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Organo
di collegamento del Gruppo Missionario Parrocchia S. Croce Salerno Dicembre 2000 |
Guai a coloro che il
Signore troverà ad occhi asciutti.
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Io, lanti G8
Intervista a Beppe Grillo
Banane scatenate è il titolo del convegno organizzato lo scorso ottobre a Genova da CTM-Altromercato, organizzazione importatrice di prodotti del Sud del Mondo, Altreconomia, rivista di economia alternativa, e Centro Nuovo Modello di Sviluppo. La conferenza ruotava sull'iniziativa di commercializzare banane prodotte nel rispetto del diritto dei lavoratori e quindi al di fuori del mercato controllato dalle multinazionali. Al convegno era stato invitato anche Beppe Grillo. Il popolare comico ha raccolto l'appello degli organizzatori ma non ha potuto partecipare. In questa intervista spiega perché manifesterà contro il G8 in programma il prossimo luglio a Genova.
Beppe Grillo, oggi a Genova, l'Italia battezza le banane eque e solidali. La città che si prepara al G8 sembra sempre più sensibile alle ragioni di giustizia di chi vi si oppone.
Già. Sta venendo fuori in modo sempre più netto una nuova coscienza di giustizia, particolarmente nei giovani, a Genova e in tutta Italia. Quanto al G8, sto organizzando per giugno un incontro-spettacolo con padre Alex Zanotelli (missionario comboniano in Kenya, ndr). Ci siamo incontrati nel corso del suo passaggio in città il 5 ottobre. Mi ha promesso che tornerà per l'occasione. Sul bordo della mia piscina abbiamo parlato di molte cose. Lui ha detto: "Dobbiamo fare qualcosa!". "Intanto facciamoci un bagno" - gli ho risposto.
A cosa sta pensando, in concreto?
Ad un grande palco diviso come il mondo oggi, un 20% destinato ai ricchi, colmo di tutti i nostri lussi, computer e telefonini, e in mezzo io, e un 80% pieno di rifiuti con al centro Alex. Poi due maxi schermi: sul mio le immagini delle brutture occidentali, sul suo le ricchezze umane dell'Africa. Spero di poter fare tutto questo lo stadio Ferraris. Forse verrà Bocelli a cantare con noi.
Lei parla di economia, di giustizia, ma intanto accoglie ospiti in piscina...
Vero. Ma cambiare non vuol dire impoverire me per arricchire lui, ma ridistribuire la ricchezza di tutti. È un problema di giustizia e di corretta politica.
E' cambiato qualcosa dopo tanti armi di discorsi di questo tipo?
Sì e no. E ancora presto per sapere se sopravviveremo ai pochi gruppi economici superpotenti che si spartiscono quello che chiamano "il libero mercato" e sarà dura convertire le grandi catene di distribuzione delle merci. Tornando alle banane: per cambiare regime bisognerebbe consegnarle casa per casa, come l'olio Carli. La gente è pigra, non va oltre ciò che trova sugli scaffali del supermercato. Ma, come ho già detto, molti altri stanno maturando una nuova coscienza, anche grazie al lavoro del Commercio Equo e Solidale.
In questa parte matura, pero, non manca una frangia violenta, che rivendica diritti spaccando vetrine...
Lo trova strano? Viviamo in una società che non comunica più e non lascia più comunicare. A chi vuole protestare non rimane che lanciare sassi. È il principio dell'Intifada. La nostra grande rovina è che ci hanno asfaltato le strade e non possiamo metterci a tirare paracarri. In certi casi preferisco la violenza all'ingiustizia: è solo l'unica forma di espressione che è rimasta ai più. La violenza fa parte dell'uomo e quindi sta dentro anche al movimento di protesta di questi anni.
Parlava prima di corretta politica.
E essenziale ricondurre la politica in termini di bene pubblico. Ma si guardi attorno: parlano di "marketing sociale", vogliono creare uno stato aziendale che vive su spot di tipo commerciale! Agghiacciante. Il futuro di questa politica, il nostro futuro è in mano ai creativi, sono loro che ci convinceranno che l'importante è "essere puliti dentro e fare tanta tin tin". Sarà un palcoscenico straordinario da calcare, almeno per il mio lavoro. Per la società, ho i mie dubbi.
La convivenza è possibile
Appello a tutti i cittadini
La convivenza è possibile. Faticosa e difficile, ma utile e intelligente. Voci autorevoli e voci di piazza vogliono convincerci del contrario. Quelle voci, gridando ogni giorno che la convivenza è irrealizzabile, la rendono ogni giorno più precaria e rischiosa.
E, invece, la convivenza è possibile. Perché l'incontro e il confronto, la frequentazione e la consuetudine producono curiosità e conoscenza, riducono gli stereotipi e i pregiudizi, incentivano la reciprocità e lo scambio; cambiano le persone e le loro mentalità: quella di chi accoglie e quella di chi è accolto. Questo vuol dire, forse, che la convivenza tra differenti etnie, culture e religioni sia agevole e agevolmente realizzabile? Assolutamente no. Antichi paesi che avevano raggiunto una certa stabilità da tempi relativamente lunghi, che spesso conoscevano una sola lingua e i cui abitanti si riconoscevano in una sola religione, resi inquieti dalle nuove migrazioni, reagiscono con diffidenza. Da qui possono nascere tensioni e conflitti. Tensioni che possono essere mediate e conflitti che possono essere risolti pacificamente. Certo, con fatica, ma ne vale davvero la pena. Chi non crede a tale possibilità, si affida alla più velleitaria delle illusioni: serrare le porte, bloccare gli accessi, chiudere i confini. Inseguendo una soluzione irrealizzabile, non si opera per realizzare quelle possibili.
