Mai prima d'ora, in America, si era verificato un fatto dalle caratteristiche
tanto straordinarie, con così profonde radici e con
conseguenze di tale importanza ai fini del destino dei movimenti progressisti
del continente, che sia paragonabile alla nostra
guerra rivoluzionaria. Al punto che questa guerra è stata da
alcuni definita l'avvenimento cardine dell'America, che per
importanza viene subito dopo la triade formata dalla Rivoluzione d'Ottobre,
dal trionfo sulle armi hitleriane con le successive
trasformazioni sociali, e dalla vittoria della Rivoluzione Cinese.
Il nostro movimento, fortemente eterodosso nelle sue forme e manifestazioni
esteriori, ha tuttavia seguito - né poteva essere
altrimenti - le linee generali proprie a tutti i grandi avvenimenti
storici del nostro secolo, caratterizzati dalle lotte anticoloniali e
dal passaggio al socialismo.
Tuttavia certi settori, per interesse o in buona fede, han preteso di
scorgere nella rivoluzione cubana un certo numero di radici e
di caratteristiche eccezionali e ne elevano artificiosamente l'importanza,
relativa in confronto al profondo fenomeno storico
sociale, fino a definirle determinanti. (1) Si parla dell'eccezionalità
della Rivoluzione Cubana a paragone della linea di altri partiti
progressisti d'America e si deduce, pertanto, che la forma e la via
della Rivoluzione cubana costituiscono un prodotto a sé,
proprio di essa, e che negli altri paesi dell'America diverso sarà
il cammino storico percorso dai popoli.
Ammettiamo che ci siano delle eccezioni che conferiscono alla Rivoluzione
cubana le sue caratteristiche peculiari: è un fatto
ormai stabilito che ogni rivoluzione annoveri dei fattori specifici
di questo tipo, né è meno incontrovertibile però che
tutte le
rivoluzioni seguiranno delle leggi la cui violazione non è alla
portata delle possibilità della società. Analizziamo quindi
i fattori di
questa pretesa eccezionalità.
Il primo, e forse il più importante, il più originale,
è rappresentato da quella forza tellurica che risponde al nome di
Fidel Castro
Ruz, un nome che nel giro di pochi anni ha raggiunto dimensioni storiche.
Il futuro riserverà il posto adeguato ai meriti del Primo
Ministro, ma noi già li riteniamo paragonabili a quelli delle
figure più alte della storia di tutta l'America latina. E quali
sono le
circostanze eccezionali che circondano la personalità di Fidel
Castro?
Sono parecchie le caratteristiche della sua vita e del suo carattere
che lo pongono di gran lunga al di sopra di tutti i suoi
compagni e seguaci. Fidel è uomo di tale possente personalità
da dover prendere la guida di qualunque movimento a cui
partecipi: e cosi è avvenuto nel corso della sua carriera, da
quando era studente fino ad ora che si trova alla guida della nostra
patria e dei popoli oppressi d'America. Egli possiede le caratteristiche
del grande condottiero, che, sommate alle sue doti
personali di audacia, di energia e di valore, ed alla sua eccezionale
cura nell'ascoltare sempre la volontà del popolo, lo hanno
portato al posto di onore e di sacrificio da lui oggi occupato. Ma
possiede delle altre importanti qualità, come, per esempio, la
capacità di assimilare le nozioni e le esperienze, di afferrare
tutto l'insieme di una data situazione senza perdere di vista i
particolari, la fede immensa nel futuro, e l'ampia visuale che lo mette
in grado di prevenire gli eventi e di anticipare i fatti,
scorgendo sempre più lontano e meglio dei suoi compagni.
Con queste grandi qualità fondamentali, con la sua capacità
di coagulare, di unire gli uomini, opponendosi alla divisione, fonte di
debolezza; con la sua capacità di dirigere, alla guida di tutti,
l'azione del popolo; con il suo amore infinito per il popolo, la sua
fede nel futuro e la sua capacità di prevederlo, Fidel Castro
ha fatto più di chiunque altro a Cuba per costruire dal nulla
l'apparato, oggi formidabile, della Rivoluzione cubana.
Tuttavia, nessuno potrebbe affermare che a Cuba vi siano condizioni
politico-sociali del tutto diverse da quelle degli altri paesi
d'America e che proprio a causa di tali diversità vi si sia
fatta la Rivoluzione. Né d'altro canto, a maggior ragione, si potrebbe
affermare al contrario che Fidel Castro abbia fatto la Rivoluzione
nonostante questa differenza. Fidel, condottiero grande e
abile, ha diretto la Rivoluzione a Cuba, nel momento e nel modo in
cui l'ha fatto, facendosi interprete dei profondi
sommovimenti politici che stavano preparando il popolo al grande balzo
verso le vie della rivoluzione. Esistevano inoltre certe
condizioni, che non erano neanche esse specifiche di Cuba, ma di cui
difficilmente altri popoli potranno approfittare, giacché
l'imperialismo, al contrario di certi gruppi progressisti, sa trarre
insegnamento dai propri errori.
Una condizione che potremmo definire un'eccezione è nel fatto
che l'imperialismo nordamericano si trovò disorientato e non
riuscì mai a valutare esattamente la reale portata della Rivoluzione
cubana. C'è qualcosa in ciò che serve a spiegare molte delle
apparenti contraddizioni del cosiddetto quarto potere nordamericano.
I monopoli, com'è loro abitudine in questi casi, cominciavano
a pensare ad un successore di Batista, proprio perché sapevano
che a questo dittatore il popolo non ubbidiva e gli stava cercando
anche lui un successore, ma per via rivoluzionaria.
