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Organo
di collegamento del Gruppo Missionario Parrocchia S. Croce Salerno Dicembre 2001 |
Guai a coloro che il
Signore troverà ad occhi asciutti.
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Il Gruppo
Missionario, in occasione dell’inizio dell’Avvento, tempo di annuncio e
preparazione al Natale di Nostro Signore Gesù Cristo, vi presenta questo
documento di fratel Emanuele Carlo Mac Carthy, prete statunitense, attualissimo,
anche se scritto in occasione della Pasqua del 1982, e lo consegna alla vostra
lettura e riflessione. E un po’ lungo, fitto, denso di contenuti, ma ne vale
la pena.
E ricordate: occhio per occhio rende cieco il mondo! Buona
Lettura.
Epistola alla Chiesa del XXI Secolo
Superare la dottrina della guerra giusta
di fratel Emanuele Carlo Mac Carthy
Conversione
di un generale
Il punto principale da considerare è che le armi nucleari sono il peggior danno
che minaccia l'umanità. In realtà non si tratta di armi, bensì di un genere
di bombe biologiche a scoppio ritardato, i cui effetti trascendono lo spazio e
il tempo, inquinando la terra e i suoi abitanti per molte generazioni a venire.
Per gran parte della mia vita, certamente negli anni in cui indossavo l'uniforme
di generale dell'esercito, la pensavo in modo diametralmente opposto a quanto
andrò di seguito esponendo.
Problema
“guerra”
L'ipotesi di questa lettera è che il Cristo ha qualcosa
d'importante da dirci a proposito della maniera di vivere la vita cristiana. Lo
scopo di queste riflessioni è di ricercare la Verità del Cristo, con la
comunità dei cristiani e all'interno di essa. E' un testo serio, presentato
seriamente: è la questione che è seria; si tratta precisissimamente della
guerra e di ciò che il Cristo attende da coloro che Lo seguono, riguardo a
questo fenomeno tuttora esistente. Tuttavia il mio discorso e il mio
ragionamento non procedono assolutamente da uno spirito ostile verso chicchessia
fra i membri della comunità cristiana; lo scopo non è di impiantare ostilità
verso altri nella Chiesa. Ma vi sono fatti terribili e spiacevoli nella storia
cristiana e nella vita cristiana di oggi, che dobbiamo esaminare. Noi abbiamo
attualmente 1.600 anni di cristianità cosiddetta postcostantiniana, con la sua
giustificazione della guerra e della violenza ad uso dei cristiani. Ogni secolo
passato ha visto un crescendo di brutalità e inselvatichimento cristiani, e
oggi, nel solo secolo ventesimo appena lasciato alle spalle, abbiamo tra cento e
duecento milioni di cadaveri, vittime della guerra, imbevendo di sangue tutto il
paesaggio del nostro pianeta. Una percentuale impressionante di queste
distruzioni disumane può essere direttamente attribuita a coloro che si
autodefiniscono cristiani, discepoli del Principe della pace. Eppure, non fu
sempre così. Durante i primi tre secoli del cristianesimo, la Chiesa era
nonviolenta. Dall'inizio del quarto secolo la Chiesa cominciò ad accettare di
collaborare, cioè a partecipare alla guerra e alla violenza del dittatore,
allora non-cristiano, di Roma, Costantino; così debuttò la costantinizzazione
della Chiesa... Alla fine del ventesimo secolo i cristiani sono così occupati
ad arrostirsi gli uni gli altri a morte, con uragani di fuoco costruiti dalla
mano dell'uomo, a preparare bombe atomiche e a minacciare di lanciarle gli uni
contro gli altri.., e si sforzano di giustificare tutto ciò con sistemi di
morale e di teologia, nel nome di Gesù Cristo. E' davvero ciò che il Cristo
aveva nel suo spirito al servizio dei suoi discepoli? Se no, come può la Chiesa
giustificare, approvare, appoggiare l'implicazione dei suoi membri e il loro
accondiscendere? La questione per la Chiesa non è solo la guerra e le armi
nucleari. La questione è la guerra stessa.
“Amate
i vostri nemici!”
