
Con tutto il rispetto, l'indignazione e la rabbia, per questo sangue innocente, torniamo a Santa Croce.
Parliamo di Internet. In pratica chi ha un computer oggi, collegandosi tramite un modem ed un telefono, può accedere alla rete mondiale e leggere milioni di documenti del genere più vario: vi troviamo ricette esotiche, testi di canzoni, fotografie, canti, lettere d'amore ed altro. In questo «oceano» in cui si «naviga», c'è anche il nostro spazio, e cioè il «sito» del Gruppo Missionario, su cui si trova anche la copia fedele di tutti i numeri de Il Foglietto.
Molto scalpore ha destato la pubblicazione sul nostro sito di un precedente numero del nostro giornale, in cui era contenuta una lettera aperta di un componente del Gruppo Missionario rivolta al Parroco ed al Consiglio Pastorale. Non l'avessimo mai fatto: secondo alcuni sacerdoti è improponibile ed inaccettabile un tale comportamento, in quanto causa di scandalo. Ci sono mille (?) altri modi per risolvere problemi del genere: l'importante è discutere senza fare molto chiasso. Inoltre proprio noi non possiamo lamentarci visto che facciamo ciò che vogliamo a Santa Croce, anche «la solidarietà con l'africano». Non è «igienico»occuparsi di faccende che non ci competono.
Ed ecco di nuovo riapparire il succitato proverbio. A questo punto, poiché come si è notato, non intendiamo accettare i consigli dei nostri antenati, vediamo quali sono i «panni sporchi» della parrocchia: immobilità, disorganizzazione, assenza del sentimento di comunità, mancanza di riferimenti, la desolazione che coglie chiunque partecipi anche saltuariamente alla vita della nostra parrocchia.
Ed il modo di «lavarli in famiglia» dovrebbe essere: fare buon viso a cattivo gioco, accontentarsi, non lamentarsi perché c'è chi sta peggio di noi, e magari ringraziare. Intanto S. Croce, chiesa del popoloso quartiere di Torrione, diventa una parrocchia di anziani. I giovani sono dovunque: in auto, a piedi, sulle panchine, ma non nei gruppi, che pure presentano un'ampia scelta. Non c'è più nemmeno l'Azione Cattolica per i bambini, attività storica nella nostra parrocchia. Le S. Messe risentono dell'improvvisazione, si passano ore a parlare senza agire per smuovere la situazione, il Centro Sociale parrocchiale è diventato una catapecchia sporca ed abbandonata dove chiunque fa i propri comodi, compresi gli ormai «mitici» Carabinieri-in-pensione che, nei secoli fedeli, trotterellano su e giù per le scale.
Sono queste le faccende «che non ci competono»?
Il presente ed il futuro della nostra parrocchia, e quindi, fatte le dovute proporzioni, della Chiesa, non è nelle mani di ogni singolo fedele, così come ci insegna il Concilio Vaticano II? Non siamo tutti ugualmente responsabili dell'annuncio del Vangelo?
A me che scrivo quest'articolo viene da pensare: «Probabilmente hanno ragione loro. Mi sto sbagliando. Ma a me, in fondo, chi me lo fa fare? Ho tante preoccupazioni che mi ballano nel cervello, ora mi metto a pensare anche alla parrocchia?»
Coloro che ci hanno criticato hanno già dato una risposta a queste domande, nascondendo la testa sotto la sabbia, come gli struzzi: vivi e lascia vivere.
Evviva la saggezza popolare!



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