Quale astuzia più intelligente e più abile di quella di
gettare a mare il dittatorucolo ormai inservibile e mettere al suo posto
dei
nuovi ,"ragazzi" in grado, quando ne venisse il momento, di fare gli
interessi dell'imperialismo? Per un po' di tempo
l'imperialismo puntò su questa carta del suo mazzo continentale
e finì per perdere miserevolmente. Prima della vittoria,
sospettavano di noi, ma non ci temevano: puntavano piuttosto su due
carte, con tutta l'esperienza che hanno in questo gioco in
cui di solito non si perde. Parecchie volte, emissari del Dipartimento
di Stato, travestiti da giornalisti, vennero a tastare il polso
alla Rivoluzione montanara, ma non ne riuscirono a rilevare il sintomo
di pericolo imminente. (2) Quando poi l'imperialismo volle
reagire, quando si rese conto che il gruppo di giovincelli inesperti
che percorreva in trionfo le strade dell'Avana aveva chiara
coscienza del proprio dovere politico ed era ferreamente deciso a compiere
fino in fondo tale dovere, ormai era troppo tardi.
Fu così che nel gennaio del 1959, spuntò d'improvviso
l'alba della prima Rivoluzione sociale di tutta la zona dei Caraibi e la
più
profonda delle rivoluzioni americane.
Non crediamo che si possa considerare eccezionale il fatto che la borghesia,
o almeno una buona parte di essa, si mostrasse
favorevole alla guerra rivoluzionaria contro la tirannia, mentre nello
stesso tempo appoggiava e promuoveva i movimenti
tendenti a ricercare soluzioni negoziate che le permettessero di sostituire
il governo di Batista con elementi disposti a frenare la
Rivoluzione.
Tenendo conto delle condizioni in cui si sollevò la guerra rivoluzionaria
e della complessità delle tendenze politiche che si
opponevano alla tirannia, non risulti eccezionale neanche il fatto
che certi elementi latifondisti adottassero un atteggiamento
neutrale, o almeno di non belligeranza, nei confronti delle forze insurrezionali.
È comprensibile che la borghesia nazionale, soffocata dall'imperialismo
e dalla tirannia, le cui truppe scorrevano saccheggiando
le piccole proprietà e facevano della corruzione un mezzo di
sostentamento quotidiano, vedesse con una certa simpatia il fatto
che questi giovani ribelli della montagna punissero il braccio armato
dell'imperialismo, rappresentato dall'esercito mercenario.
Sicché, forze non rivoluzionarie aiutarono di fatto a facilitare
il cammino all'avvento del potere rivoluzionario. Portando le cose
all'estremo, possiamo aggiungere un nuovo elemento di eccezionalità,
vale a dire il fatto che, nella maggior parte dei luoghi di
Cuba, il contadino si era proletarizzato a causa delle esigenze della
grande coltivazione capitalista semimeccanizzata ed era
entrato in una fase organizzativa che gli dava una maggior coscienza
di classe. Si può anche ammettere. Ma dobbiamo notare,
ad onor del vero, che sul territorio originario del nostro Esercito
Ribelle, costituito dai superstiti della colonna sconfitta che
aveva compiuto il viaggio sul Granma, risiede proprio un mondo contadino
dalle radici culturali e sociali diverse da quelle che
si possono trovare nelle vicinanze della grande piantagione semimeccanizzata
cubana. In effetti, la Sierra Maestra, paesaggio
del primo alveare rivoluzionario, è un luogo in cui si rifugiano
tutti i contadini che, nel loro braccio di ferro contro il latifondo,
salgono lí per cercare un nuovo pezzo di terra, che essi strappano
allo Stato o a qualche vorace proprietario latifondista, allo
scopo di crearsi una piccola ricchezza. Questi contadini devono stare
in lotta continua contro le esazioni dei soldati, sempre
alleati del potere latifondista e il loro orizzonte è chiuso
dal possesso del titolo di proprietà. In concreto, il soldato che
veniva a
formare il nostro primo esercito guerrigliero di tipo contadino, esce
da quella parte di questa classe sociale che dimostra con
maggiore aggressività il proprio amore per la terra e per il
suo possesso, che dimostra, cioè, più perfettamente ciò
che si può
definire spirito piccolo borghese; il contadino lotta perché
vuole terra: per sé, per i suoi figli, per amministrarla, per venderla
e
per arricchirsi mediante il proprio lavoro. (3)
Nonostante il suo spirito piccolo borghese, il contadino impara presto
che il suo desiderio di posseder terra non può venir
soddisfatto senza rompere il sistema della proprietà latifondista.
La riforma agraria radicale, l'unica che possa dare la terra al
contadino, si scontra con gli interessi diretti degli imperialisti,
dei latifondisti e dei magnati dello zucchero e dell'allevamento. La
borghesia ha paura di scontrarsi con questi interessi. Il proletariato
no. In tal modo, il cammino stesso della Rivoluzione unisce
operai e contadini. Gli operai sostengono le rivendicazioni contro
il latifondo. Il contadino povero, beneficiato dal possesso
della terra, sostiene lealmente il potere rivoluzionario e lo difende
di fronte ai nemici imperialisti e controrivoluzionari.
Crediamo che non si possano allegare altri fattori di eccezionalità.
Siamo tanto generosi da portarli agli estremi: vedremo ora
quali sono le radici permanenti di tutti i fenomeni sociali d'America,
le contraddizioni che, maturando in seno alle società attuali,
provocano dei mutamenti che possono tendere ad acquistare l'ampiezza
di una Rivoluzione come quella cubana.
In ordine cronologico, e nonostante non sia di grande importanza attualmente,
va posto il latifondo. Il latifondo è stato la base
del potere economico della classe dominante per tutto il periodo successivo
alla grande rivoluzione anticoloniale del secolo
scorso. Ma quella classe sociale latifondista, esistente in tutti i
paesi, sta di regola in coda agli avvenimenti sociali che scuotono il
mondo. In certi posti, tuttavia, la parte più attenta e avvertita
di questa classe latifondista s'accorge del pericolo e procede ad
un mutamento dei suoi investimenti di capitale, talvolta migliorando
in modo da effettuare coltivazioni meccanizzate, a volte
trasferendo una parte dei suoi profitti nell'industria o a volte diventando
agenti commerciali del monopolio. In ogni caso, la
prima rivoluzione libertadora non arrivò mai a distruggere le
basi del latifondo che, agendo sempre in modo reazionario,
mantengono sulla terra il principio della servitù. È
questo il fenomeno che senza eccezioni si affaccia in tutti i paesi dell'America
latina e che ha costituito il substrato di tutte le ingiustizie commesse
fin dall'epoca in cui il re di Spagna concedeva ai nobilissimi
conquistadores grandi compensi territoriali, (4) lasciando, nel caso
di Cuba, ai nativi, ai creoli e ai meticci, solamente i
realengos, (5) vale a dire i beni demaniali costituiti dalla superficie
restante tra tre grandi proprietà di forma circolare, tangenti
tra loro.