Certo sarebbe più confortevole per la Comunità del Cristo,
specie per chi esercita un ruolo di guida all'interno della Chiesa, dedicare
tutta la propria attenzione a problemi di angelismo o di giurisdizione
episcopale. Ma tali problemi non sembrano così pressanti come quello della
giustificazione cristiana della violenza e della guerra in un mondo di
distruzione tecnologica avanzata. Proclamare il Vangelo in tutta la sua
pienezza, eccetto quando esso tocca le questioni morali e religiose centrali del
nostro tempo, è un fallimento nella proclamazione del Vangelo... Al termine
della traversata della vita possa ciascuno essere in grado di ritornare in pace
alla sorgente dicendo con Paolo: “Non ho resistito alla visione celeste”
(Atti 26,19). Il nemico di una nazione non è nemico di Dio. Il nemico di una
persona, chiunque esso sia, o di un gruppo è un figlio di Dio, che dev’essere
amato come Dio l'ama (lui o lei), cioè come Cristo ama. Gesù Cristo è Dio
incarnato. Gesù Cristo è l'immagine visibile del Dio invisibile. Gesù Cristo
non è dunque una dimensione, e nulla più, della vita cristiana. Se Gesù non
è tutto per il cristiano, allora è niente. La sua vera natura, in quanto Dio,
è di essere tutto e, in quanto uomo, di essere il cammino verso il tutto. Gesù
Cristo è. quindi, la norma ultima per la morale e l'etica cristiana. E' l'Alfa
e l'Omega. Egli ha esplicitamente chiesto ai seguaci di “osservare tutto ciò
che Egli ha comandato” e di “amare come Egli ha amato”. Ora, il
comandamento di Gesù “Amate i vostri nemici” è sempre espresso
all'imperativo e al plurale: non conosce eccezione. L'amore dei nemici, con Gesù
per modello, è il contrario della morale comune, sofisticata o no. Pertanto si
può dire, con tutta certezza riguardo alla erudizione scritturistica, che
questa frase è dovuta a Gesù stesso. Si può similmente dire, con la più
grande certezza storica, che questa frase è la più citata, nei discorsi su Gesù,
durante i primi due secoli del cristianesimo. Non è dunque ammissibile che
questo amore, che è incarnato in Gesù Cristo e che i cristiani sono chiamati a
condividere e ad imitare, possa essere qualcos'altro che l'amore nonviolento
verso tutti, nemici compresi. Se Gesù Cristo è la norma ultima in materia di
condotta cristiana - e, se non lo è, è difficile immaginare chi (o che cosa)
si possa proclamare di meglio quale sommo slogan della vita cristiana - allora
risulta chiaro che vi sono degli assoluti etici nella vita e nel comportamento
del discepolo cristiano. Per esempio, se ci si deve sforzare di vivere Gesù
Cristo, non c'è possibilità per un cristiano di impegnarsi nel latrocinio; e
nemmeno nell'esecuzione dell'omicidio di massa, ossia della guerra. Vi sono
attività alle quali il cristiano non può partecipare, perché cattive, cioè
contrarie alla volontà di Dio rivelata da Gesù Cristo, che è il Verbo, la
Parola stessa di Dio. E' molto semplice: il cristiano non può agire là dove
non c'è possibilità alcuna di agire cristianamente... Vorrei insistere
pressantemente..: la questione per la Chiesa non è la guerra nucleare, ma il
rigetto totale e senza equivoci, in teoria e in pratica, di ogni guerra e strage
di massa. Non c'è nulla nella vita e nell'insegnamento del Cristo che possa far
pensare che, mentre è illegittimo incenerire tutto un popolo con testate
nucleari, sarebbe legittimo incenerirlo al napalm o con i lanciafiamme. Siamo
chiari: è la guerra che il cristiano mette in questione, non la sola guerra
nucleare. Una morale anti-guerra nucleare è un aspetto necessario della
coscienza cristiana; ma non è sufficiente. Occorre assai di più
“rivestire il pensiero del Cristo”. Il pericolo reale è che,
condannando unicamente la guerra nucleare, il cristiano lasci intendere di
approvare moralmente le altre forme di strage di massa.
