Nelle difficili condizioni della Sierra Maestra quello era un giorno
di gloria. Lungo Agua Revés, una delle valli più anguste
e intricate della conca del Turquino, seguivamo pazientemente i reparti
di Sánchez Mosquera; il boia si lasciava dietro una distesa di fattorie
incendiate, di fosca tristezza in tutta la regione, ma il suoi percorso
lo portava necessariamente a salire verso uno dei due o tre punti della
Sierra dove erano appostati gli uomini di Camilo (Cienfuegos nds).
Forse la fattoria della Nevada o quella che noi chiamavamo la fattoria
"dello storpio", ora chiamata "del morto".
Camilo era partito in tutta fretta con una dozzina di uomini, cioè
parte della sua avanguardia, e questo esiguo numero doveva distribuirsi
in tre diversi luoghi per trattenere una colonna di cento uomnin e più.
La sua missione era di piombare alle spalle di Sánchez Mosquera
e di accerchiarlo. La nostra maggior preoccupazione era appunto l'accerchiamento
e per questa ragione seguivamo a distanza soltanto con gli occhi l'agonia
delle capanne che bruciavano sulle traccie della retroguzardia nemica.
Non sapevamo quanto fossero in tutto i soldati. La nostra colonna procedeva
a fatica a mezza costa, mentre a fondovalle marciava il nemico.
Tutto sarebbe andato alla perfezione se non fosse stato per la nostra
nuova mascotte, un cagnolino da caccia nato da poche settimane. Nonostante
i ripetuti tentativi di Félix per costringerlo a tornare al nostro
centro operativo (una casa dove erano rimasti i cucinieri), il cucciolo
continuava a seguiore la colonna. In quella zona della Siera Maestra il
pasaggio a mezza costa diventa estremamente difficile per mancanza di sentieri.
Attraversammo una difficile pelúa (luogo dalla vegetazione
molto intricata), un luogo dove i vecchi alberi della tumba (alberi
morti) erano coperti dalla nuova vegetazione cresciuta successivamente
e dove il cammino era estremamente faticoso. Saltavamo da un tronco all'altro
e di sasso in sasso, cercando di non perdere il contatto con i nostri ospiti.
La piccola colonna marciava conservando il silenzio che si deve oservare
in casi del genere, perchè bastava un ramoscello spezzato a turbare
il mormorio abituale della selva; questo fu turbato di colpo quando, improvvisamente,
echeggiarono i latrati sconsolati e nervosi del cagnolino. Era rimasto
indietro e abbaiava disperatamente invocando i suoi padroni, che lo aiutassero
in quel difficile frangente. Qualcuno aiutò il cuccilo e proseguimmo;
ma mentre ci stavamo riposando in fondo a un canalone, con una vedetta
che non perdeva d'occhio i movimenti dei reparti nemici, il cagnolino tornò
a lanciare i suoi isterici ululati; non ubbidiva ai nostri richiami, aveva
paura di essere abbandonato e latrava disperatamente.
Ricordo ancora il mio ordine tassativo: "Félix, questo cane
non deve più abbaiare. Occupatene tu. Strozzalo. Non deve rimettersi
a gridare." Félix mi guardò con occhi che non dicevano nulla.
In mezzo agli uomini stanchi, quasi a fare da centro del circolo, c'erano
lui e il cucciolo. Con grande lentezza Félix tagliò una liana,
la passò attorno al collo del cagnolino e cominciò a stringere.
I grazionsi scodinzolii della bestiola cominciarono a farsi convulsi, per
scemare poi a poco a poco d'intensità al ritmo di un lamento insistente
che sembrava voler sconguirare il cerchio attanagliante della liana che
stringeva la piccola gola. Non so quanto tempo trascorse, ma a tutti l'intervallo
fino alla fine sembrò un'eternità. Il cucciolo, dopo un ultimo
scuotimento improvviso, cessò di dibattersi. Restò lì,
come ancora vivo, per terra, con la testolina posata sopra i rami morti
della macchia.
Proseguimmo la marcia senza minimamente commentare l'episodio. Le truppe
di Sánchez Mosquera avevano acquistato un certo vantaggio su di
noi e, poco dopo, si udirono degli spari; ci buttammo a precipizio giù
dal costone, cercando, tra le asperità del terreno, la strada più
breve per piombare sulla retroguardia nemica, poichè sapevamo che
Camilo era entrato in azione. Ci bastò giungere alla prima casa
del fondo valle; da qui procedemmo con molta cautela, pensando di imbatterci
da un momento all'altro nel nemico. La sparatoria era stata molto intensa,
ma era durata poco. Eravamo tutti molto tesi nell'aspettativa: anche la
casa che avevamo raggiunto era stata abbandonata. Nesuna traccia della
soldatesca. Due esploratori salirono fino alla fattoria dello "storpio"
e quasi subito tornarono con la notizia: "Lassù c'è una tomba.
L'abbiamo aperta e abbiamo trovato un soldato sepolto". Avevano posrtato
anche i documenti della vittima, trovati nelle tasche della camicia. C'era
stato uno scontro e un morto. Il morto era dei loro, ma non sapevamo altro.
Proseguimmo lentamente, più distesi. Due perlustrazioni portarono
alla scoperta di un largo tratto di tracce fresche su entrambi i lati dei
ghiaioni della Maestra, ma niente più. Cominciò lento il
ritorno, questa volta lungo la strada del fondo valle.
A notte fatta giungemmo a una casa, anch'esa vuota. Era la masseria
di Mar Verde e qui potevamo riposare. Venne cotto subito un maialetto con
un po' di verdura e ben presto il rancio fu pronto. Qualcuno cantava accompagnandosi
con una chitarra, poichè le case contadine venivano sempre abbandonate
all'improvviso, con tutte le masserizie e gli oggetti di proprietà
della famiglia.
Non so se fosse il canto sentimentale, o forse la notte, o la stanchezza...
So che a un certo momento Félix, che mangiava seduto a terra, gettò
un'osso. Un cane della casa si avviconò mansueto e raccolse l'osso.
Félix gli pose una mano sulla testa, il cane lo guardò; Félix
lo guardò a sua volta e poi il suo sguardo incontrò il mio,
e coì ci guardammo quasi con aria colpevole. Lasciammo ben presto
la casa in silenzio, opprerssi nell'intimo da una commozione indefinibile.
Accanto a ciascuno di noi, col suo occhio mansueto, con un'espressione
furbesca e un tantino di rimprovero, quella stessa che avevamo osservato
nell'altro cane, scodinzolava il cagnolino assassinato.