Il latifondista comprese, nella maggior parte dei paesi, che non sarebbe
riuscito a sopravvivere da solo, e rapidamente strinse
alleanza con i monopoli, cioè con gli oppressori più
forti e feroci dei popoli americani. I capitali nordamericani arrivarono
a
fecondare le terre vergini, per portarsi poi via, insensibilmente,
tutta la valuta che in precedenza, "generosamente", avevano
regalato, più altri guadagni che rappresentavano la somma originariamente
investita nel paese "beneficiato" moltiplicata
parecchie volte.
L'America divenne il campo della lotta interimperialista: e le "guerre"
tra il Costa Rica e il Nicaragua; (6) la secessione di
Panama;(7) l'infamia commessa ai danni dell'Ecuador nella sua disputa
col Perú; la lotta tra Paraguay e Bolivia;(8) tutte queste
cose non sono che espressioni di questa battaglia gigantesca tra i
grandi consorzi monopolisti del mondo, battaglia che si è
decisa quasi completamente a favore dei monopoli nordamericani a partire
dalla Seconda guerra mondiale. Da allora in poi
l'imperialismo si è dedicato a perfezionare il proprio dominio
coloniale e a strutturare il meglio possibile tutta la baracca per
evitare che vi penetrino i vecchi e nuovi concorrenti degli altri paesi
imperialisti.
Tutto ciò dà come risultato un'economia mostruosamente
distorta, che dai pudichi economisti del regime imperiale è stata
descritta con una parola innocua, dimostrativa della profonda pietà
che nutrono per noi, esseri inferiori (essi chiamano
"inditos" i nostri indios spietatamente sfruttati, vessati e ridotti
all'ignominia, chiamano "di colore" tutti gli uomini di razza negra
o mulatta, diseredati, discriminati, strumenti, come persone e come
idea di classe, per dividere le masse operaie nella loro lotta
per migliori destini economici): ci chiamano, noi, popoli d'America,
ci chiamano con un altro nome pudico e soave:
"sottosviluppati."
Che cos'è il sottosviluppo?
Un nano con una testa enorme ed un torace possente è "sottosviluppato"
in quanto le deboli gambe e le corte braccia non sono
adeguate al resto della sua anatomia: si tratta del prodotto di un
fenomeno teratologico che ha distorto il suo sviluppo. Ecco che
cosa siamo in realtà noi, definiti dolcemente "sottosviluppati"
e in realtà paesi coloniali, semicoloniali o vassalli. Siamo paesi
ad
economia distorta a causa dell'azione imperialista, che ha sviluppato
in maniera anormale i rami dell'industria o dell'agricoltura
necessari a far da complemento alla sua complessa economia.(9) Il "sottosviluppo",
o sviluppo distorto, comporta pericolose
specializzazioni in materie prime, le quali mantengono sotto la minaccia
della fame tutti i nostri popoli. Noi sottosviluppati siamo
anche quelli della monocoltura, del monoprodotto, del monomercato.
Un unico prodotto la cui incerta vendita dipende da un
mercato unico che impone e fissa le condizioni: ecco la grande formula
del dominio economico imperialista, che va ad
aggiungersi all'antico ma sempre giovane motto romano: divide et impera.
Il latifondo quindi, mediante le sue collusioni con l'imperialismo,
plasma completamente il cosiddetto "sottosviluppo" il quale dà
come risultato bassi salari e disoccupazione. Questo fenomeno dei bassi
salari e della disoccupazione apre un circolo vizioso
che sbocca ancora in più bassi salari e in ulteriore disoccupazione,
nella misura in cui si acutizzano le grandi contraddizioni del
sistema che, costantemente alla mercé delle variazioni cicliche
della sua economia, creano quello che è il denominatore comune
dei popoli d'America, dal rio Bravo al polo Sud. Questo denominatore
comune che scriveremo a tutte maiuscole e che serve di
base d'analisi a tutti coloro che si occupano di questi fenomeni sociali,
si chiama FAME DEL POPOLO, stufo di essere
oppresso, di essere vessato, di essere sfruttato al massimo, stufo
di vendere giorno per giorno la propria forza lavoro per una
miseria (davanti alla paura di andare ad ingrossare l'enorme massa
dei disoccupati), perché da ogni corpo umano venga
spremuto il massimo di utile, poi sperperato nelle orge dei padroni
del capitale.
Vediamo quindi che vi sono grandi e inequivocabili denominatori comuni
nell'America latina e che noi non possiamo dire di
essere rimasti esenti da nessuno di questi elementi collegati i quali
fan tutti capo al più terribile e permanente: la fame del popolo.
Il latifondo, sia come forma di sfruttamento primitivo, sia come espressione
di monopolio capitalistico della terra, si adegua alle
nuove condizioni e si allea all'imperialismo, forma di sfruttamento
del capitale finanziario e monopolista che viene da oltre le
frontiere nazionali, allo scopo di creare il colonialismo economico,
eufemisticamente chiamato "sottosviluppo", che dà per
risultato il basso salario, la disoccupazione, la sottoccupazione:
la fame dei popoli. Tutto ciò esisteva a Cuba. Anche qui c'era la
fame, qui c'era una delle percentuali di disoccupati più alte
dell'America latina, qui l'imperialismo era più feroce che in tanti
altri
paesi d'America e qui il latifondo esisteva con tutta la forza con
cui è presente in qualunque paese fratello.
Che cosa abbiamo fatto per liberarci dell'imponente fenomeno dell'imperialismo
con tutta la sequela di governanti fantoccio in
ciascun paese e dei loro mercenari, disposti a difendere questi fantocci
e tutto il complesso sistema sociale dello sfruttamento
dell'uomo sull'uomo? Abbiamo applicato delle formule che già
altre volte abbiamo dato come ritrovato della nostra medicina
empirica per guarire i grandi mali della nostra amata America latina,
medicina empirica che rapidamente si è fatta largo tra le
spiegazioni della verità scientifica.