Chiamare
la guerra con il suo nome
Quella dell'equilibrio del terrore è una morale che il
Cristo non ha mai insegnato. L'etica del macello di massa non si può trovare
nell'insegnamento di Gesù. Bisogna chiamare le cose con il loro nome; avere il
coraggio di guardare in faccia la guerra. Quando si pensa che l'eroina non è
che una specie di aspirina, si arriva a un'etica cristiana che giustifica la
vendita di eroina ai ragazzi. La storia della giustificazione della guerra è un
dispiegamento di eufemismi: la strage di massa si chiama una dimostrazione di
forza o reazione di protezione. Con questo tipo di linguaggio, il Principe della
Menzogna è invitato a nozze. Così, nella dottrina della guerra giusta, Gesù
Cristo, che è il tutto della vita cristiana, è una persona spiazzata. Potrebbe
benissimo non essere mai esistito. Nella dottrina della guerra giusta non c'è
aggancio alla sua persona o al suo insegnamento, perché non è possibile
trovarvi nemmeno un appiglio... Siamo chiari. Il mondo ci osserva. Tagliare in
quattro un capello a proposito della moralità dei diversi tipi di attrezzatura
o di strutture in vista della strage di massa non è ciò di cui il mondo ha
bisogno, da parte della Chiesa... Ciò di cui il mondo ha bisogno è un
movimento di cristiani disposti ad “alzarsi e pagare di persona” insieme a
Gesù Cristo. Il mondo ha bisogno di cristiani che proclamino: “Il discepolo
del Cristo non può partecipare alla strage di massa. Il cristiano o la
cristiana deve amare come Cristo ha amato, vivere come Cristo è vissuto e, se
necessario, morire come Cristo è morto, amando il suo nemico”. Alcuni
preferiscono che l'insegnamento del Cristo sulla nonviolenza appaia come ingenuo
e ridicolo dal punto di vista del cristiano medio. Essi insegnano e agiscono
come se la nonviolenza cristiana fosse una interpretazione di Gesù Cristo e del
suo insegnamento teologicamente semplicista, razionalmente assurda,
pragmaticamente impraticabile e spiritualmente inconsistente. Sono cristiani con
simili idee che in maggioranza dominano nella più parte delle chiese.
L'autentica nonviolenza cristiana, in tal modo, viene raramente trasmessa od
offerta alla portata della comunità cristiana in generale. Quando in una
Chiesa, o in una scuola o in un seminario si presenta l'occasione di riflettere
sull'amore nonviolento, lo si fa normalmente in termini talmente vaghi e
superficiali, così da convincere che nessuno, neppure Cristo in persona,
saprebbe difendere seriamente una tale posizione.
La
difesa cristiana: la croce - il martirio
Eppure, durante i 300 anni che seguirono immediatamente la
risurrezione del Cristo, la Chiesa ebbe universalmente una visione del Cristo e
del suo insegnamento come nonviolenti. E' bene ricordare che la Chiesa insegnò
questa etica di fronte ad almeno tre tentativi dello stato di liquidarla. Era
una Chiesa esposta ad una tortura e ad una morte orribili e programmate: era
questa Chiesa che insegnava senza equivoci un'etica di nonviolenza. Se mai vi fu
occasione per un'etica cristiana di rappresaglie giustificate e di strage
difensiva, nella forma sia di dottrina della guerra giusta, sia di rivoluzione
violenta giusta, fu questa. Le élites economiche e politiche di Roma e il loro
supporto militare avevano rivolto i cittadini dello stato contro i cristiani e
si erano dedicati ad una politica criminale pubblica di sterminio della comunità
cristiana. Eppure la Chiesa, esposta a tali crimini odiosi contro i suoi membri,
insisteva senza riserve sul fatto che, disarmando l'apostolo Pietro, il Cristo
aveva disarmato tutti i cristiani. Questi continuavano a credere che il Cristo
era, per impiegare le parole di un'antica liturgia del “bacio della pace”,
“la loro fortezza, il loro rifugio e la loro forza” e che, se il Cristo era
tutto ciò di cui essi avevano bisogno, in fatto di difesa e di sicurezza,
ebbene, il Cristo sarebbe stato tutto ciò che avrebbero avuto. Si trattava
davvero di una dottrina di sicurezza tutta nuova. I cristiani comprendevano che,
se volevano seguire Cristo solo e i suoi insegnamenti, non c'era pericolo di
fallimento. Quando vennero offerte ai cristiani buone occasioni di ammansire lo
stato raggiungendo l'armata romana al fronte, queste occasioni vennero respinte,
perché la primitiva Chiesa vedeva una incompatibilità totale ed evidente tra
amare come Cristo ama e uccidere. Il Dio della Comunità Cristiana, durante i
suoi 300 primi anni di esistenza, non era Marte, era il Cristo. Era dunque
Cristo, e non Marte, che determinava come una cristiana o un cristiano impiegava
il suo tempo, il suo modo di vedere, la sua vita. Era il Cristo, e non Marte,
che dava la sicurezza e la pace. Durante questi 300 anni, la Chiesa continuava a