L'Italia è un grande paese democratico, dove i diritti universali della persona vengono solennemente affermati e - tra molti ritardi e contraddizioni - tutelati. Quei diritti sono la via maestra per formulare garanzie, ma anche doveri; prerogative, ma anche obblighi; libertà, ma anche vincoli. In altri termini, reciproca responsabilità. I diritti universali della persona fondano irrevocabilmente la disponibilità di garanzie sociali, civili e politiche per gli stranieri presenti nel nostro paese; e insieme indicano i vincoli da rispettare. Questo motiva l'inclusione dello straniero all'interno del sistema della cittadinanza (assistenza sanitaria, difesa legale, libertà di organizzazione e di culto collettivo ): ma, allo stesso tempo, motiva l'interdizione e la sanzione nei confronti di pratiche che, quei diritti, violano. Dunque, allo straniero residente nel nostro paese devono essere riconosciuti, tra gli altri, i diritti politici (come quello al voto nelle elezioni amministrative); dunque, allo straniero residente nel nostro paese sarà interdetto (e, in caso di violazione, sarà sanzionato con adeguata pena) l'esercizio di pratiche che - in nome di presunti motivi religiosi o tradizioni culturali - attentano alla integrità e alla dignità della persona. Secondo questo criterio vanno giudicati non solo i delitti comuni, ma anche atti come le mutilazioni sessuali femminili (non certo di derivazione musulmana), per le quali la proibizione e la condanna - peraltro condivisa dagli stessi movimenti di emancipazione dei paesi in cui vengono praticate - non possono che essere assolute; mentre questioni come la poligamia e l'uso del velo esigono strategie diverse di mediazione culturale, politica e giuridica. La forma poligamica di matrimonio - negata da più interpretazioni del Corano e interdetta per legge in alcuni paesi musulmani - non può essere riconosciuta dal nostro ordinamento: mentre la seconda questione - l'uso del velo - è invece passibile dii mediazioni che sappiano conciliare rispetto di consuetudini culturali e adempimenti di legge (fotografia identificabile sui documenti di riconoscimento).
Infine, c'è un'ultima categoria di controversie, che - in virtù, anzitutto, di un progressivo cambio di mentalità - possono essere disinnescate; controversie dove la differenza di opzioni religiose, forme culturali e stili di vita non comporta, di necessità, lacerazione. Quella differenza può, appunto, convivere pacificamente con altre opzioni religiose, forme culturali e stili di vita. Uno Stato democratico efficiente è in grado di accogliere le diverse forme di vita delle minoranze (riti religiosi, pratiche alimentari, festività), quando non pongono dilemmi etico-giuridici. Per intenderci, si dovrà prevedere che nei luoghi di lavoro e nelle sedi pubbliche (caserme, ospedali, uffici, scuole) vi sia la possibilità di attenersi alle regole alimentari delle minoranze (ebraiche, musulmane e di altre confessioni); e di rispettare i digiuni, le festività e le scadenze di preghiera. E già, sulla base dell'articolo 8 della Costituzione, che prevede la stipula di intese tra lo Stato e le confessioni diverse dalla cattolica, è stato possibile risolvere alcune di quelle questioni (dal riposo sabbatico ai matrimoni religiosi). In definitiva, il tipo di rapporto che potrà instaurarsi - e il tipo di conflitto che potrà verificarsi - tra cittadini stranieri e Stato democratico dipenderà, in primo luogo, dalla capacità delle leggi e delle istituzioni di distinguere tra ciò che è accettabile, ancorché diverso (magari radicalmente diverso), e ciò che non lo è.
Accettare ciò che è accettabile sulla base del criterio rappresentato dal rispetto dei diritti universali della persona, non è solo segno di forza e di maturità del sistema democratico e dello Stato laico rispetto a quelli dispotici e/o confessionali: è anche metro di giudizio sufficientemente certo ed equo per poter rifiutare ciò che, invece, accettabile non è. Lo Stato deve proporsi come casa comune in grado di offrire a quanti risiedano nel suo territorio pari opportunità per coltivare i propri valori e affermare i propri diritti: tra cui quello, di rango costituzionale, di poter professare la propria fede religiosa, nel rispetto dell'ordinamento giuridico italiano.
E che ciascun figlio di Abramo e ciascun figlio dell'uomo costruisca il suo tempio.
Luigi Manconi; mons. Luigi Bettazzi; p. Enzo Bianchi, priore del monastero di Bose; Franco Di Maria, presidente dell'Unione Induista Italiana; Mariangela Falà, presidente dell'Unione Buddista Italiana; Giovanni Genre, moderatore della Tavola Valdese; Amos Luzzatto, presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane; Ali Schutz, segretario del Fondaco del Moro; don Vinicio Albanesi; Khaled Fouad Allam, docente universitario; Gad Lerner; don Luigi Ciotti.
Per sottoscrivere: l.manconi@senato.it
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