Le condizioni obbiettive per la lotta son date dalla fame del popolo,
dalla reazione di fronte a questa fame, dal timore che
insorge per schiacciare la reazione popolare e dall'alone di odio creato
dalla repressione. Mancavano in America delle
condizioni soggettive, la più importante delle quali è
data dalla coscienza della possibilità della vittoria con l'uso
della via violenta
contro le forze imperialiste e i loro alleati interni. Queste condizioni
si creano mediante la lotta armata, la quale sta rendendo più
chiara la necessità del mutamento (e permette di prevederlo)
e della sconfitta dell'esercito da parte delle forze popolari e del
suo successivo annientamento (come imprescindibile condizione di ogni
autentica rivoluzione).
Notando ormai che le condizioni sono al completo mediante l'esercizio
della lotta armata, dobbiamo ribadire ancora una volta
che sfondo di questa lotta deve essere la campagna e che, dalla campagna,
con un esercito contadino che persegua i grandi
obbiettivi per cui devono lottare i contadini (primo dei quali è
l'equa distribuzione della terra) questa lotta conquisterà le città.
Sulla base ideologica della classe operaia, i cui grandi pensatori
scoprirono le leggi sociali che ci governano, la classe contadina
d'America fornirà il grande esercito di liberazione del futuro,
come già è avvenuto a Cuba. Questo esercito creato nelle
campagne, nel quale si vanno maturando le condizioni soggettive per
la presa del potere, che va conquistando le città dal di
fuori, unendosi alla classe operaia e aumentando il capitale ideologico
con questi nuovi apporti, può e deve sconfiggere
l'esercito oppressore, da principio con scaramucce, attacchi di sorpresa,
scontri di piccola entità, e alla fine in grandi battaglie,
quando sia cresciuto al punto di abbandonare la sua minuscola dimensione
di banda guerrigliera per raggiungere quella di
grande esercito popolare di liberazione. Tappa fondamentale del consolidamento
del potere rivoluzionario sarà la liquidazione
dell'antico esercito, come osservavamo sopra.
Se si pretendesse di ritrovare tutte queste condizioni offerte da Cuba
negli altri paesi dell'America latina, nelle altre lotte per la
presa del potere in favore delle classi diseredate, che cosa avverrebbe?
Sarebbe cosa fattibile o no? E se è fattibile, sarebbe
più facile o più difficile che a Cuba?
Cerchiamo di esporre le difficoltà che a nostro parere renderanno
più dure le nuove lotte rivoluzionarie d'America: si tratta di
difficoltà generali per tutti i paesi e di difficoltà
più specifiche per alcuni di essi, resi diversi dagli altri dal
loro grado di sviluppo o
dalle peculiarità nazionali.
Avevamo notato, all'inizio di questo lavoro, che potevano essere considerati
fattori di eccezione l'atteggiamento
dell'imperialismo, disorientato davanti alla Rivoluzione Cubana, e,
fino a un certo punto, l'atteggiamento della stessa classe
borghese nazionale, anch'essa disorientata al punto di guardare perfino
con una certa simpatia all'azione dei ribelli a causa della
pressione dell'imperialismo sui suoi interessi (situazione, quest'ultima,
che è per lo più comune a tutti i nostri paesi). Cuba ha
di
nuovo tracciato la linea nella sabbia e torna al dilemma di Pizarro;(10)
da un lato ci sono coloro che amano il popolo, mentre
dall'altro stanno coloro che lo odiano. E tra questi ultimi, ancor
più profondo, è scavato il solco che divide inderogabilmente
le
due grandi forze sociali: la borghesia e la classe lavoratrice, le
quali stanno definendo con sempre maggior chiarezza le proprie
rispettive posizioni, man mano che avanza il processo della Rivoluzione
Cubana.
Ciò vuol dire che l'imperialismo ha imparato fino in fondo la
lezione di Cuba, e che non tornerà a farsi prendere di sorpresa
in
nessuna delle nostre venti repubbliche, in nessuna delle colonie ancora
esistenti, in nessuna parte dell'America. Ciò vuol dire che
grandi lotte popolari contro potenti eserciti di invasione attendono
coloro che pretendono ora di violare la pace dei sepolcri, la
pace romana. Importante questo, perché, se dura è stata
la guerra di liberazione cubana con i suoi due anni di combattimento
continuo, di sussulti e instabilità, infinitamente più
dure saranno le nuove battaglie che attendono il popolo in altri luoghi
dell'America latina.(11)
Gli Stati Uniti affrettano la consegna di armi ai governi fantoccio
che vedono più minacciati; fanno loro firmare patti di
vassallaggio, per rendere giuridicamente più facile l'invio
di strumenti di repressione e di uccisione e di truppe di ciò incaricate.
Inoltre intensificano la preparazione militare dei quadri negli eserciti
di repressione, con l'intenzione di servirsene da efficace
pugnale contro il popolo.
E la borghesia? ci si chiederà. Giacché si sa che in molti
paesi d'America esistono delle contraddizioni oggettive tra le borghesie
nazionali che lottano per svilupparsi e l'imperialismo che inonda i
mercati con i suoi articoli per sconfiggere in un impari lotta
l'industria nazionale, così come vi sono altre forme o manifestazioni
di lotta per il plusvalore e la ricchezza.
Nonostante queste contraddizioni le borghesie nazionali non sono capaci,
in genere, di mantenere un atteggiamento coerente di
lotta di fronte all'imperialismo.
Esse dimostrano di temere di più la rivoluzione popolare delle
sofferenze sotto l'oppressione e il dominio dispotico
dell'imperialismo, che soffoca la nazionalità, umilia il sentimento
patriottico e colonizza l'economia.
La grande borghesia si oppone apertamente alla rivoluzione e non esita
ad allearsi con l'imperialismo ed il latifondismo per
combattere il popolo e chiudergli la via della Rivoluzione.