crescere, per meglio dire, a diffondersi. Essa sopravvisse senza ricorrere alla
guerra né alla violenza. Essa sopravvisse perché il Cristo vivente aveva
garantito la sua sopravvivenza. Gli unici a pensare che gli insegnamenti del
Cristo sull'amore nonviolento erano teologicamente semplicisti, razionalmente
assurdi, pragmaticamente impraticabili e spiritualmente inconsistenti erano o i
cultori di Marte, il dio della guerra, o coloro che non credevano che Cristo è
la Via e la Verità. Nessuno nella Chiesa primitiva nonviolenta insegnò che i
cristiani dovevano ignorare il male o lasciarlo correre. La Chiesa sapeva, ed
era parte della sua vera identità, che essa doveva vivere in una lotta, per la
vita e per la morte, contro il male. Il cristiano doveva vincere il male con il
bene e, se fosse stato richiesto, doveva dare la sua vita nel corso di questa
lotta contro il male. Ma “dare” la vita non significa “prendere”, salvo
in questo mondo dal linguaggio politico e teologico biforcuto, dove servo
significa capo. In altre parole, per la primitiva Chiesa, il martirio era
un'attività sociale maggiore. “Deporre la propria vita” (e non ucciderne
un'altra), rispondendo al male con il bene, era considerato atto supremo di
responsabilità sociale. Si riteneva che il modo più efficace di mostrarsi
socialmente responsabile era di rifiutare di collaborare con il male sociale,
ossia con la guerra e la strage di massa. Il cristiano aveva questa evidenza
intima: non basta dire semplicemente che ci si oppone al male. Essere pronto a
soffrire o sopportare ciò che deve essere sofferto o sopportato, nell'intento
di amare come Cristo ha amato, questo era inteso, si fosse uomo o donna, come la
condizione senza la quale non vi può essere vita cristiana. Un senso serio
della responsabilità sociale esigeva ben più che dire: “Sono contrario alla
vendita di eroina ai ragazzi” o “sono contro la guerra”. L'opposizione
verbale a un grave male può essere meglio di niente, ma è di basso livello in
materia di responsabilità sociale o quando si è un discepolo. La primitiva
Chiesa comprendeva che un senso autentico della responsabilità sociale doveva
tradursi nel rifiuto di partecipare a un male che si era condannato a parole.
Questa spiritualità cristiana primitiva della responsabilità sociale,
spiritualità consistente nel parlar chiaro e nel pagare di persona, dista anni
luce da un'etica della responsabilità sociale che giustifica un parlare ambiguo
a proposito del male, nell'attesa di parteciparvi, finché tutti siano d'accordo
di non più parteciparvi. I nostri padri e madri spirituali dei primi tre secoli
del cristianesimo sapevano che Gesù, loro Dio e Signore, non permetteva a
nessuno dei suoi discepoli di sostituire la violenza all'amore; e così
parlavano e agivano in armonia, da cristiani socialmente responsabili. In
concreto, la nonviolenza cristiana non poteva essere resa ingenua o vana
mediante un'allusione condiscendente a un idealismo o ad una utopia
irrealistica. Niente di ciò. La nonviolenza cristiana è la volontà di Dio
rivelata mediante la vita e l'insegnamento di Gesù Cristo. Le utopie sono
fantasie umane, alle quali nessuna persona seria presta fede. L'insegnamento di
Gesù è, invece, un Mandato Divino, al quale tutti i cristiani sono tenuti a
prestare fede totale. Quando Dio parla, una obbedienza incondizionata è la sola
risposta giusta, perché la parola di Dio è Potenza e Saggezza, le sole Potenze
e Saggezze che contano. Obbedire alla volontà di Dio significa essere realisti
e pragmatici. Rifiutarsi di obbedirGli è il colmo della ingenuità... Rifiutare
di cooperare con la Potenza e la Saggezza di Dio è irrazionale... Sforzarsi di
adorare Cristo in pubblico, mentre in segreto si giudica come irrealistica la
sua dottrina della nonviolenza, è cosa aberrante. Ci sono coloro che, a ogni
buon conto, pensano che Gesù abbia bisogno delle loro rettifiche, perché non
era capace di esprimersi Egli stesso chiaramente, avuto riguardo a ciò che Egli
avrebbe voluto realmente far comprendere circa la violenza, i nemici ecc. E'
quella stessa specie di cristiani per i quali il martirio, in quanto attività
spiritualmente e socialmente responsabile, non è valido se non nel caso in cui
non si possa, si sia uomo o donna, metter mano agli strumenti di distruzione
umana. “Se avete la possibilità di uccidere il vostro nemico, a che pro i
martiri?”, ecco quella che sembra essere la dinamica operativa di questa vita
etica e spirituale votata all'omicidio giustificato. Per i cristiani vicini a
Gesù nel sentimento e nello spazio, che per certo oggi sono rigettati come una
banda di barboni teologici, combattere la guerra con la guerra equivarrebbe a
coinvolgersi nel male e ad accrescerlo, nonostante l'intenzione di eliminarlo.