Un imperialismo disperato e isterico, deciso a intraprendere ogni genere
di manovre e a dare armi e perfino truppe ai suoi
fantocci per annientare qualunque popolo si sollevi; un latifondismo
feroce, privo di scrupoli ed esperto delle forme più brutali di
repressione; e una grande borghesia disposta a sbarrare, con qualunque
mezzo, il passo alla rivoluzione popolare; queste sono
le grandi forze alleate fra loro che si oppongono direttamente alle
nuove rivoluzioni popolari dell'America latina.(12)
Tali sono le difficoltà che vanno aggiunte a tutte quelle insite
nelle lotte di questo tipo nelle nuove condizioni dell'America latina,
in seguito al consolidamento del fenomeno irreversibile della Rivoluzione
Cubana.
Ve ne sono altre più specifiche. I paesi che, anche senza che
si possa parlare di un'effettiva industrializzazione, hanno sviluppato
la propria industria media e leggera o hanno, semplicemente, subìto
processi di concentrazione della popolazione in grandi
centri urbani, trovano maggiore difficoltà a preparare la guerriglia.
Inoltre l'influenza ideologica dei centri popolati impedisce la
lotta guerrigliera e incoraggia lotte di massa organizzate pacificamente.
Quest'ultimo elemento dà origine ad una certa "istituzionalità",
secondo la quale in periodi più o meno "normali", le condizioni
siano meno dure del trattamento abituale riservato al popolo.
Si arriva perfino a concepire l'idea di possibili aumenti quantitativi
degli elementi rivoluzionari sui banchi del parlamento fino ad
arrivare ad un estremo che permetta un giorno un mutamento qualitativo.
Questa speranza, a nostro avviso, molto difficilmente riuscirà
a realizzarsi, nelle condizioni attuali, in qualunque paese
d'America. Benchè non sia da escludere la possibilità
che il mutamento, in qualche paese, prenda l'avvio con i mezzi elettorali,
le condizioni in tali paesi prevalenti rendono tale possibilità
molto remota.
I rivoluzionari non possono prevedere a priori tutte le varianti tattiche
che possono presentarsi nel corso della lotta per il loro
programma di liberazione. La reale capacità di un rivoluzionario
si misura in base al fatto se sappia trovare tattiche rivoluzionarie
adeguate ad ogni cambiamento di situazione, se sappia tener presenti
tutte le tattiche e sfruttarle al massimo. Errore
imperdonabile sarebbe quello di sottovalutare i vantaggi che il programma
rivoluzionario può ottenere da una data campagna
elettorale; come sarebbe altrettanto imperdonabile, limitarsi alle
elezioni e non vedere gli altri mezzi di lotta, compresa la lotta
armata, volti ad ottenere il potere, che è lo strumento indispensabile
per applicare e sviluppare il programma rivoluzionario,
poiché se non si raggiunge il potere, tutte le altre conquiste
sono instabili, insufficienti, incapaci di fornire le soluzioni necessarie,
per quanto avanzate esse possano apparire.
E quando sentiamo parlare di presa del potere per via elettorale, la
nostra domanda è sempre la stessa: se un movimento
popolare giunge al governo di un paese spinto da una grande votazione
popolare e decidesse, di conseguenza, di dare inizio alle
grandi trasformazioni sociali previste dal programma in base al quale
ha avuto la vittoria, non entrerebbe immediatamente in
conflitto con le classi reazionarie del paese? E non è stato
sempre l'esercito lo strumento di oppressione di tali classi? Se cosi è,
è logico dedurre che tale esercito si schiererà dalla
parte della sua classe ed entrerà in conflitto con il governo costituito.
Può
succedere che il governo venga rovesciato con un colpo di stato più
o meno incruento e che ricominci il gioco che non finisce
mai; ma può succedere invece che l'esercito oppressore venga
sconfitto grazie all'azione popolare armata mossa in appoggio al
proprio governo. Ciò che ci sembra difficile è che le
Forze Armate accettino di buon grado delle riforme sociali profonde e si
rassegnino come agnellini alla propria liquidazione come casta.
Quanto a ciò che prima accennavamo a proposito delle grandi concentrazioni
urbane, è nostro modesto avviso che, anche in
questi casi, in condizioni di arretratezza economica, possa risultare
consigliabile sviluppare la lotta fuori dai confini cittadini,
dandole caratteristiche di lunga durata. Per essere più espliciti,
la presenza di un focolaio guerrigliero in montagna, in un paese
dalle città popolose, alimenta perennemente il fuoco della ribellione,
poiché è molto difficile che le forze di repressione possano
liquidare rapidamente, e magari nel giro di anni, la guerriglia che
fondi le sue basi sociali in terreno favorevole alla lotta
guerrigliera e laddove esistano persone che adottino coerentemente
la tattica e la strategia di questo tipo di guerra.(13)
Molto diverso ciò che occorrerebbe fare nelle città: lì
si può sviluppare in misura insospettata la lotta armata contro
l'esercito di
repressione, ma tale lotta diventerà frontale soltanto quando
vi sia un esercito potente in lotta contro un altro esercito; né
si può
intraprendere una lotta frontale contro un esercito potente e ben armato
quando si possa far conto soltanto su un gruppetto di
uomini. La lotta frontale allora andrebbe effettuata con molte armi;
e sorge la domanda: dove sono queste armi? Le armi non
esistono di per sé, bisogna prenderle al nemico; ma per prenderle
al nemico bisogna lottare, e non si può lottare frontalmente.
Quindi la lotta nelle grandi città deve cominciare da una fase
clandestina in cui accattivarsi dei gruppi militari o conquistarsi le
armi, ad una ad una, in successivi colpi di mano.
In questo secondo caso si può fare molta strada, e non esiteremmo
ad affermare che sarebbe inibito ogni successo ad una
ribellione popolare che abbia base guerrigliera all'interno delle città.
Nessuno può opporsi teoricamente a questa idea, non è
questa almeno la nostra intenzione, ma dobbiamo d'altronde notare quanto
sarebbe facile, per mezzo di qualche delazione o
semplicemente con una serie di perquisizioni, eliminare i capi della
rivoluzione. In compenso, ammettendo che vengano operate
tutte le azioni pensabili in ambiente cittadino, che cioè si
ricorra al sabotaggio organizzato e soprattutto a quella forma
particolarmente efficace di guerriglia che è la guerriglia suburbana,
conservando però il nucleo fondamentale su terreni
favorevoli alla lotta guerrigliera, se le forze d'oppressione sconfiggono
tutte le forze popolari della città, annientandole, il potere
politico rivoluzionario rimane incolume, giacché si trova relativamente
al riparo dalle vicende belliche. Purché sia sì relativamente
al riparo, ma non fuori della guerra, né la diriga da un altro
paese o da luoghi distanti: purché sia tra il suo popolo, nella
lotta.
Sono queste le considerazioni che ci fanno pensare che, anche prendendo
in esame paesi in cui ci sia grande predominio
urbano, il focolaio centrale della lotta si possa sviluppare nelle
campagne.
Venendo al caso che si possa contare su cellule militari che aiutino
a vibrare il colpo e che forniscano le armi, bisogna prendere
in esame due problemi. Primo, se davvero tali gruppi militari si uniscono
alle forze popolari per vibrare il colpo, considerandosi
però essi stessi un nucleo organizzato e capace di autodecisione:
in tal caso si tratterà di un colpo di una parte dell'esercito
contro un'altra e, probabilmente, resterà incolume la struttura
di casta dell'esercito.
L'altra eventualità, che cioè l'esercito si unisca rapidamente
e spontaneamente alle forze popolari, a nostro avviso si può
verificare soltanto in seguito al fatto che quell'esercito sia stato
vigorosamente battuto da un nemico potente e incalzante, cioè in
condizioni catastrofiche per il potere costituito.(14) Alla condizione
che si tratti di un esercito sconfitto, distrutto nel morale, si
può verificare questo fenomeno, ma perché ciò
accada è necessaria la lotta. Sicché si ritorna al primo
punto: come realizzare
questa lotta? La risposta ci condurrà allo sviluppo della lotta
guerrigliera su terreno favorevole, appoggiata dalla lotta nelle città
e contando sempre sulla più ampia partecipazione possibile delle
masse operaie e, naturalmente, sotto la guida dell'ideologia di
questa classe.
Abbiamo fin qui analizzato a sufficienza le difficoltà in cui
incorreranno i movimenti rivoluzionari dell'America latina. Ora bisogna
chiedersi se ci siano o no delle situazioni più vantaggiose
rispetto alla fase precedente, quella cioè in cui si trovò
Fidel Castro
sulla Sierra Maestra. Crediamo anche in questo caso che vi siano delle
condizioni generali che facilitano l'esplosione di questi
focolai di ribellione e condizioni specifiche di certi paesi che la
rendono ancor più facile.
Due ragioni soggettive dobbiamo notare quali conseguenze più
importanti della Rivoluzione Cubana: la prima è la possibilità
della vittoria, giacché ora si è perfettamente a conoscenza
della possibilità di coronare col successo un'impresa come quella
compiuta nella loro lotta di due anni sulla Sierra Maestra, da quel
gruppo di illusi che avevano intrapreso la spedizione del
Granma: ciò indica immediatamente che si può dar luogo
ad un movimento rivoluzionario che agisca dalla campagna, che si
leghi alle masse contadine, che vada via via crescendo, che distrugga
l'esercito in lotta frontale, che conquisti le città dalla
campagna, che riesca ad incrementare, mediante la lotta, le condizioni
soggettive necessarie alla presa del potere. L'importanza
detenuta da questo fatto è misurabile dalla grande quantità
di "eccezionalisti" che sono spuntati in questi tempi.
Gli "eccezionalisti" sono quegli esseri speciali che trovano che la
Rivoluzione Cubana sia un avvenimento unico ed inimitabile
sulla terra, condotto da un uomo che, abbia difetti o no, a seconda
che l"'eccezionalista" sia di destra o di sinistra, ha tuttavia
guidato, evidentemente, la Rivoluzione per dei sentieri apertisi unicamente
ed esclusivamente perché li percorresse la
Rivoluzione Cubana. Completamente falso, diciamo noi: la possibilità
di vittoria delle masse popolari dell'America latina è
chiaramente espressa dalla via della lotta guerrigliera, basata sull'esercito
contadino, sull'alleanza degli operai con i contadini,
sulla sconfitta dell'esercito regolare in lotta frontale, sulla presa
delle città partendo dalla campagna, sulla dissoluzione
dell'esercito regolare come prima tappa del crollo totale della sovrastruttura
del mondo colonialista precedente.
Possiamo osservare, quale secondo fattore soggettivo, che le masse non
solo conoscono la possibilità della vittoria, ma ormai
conoscono il proprio destino. Sanno con sempre maggior certezza che,
quali che siano le vicissitudini della storia nel breve
periodo, la vittoria finale è del popolo, perché la vittoria
finale è della giustizia sociale. Ciò aiuterà a destare
il fermento
rivoluzionario a livelli anche superiori a quelli attualmente raggiunti
nell'America latina.
Potremmo notare alcune considerazioni non tanto generiche e non applicabili con la stessa intensità a tutti i paesi.
Una di esse, sommamente importante, è l'esistenza di un maggiore
sfruttamento contadino in genere, in tutti i paesi d'America,
di quel che vi fosse a Cuba. Va ricordato a coloro che pretendono di
vedere nel periodo insurrezionale della nostra lotta il ruolo
della proletarizzazione delle campagne, che, a nostro avviso, la proletarizzazione
delle campagne servì ad accelerare
rapidamente la fase di cooperativizzazione nel successivo passaggio
alla presa del potere ed alla Riforma Agraria, ma che, nella
lotta originaria, il contadino, nucleo e spina dorsale dell'Esercito
Ribelle, è lo stesso che oggi si trova sulla Sierra Maestra,
padrone orgoglioso del suo podere, intransigente e individualista.
È ovvio che in America esistano delle particolarità: un
contadino argentino non ha la stessa mentalità di un comune
contadino del Perù, della Bolivia o dell'Ecuador, ma la fame di
terra è permanentemente presente nei contadini, e il mondo contadino
dà il tono generale all'America; e siccome, in genere,
esso è ancor più sfruttato di quanto fosse stato a Cuba,
aumentano le possibilità che questa classe si levi in armi.