Altrimenti detto, era chiaro, per costoro spiritualmente e politicamente
non-sofistici, dei primi tre secoli, che non rimaneva altra scelta che propagare
il Regno di Dio con i metodi propri del Regno di Dio. La guerra e la violenza
non facevano parte del metodo e nemmeno il martire come ultima risorsa dopo la
sconfitta in guerra. Occorre interrogarsi se ciò che fu chiamato “seme di
cristiani”, ossia il martirio, sia stato svalutato quale principio di
responsabilità personale e sociale, nelle principali chiese d'oggi... E' il
momento di richiamare l'osservazione del Mahatma Gandhi, secondo la quale “i
soli popoli della terra che non vedono la nonviolenza del Cristo e dei suoi
insegnamenti sono quelli cristiani”. Siamo onesti: la ricerca di un Vangelo
con delle scappatoie è spiritualmente vana. Non è la Verità che motiva una
tale ricerca. E' la paura, lo spavento dinanzi alla morte e il rifiuto di
credere che il Cristo si è alzato di tra i morti, e ciò per mezzo della sua
stessa morte. Egli ha vinto la morte e ha dato la vita a tutti quelli che erano
nella tomba. Prendere coscienza che il Cristo è in mezzo a noi e che lo sarà
sempre, è questo che rende il suo comandamento “amatevi come io vi ho
amato” possibile e ragionevole... E' la risurrezione del Cristo e la sua
presenza o dimora con noi che confermano la verità e la potenza della sua
definizione dell'amore... Senza conversione alla fede nella persona del Cristo,
la fede nell'etica di vita che Egli proclama è insostenibile, impossibile.
Senza la risurrezione della sua persona, la fede nell'etica della sua croce di
amore nonviolento è vana. Ma se il Cristo è risuscitato, allora effettivamente
questa croce dell'amore nonviolento è la Via e la Verità. La croce e la
risurrezione sono una sola cosa. La sua persona e il suo messaggio fanno
tutt'uno...
Dio-Trinità
- Dio-Amore: il cammino del cristiano è l'amore nonviolento
S. Paolo, riconoscendo quanti spiriti altri, rispetto a
quello di Cristo, s'industriano di impossessarsi di noi, dice che è necessario
per il cristiano “pregare senza tregua”. S. Giovanni Climaco, a proposito
della preghiera ripetitiva del nome di Gesù, dice: “Volgete in fuga i vostri
nemici con il Nome di Gesù, perché non v'è arma più potente né in cielo né
sulla terra”. Pregando così, non si può certo giustificare la violenza e la
guerra, come invece non dispiace a una certa teologia corrente. Una coscienza
continua del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo è, secondo s. Paolo,
necessaria, al fine di pentirsi davvero e di rivestirsi del pensiero del Cristo.
S. Paolo ritiene che, in buon realismo etico, è impossibile impegnarsi nel
male, ossia nella guerra e nella violenza, se si sta occupati a “pregare senza
tregua”. Ma egli sottintende anche che una coscienza continua della presenza
di Dio in quanto Amore è di fatto la coscienza stessa di Gesù, il suo stato di
coscienza. Tutto il male viene dal non capire che Dio è più vicino a noi del
nostro respiro. Lo spirito del Cristo non è primariamente centrato sul rifiuto
della violenza, ma sull'amore. Il centro di questo amore è la comunità di
amore che abita dentro di noi, sotto il nome di Santa Trinità. Rivestirsi del
pensiero di Cristo è vivere la presenza cosciente del Dio-Amore, del Dio
Padre-Figlio-Spirito Santo. Una spiritualità veramente cristiana ci conduce a
una presa di coscienza crescente del totale coinvolgimento della nostra persona
e di tutta la creazione in questa comunione d'Amore, che è la SS. Trinità. Un
pensiero e un'anima che abbiano una tale coscienza non sono pensiero e anima
pieni di pensieri di guerra e di violenza. E' inconcepibile che uno impegnato a
“rivestirsi del pensiero di Cristo”, a vivere alla presenza del Dio-Amore,
compassionevole, del Dio-Trinità, pensi mai a giustificare la guerra e la
violenza (non parliamo di parteciparvi).