C'è inoltre un altro fatto. L'esercito di Batista, con tutti
i suoi enormi difetti, era un esercito strutturato in modo tale che tutti,
dall'ultimo soldato al generale più elevato in grado, erano
complici nello sfruttamento del popolo. Era un esercito mercenario
completo e ciò conferiva una certa coesione all'apparato repressivo.
Gli eserciti d'America, per la maggior parte, contano su
ufficiali di carriera e su un reclutamento a scaglioni.
Ogni anno perciò, i giovani ascoltando le lamentele per le quotidiane
sofferenze patite dai loro padri, vedendole con i propri
occhi, toccando con mano la miseria e l'ingiustizia sociale, abbandonano
la loro casa e vengono arruolati e inquadrati
nell'esercito. Se un giorno vengono mandati a fare da carne da cannone
nella lotta contro i difensori di una dottrina che essi
sentono essere giusta nella propria stessa carne, la loro combattività
sarà profondamente incrinata e, con adeguati sistemi di
propaganda, mostrando alle reclute la giustezza della lotta, il perché
della lotta, si potranno ottenere dei risultati magnifici.
Possiamo dire, dopo questo sommario studio del fatto rivoluzionario,
che la Rivoluzione Cubana ha contato su fattori
eccezionali, che le conferiscono la sua particolarità, e su
fattori comuni a tutti i popoli d'America, i quali esprimono la intima
necessità di questa Rivoluzione. E vediamo anche che vi sono
condizioni nuove che renderanno più facile l'esplosione dei
movimenti rivoluzionari, dando alle masse coscienza del loro destino,
la coscienza della necessità e la certezza della possibilità;
e, allo stesso tempo, vi sono le condizioni che renderanno difficile
che le masse in armi possano raggiungere rapidamente
l'obbiettivo di prendere il potere. Tali sono le condizioni costituite
dalla stretta alleanza esistenti tra l'imperialismo e tutte le
borghesie americane, volta alla lotta spietata contro la forza popolare.
Tempi oscuri attendono l'America latina, e le recenti dichiarazioni
degli uomini di governo degli Stati Uniti sembrano indicare
che tempi oscuri attendono il mondo intero. Lumumba, selvaggiamente
assassinato, nella grandezza del suo martirio insegna
quali siano i tragici errori che non vanno commessi. Una volta dato
il via alla lotta antimperialista, è indispensabile essere
conseguenti e bisogna tener duro, costantemente e senza mai fare un
passo indietro: avanti sempre, contrattaccando sempre,
rispondendo sempre ad ogni aggressione con una pressione più
forte delle masse popolari. Questo è il modo per trionfare.
In altra occasione esamineremo se la Rivoluzione Cubana, dopo la presa
del potere, abbia percorso queste nuove vie
rivoluzionarie con fattori di eccezionalità o se invece, anche
in questo caso rispettando certe caratteristiche speciali, abbia
seguito fondamentalmente un cammino logico derivante da leggi immanenti
ai processi sociali.
(1) - Questo lavoro, in cui si analizzano comparativamente
le condizioni nelle quali si iniziò, si sviluppò e trionfo
il movimento di liberazione
cubano, rispetto agli elementi principali della situazione
sociale economica e politica prevalente nel resto dell'America latina,
fu scritto da
Guevara nei primi mesi del 1961, mentre egli era coinvolto,
con altri esponenti "castristi," in un'aspra polemica con i teorizzatori
del vecchio
Partito Socialista Popolare. Costoro sostenevano il carattere
"eccezionale" della Rivoluzione cubana nella fase insurrezionale, in contraddizione
con gli uomini della Sierra per i quali l'esperienza
cubana avrebbe costituito il punto di riferimento valido per gli altri
paesi del continente.
(2) - Questa allusione si riferisce chiaramente almeno
a Andrew Saint-George.
(3) - Più avanti Guevara dirà che questo
contadino, "centro e midollo dell'Esercito Ribelle, è quello stesso
che è oggi sulla Sierra, orgoglioso
padrone del suo pezzetto di terra e intransigente individualista."
Si tratta dei centomila e più precaristi, mezzadri e affittuari
con non più di 26,8
ettari, che la Riforma Agraria del 17 maggio 1959 trasformò
in proprietari.
(4) - Concessioni di terre.
(5) -.V n. 2, p. 232 delle opere complete.
(6) - Questo conflitto fu creato ad arte nel 1918 dagli
USA, scatenando il governo fantoccio del Nicaragua (il presidente era stato
imposto l'anno
prima con l'ausilio dei marines) contro quello di Cesta
Rica, per impedire che l'amministrazione di quest'ultimo stato, con a capo
Federico Tinoco,
ratificasse a un'impresa britannica certe concessioni
di ricerca petrolifera.
(7) - Nel 1903 Theodore Roosevelt, quello della politica
interamericana del "big stick", separò Panama dal territorio della
Colombia per
accaparrarsi tutte le concessioni necessarie alla costruzione
del canale interoceanico, così come per l'installazione di basi
militari e l'usufrutto di
una zona di sovranità nordamericana su entrambi
i margini della futura via d'acqua tra Caraibi e il Pacifico. Roosevelt,
che nelle sue memorie
avrebbe annotato: "Mi impadronii di Panama senza interpellare
il gabinetto", aveva già ottenuto dalla Gran Bretagna tutti i diritti
per il controllo
in esclusiva del canale.