Cristiano
scegli: o Marte o Cristo
Una dottrina della guerra giusta è un tentativo di
giustificare moralmente la strage di massa, che Gesù ha esplicitamente espulso
dal suo pensiero. E' un cristianesimo senza Cristo. E' un tentativo di
giustificare il rifiuto del cristiano di “rivestirsi del pensiero di
Cristo”, di vivere alla presenza della Trinità. Il pensiero che emana dal
Dio-Trinità è agli antipodi di quello che emana dal dio Marte. Giustificare
quest'ultimo nella terminologia del primo è abominio idolatrico, che continuerà
a spargere caos e tragedie sino ai confini del mondo. La scelta è tra il
rivestirsi del pensiero di Cristo o di non importa quale altro pensiero.
Impossibile star neutrali. Non è facile rivestirsi del pensiero di Cristo,
pentirsi. E tuttavia è il prezzo della pace sulla terra. Ma se non si accetta
di pagare il prezzo della pace, allora si pagherà il prezzo della guerra. Se
non si desidera assumere la “santa violenza” (o ascesi) di una vita di
preghiera incessante, con la quale impossessarsi del Regno dei Cieli, allora
speriamo che si avrà almeno la decenza e l'onestà di non cercare di
giustificare come cristiana la violenza non santa, per mezzo della quale i regni
di questo mondo sono continuamente e inevitabilmente condotti alla loro totale e
permanente distruzione.
Conclusione
No!
La questione, per la Chiesa, non è l'armamento nucleare, la guerra nucleare. La
questione è: la guerra. Da 1.600 anni il popolo di Dio è stato inchiodato
sulla croce delle giustificazioni cristiane al macello di vite umane. Ciò deve
finire! La partecipazione cristiana alla barbarie della strage di massa è la
negazione incarnata della Verità del Vangelo. Se i cristiani si temono gli uni
gli altri o temono i non-cristiani, allora c'è un problema spirituale-pastorale
di ampiezza incalcolabile. Ove esistesse un tale malessere, la Chiesa dovrebbe
investire tutte le sue risorse per alleviarlo. Ma ciò che la Chiesa deve
interdirsi di fare è di giustificare rappresentazioni false e grottesche del
Cristo e della sua dottrina, in contraddizione con gli insegnamenti più chiari
di Gesù. Non c'è passo del Vangelo in cui Cristo dica che i suoi discepoli
sono esenti dal seguirlo perché temono certe conseguenze. La fedeltà al Cristo
include la fedeltà ai modi di fare del Cristo. Il cammino del Cristo è quello
della croce e il cammino della croce è quello dell'amore nonviolento, istante
per istante. Siamo chiamati dal Principe della Pace a essere un Popolo di Pace.
Dobbiamo essere i testimoni pacifici della risurrezione, contenti di pregare
senza tregua, di amare alla maniera del Cristo e di sparire volentieri dal tempo
che è il nostro. Non si pretende nulla più da noi. Non c'è bisogno d'altro da
parte nostra. Ma essendo liberi, dobbiamo scegliere: tra preghiera incessante e
violenza incessante, tra il pensiero di Cristo e il pensiero di Marte, tra la
croce e la spada, tra l'amore definito dal Cristo o da non si sa chi, tra la
vita e la morte. Dobbiamo scegliere. Vi sono forse due Vangeli? Quello della
nonviolenza e quello della strage di massa? O ce n'è uno solo? Obbediamo, come
Paolo, alla “visione celeste”; il resto non ci interessa. Scegliamo la Verità
del Cristo; siamo senza paura e sorridiamo. Dio è stato con noi dall'inizio e
Dio è con noi ora e sempre, nei secoli dei secoli. Amen. Cristo è risuscitato!
Davvero Egli è risorto!
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