(8) - El Chaco, una regione desertica grande quasi come
l'Italia, situata nella regione settentrionale del Paraguay al confine
con la Bolivia, fu la
scintilla di una guerra scatenata dalla Standard Oil
Company of New Jesery tra quei due paesi, per assicurarsi il controllo
delle riserve petrolifere
del Chaco, allora in mano alla Union Oil Co. consociata
della Royal Dutch Shell. Il conflitto armato si protrasse dal 1932 al 1935,
creando vuoti
cruenti da ambo le parti: quarantamila morti paraguaiani
e sessantamila boliviani. Il Paraguay conservò quasi intatto il
suo territorio (il pretesto
della guerra era stato una artificiosa rivendicazione
territoriale boliviana), ma vide accentuarsi vertiginosamente la sua miseria,
eredità dello
spaventoso conflitto condotto contro lo stesso Paraguay
dall'lmpero brasiliano, dall'oligarchia feudale argentina (poi sua alleata
per il Chaco) e
dall'Uruguay sul finire del decennio 1850-60. La Bolivia,
oltre a subire gravi perdite, restò legata alla Esso che, dopo averla
spinta alla lotta,
continuava, e continua ancor oggi, a controllare la stragrande
maggioranza delle risorse petrolifere e gasifere boliviane. Ma questi non
sono
ancora gli aspetti più iniqui di quella guerra:
le riserve di grezzo restano inutilizzate nel sottosuolo del Chaco paraguaiano,
poiché il cartello del
petrolio si guarda bene dallo sfruttare nuovi giacimenti
finché bastano quelli già in produzione.
(9) - Per molti teorici marxisti moderni dell'America
Latina il concetto di distorsione definisce più chiaramente le condizioni
di questi paesi che
non quello del sottosviluppo. Per essi questo sottosviluppo
(risultato del satellitismo rispetto alle potenze coloniali) non è
paragonabile con
quello di un paese a economia indipendente (come per
esempio, nel caso di buona parte dell'Europa) che oggi rivela un elevato
grado di
espansione. Si sostiene, in pratica, che tra il sottosviluppo
di una colonia e le difficoltà superate da una nazione in seguito
sviluppatasi esiste, in
un certo senso, la stessa relazione che corre tra un
bambino e un nano: sono entrambi insufficientemente sviluppati, ma, mentre
il bambino
conserva intatte tutte le possibilità di crescita,
il nano è un mostro, un organismo deformato che può crescere
soltanto con una trasformazione
biologica d'entità tale da potersi paragonare
allo sforzo che un paese colonizzato deve compiere per svilupparsi.
(10) - Guevara allude qui a un episodio della fase precedente
alla conquista del Perù, episodio di cui fu protagonista Pizarro
con la sua futura
armata di spedizione. Trovandosi nell'Isola del Gallo,
di fronte alle coste peruviane, in situazione critica, la truppa si divise
tra l'intenzione di
Pizarro di proseguire l'avventura, e il malcontento degli
uomini che intendevano far ritorno alla base panamense. Le cronache narrano
che
Pizarro tracciò una linea sulla sabbia, invitando
coloro che desideravano accompagnarlo nella spedizione a passare da un
lato della linea, e quelli
che volevano abbandonare la spedizione a passare dall'altro
lato. Soltanto una dozzina di uomini seguirono il futuro conquistatore
dell'Impero
Inca e, con lui, il gruppo passò alla storia come
"I tredici della gloria."
(11) - Il carattere drammatico delle lotte per entrare
in America Latina per iniziare la rivoluzione è ribadito da Guevara
in un crescendo che tocca il
suo punto culminante nel messaggio indirizzato alla OSPAAAL
nei primi mesi del 1967. Qui sostiene "che l'imperialismo ha appreso la
lezione di
Cuba", e poi venne l'invasione della Repubblica Dominicana
del 28 aprile 1965. Nella "Guerra di guerriglia: un metodo", citando Castro,
aveva
ripetuto che la "Cordigliera delle Ande è chiamata
a diventare la Sierra Maestra d'America", per concludere che "tutti quegli
immensi territori
diventeranno il teatro di una lotta fino alla morte contro
il potere imperialista." In Due, tre, molti Vietnam, appello alla guerra
totale contro
l'imperialismo, egli afferma che "... sarà una
lotta lunga, cruenta, il cui fronte starà (... ) nella popolazione
contadina massacrata, nei villaggi e
nelle città distrutte dal bombardamento nemico."
"Che nessuno si inganni quando la lotta inizierà, che nessuno vacilli
nell'iniziarla per tema delle
conseguenze che possono ricadere sul popolo. È
quasi l'unica speranza di vittoria." Tuttavia questo alto prezzo (che Guevara,
a dispetto delle
prevedibili accuse di guerrafondaio, incendiario e persino
bakuninista, esorta a pagare), ha la sua contropartita, come sostenne Castro,
o forse
lo stesso Che, nella Seconda Dichiarazione dell'Avana
del 4 febbraio 1962: "Ogni anno che acceleri la liberazione dell'America
significherà
milioni di bambini salvati alla vita, milioni di intelletti
salvati alla cultura, infinite spine di dolore estratte dalle carni dei
popoli."
(12) - V.n. 14 p. 414 delle opere complete.
(13) - I casi del Venezuela e dell'Argentina (V. n. 2,
p. 166 delle opere complete, sul fallito tentativo dell'Esercito Guerrigliero
del Popolo che
contava sull'appoggio di Guevara) si possono assimilare
alle implicazioni di questo concetto. L'EGP non conseguì il suo
scopo, però la FALN e
il MIR, nonostante gli insuccessi, persino quelli imposti
da fattori inerenti al campo sinistrista, almeno "mantengono acceso il
fuoco della
ribellione in Venezuela." La medesima funzione è
assolta, infine, in Colombia dall'Esercito di Liberazione Nazionale, ELN,
e dalle Forze Armate
Rivoluzionarie di Colombia, FARC.
(14) - È possibile affermare, però, che
la particolare esperienza dominicana dell'aprile 1965, in cui un settore
delle FF.AA., agli ordini di un capo
progressista dotato di gran coraggio intellettuale, insorse
per ristabilire il regime costituzionale, distribuendo armi al popolo per
condurre avanti
la lotta e arrestandosi soltanto quando l'intervento
straniero era alle porte, già si pone di per sé contro questa
considerazione di Guevara. Invece
si trova una maggior flessibilità nella Seconda
Dichiarazione dell'Avana, dove si ammette che il movimento di liberazione
"potrebbe trascinare
con sé gli elementi progressisti delle forze armate,
anch'esse umiliate dalle missioni militari yankee, dal tradimento degli
interessi nazionali da
parte delle oligarchie feudali e dal sacrificio della
sovranità nazionale di fronte alle imposizioni di Washington."