ERNESTO CHE GUEVARA
Note per lo studio della ideologia della Rivoluzione Cubana
Pubblicato in Verde Olivo, ottobre 1960.
La presente traduzione è apparsa in Problemi del Socialismo, n° 27, febbraio 1968.
 

Qualcuno ha creduto di notare che questa singolare rivoluzione non aderisce a una delle premesse fondamentali dell'ortodossia
del movimento rivoluzionario, che Lenin ha cosi espresso: "Senza teoria rivoluzionaria non vi è movimento rivoluzionario." Si
potrebbe dire che la teoria rivoluzionaria, come espressione di una verità sociale, è al di sopra di qualsiasi enunciato; vale a dire
che si può fare la rivoluzione se si interpreta correttamente la realtà storica e se, altrettanto correttamente, si utilizzano le forze
che vi intervengono, anche senza conoscere la teoria. È chiaro che una adeguata conoscenza della teoria semplifica il compito e
impedisce di cadere in pericolosi errori: purché però la teoria corrisponda alla verità. Parlando concretamente di questa
rivoluzione, va sottolineato il fatto che i suoi principali protagonisti non erano proprio dei teorici, anche se non ignoravano i
grandi fenomeni sociali e l'enunciazione delle leggi che li governano. Questo ha consentito, sulla base di alcune conoscenze
teoriche e di una profonda conoscenza della realtà, la nascita graduale di una teoria rivoluzionaria.

Ciò che fin qui è stato detto deve essere considerato come una introduzione alla spiegazione di quello strano fenomeno che
ancora desta la meraviglia di tutto il mondo: la Rivoluzione Cubana. Come e perché un gruppo di uomini fatto a pezzi da un
esercito enormemente superiore per tecnica ed equipaggiamento sia riuscito prima a sopravvivere, poi a rafforzarsi, poi ancora
a diventare più forte del nemico nelle zone di battaglia e a spostarsi verso nuove zone di combattimento per sconfiggerlo
finalmente in battaglie campali, malgrado la propria inferiorità numerica - è un fatto degno di studio nella storia del mondo
contemporaneo.

Naturalmente, noi che spesso mostriamo una scarsa preoccupazione per la teoria, non intendiamo oggi esporre, come se ne
fossimo padroni, la verità della Rivoluzione Cubana, ma semplicemente cerchiamo di gettare le basi indispensabili per la
comprensione di questa verità. Di fatto, bisogna distinguere due fasi assolutamente diverse nella rivoluzione cubana: quella
dell'azione armata fino ai primi di gennaio del 1959; la trasformazione politica, economica e sociale da quel momento in poi.

Queste due fasi andrebbero ulteriormente suddivise. Noi però non le considereremo dal punto di vista dell'esposizione storica,
pensi da quello della evoluzione del pensiero rivoluzionario dei dirigenti attraverso il contatto col popolo. Incidentalmente,
bisogna accennare qui a un atteggiamento generale di fronte a uno dei termini più controversi del mondo attuale: il marxismo. La
nostra posizione, quando ci viene chiesto se siamo o no marxisti, è quella che adotterebbe un fisico o un biologo a cui si
chiedesse se è "newtoniano" o "pasteuriano." Esistono delle verità così evidenti, cosi legate alla conoscenza dei popoli, che è
inutile discuterle. Si deve essere marxista con la stessa naturalezza con cui si è "newtoniano" in fisica, o "pasteuriano" in biologia,
considerando che se nuovi fatti determinano nuovi concetti, ciò non priverà mai della loro parte di verità quelli che sono stati
superati. Questo è il caso, per esempio, della relatività "einsteniana" e della teoria dei "quanti" di Planck, rispetto alle scoperte di
Newton; esse non tolgono assolutamente niente alla grandezza dello scienziato inglese: è stato grazie a Newton se la fisica ha
potuto progredire fino a raggiungere i nuovi concetti dello spazio. Lo scienziato inglese rappresenta il passaggio necessario per
questo ulteriore sviluppo.

A Marx, come pensatore, come studioso delle dottrine sociali e del sistema capitalista in cui si trovò a vivere, si possono
evidentemente obiettare alcune inesattezze. Noi latinoamericani possiamo, per esempio, non essere d'accordo con la sua
interpretazione di Bolivar, o con l'analisi che lui ed Engels fecero dei messicani, dando per scontate certe teorie sulla razza o
sulla nazionalità che sono oggi inammissibili. Ma i grandi uomini, scopritori di verità luminose, vivono malgrado le loro piccole
pecche, ed esse servono soltanto a dimostrarci che erano umani, cioè esseri che possono incorrere in errori, senza che questo
ci tolga la chiara coscienza del livello raggiunto da quei giganti del pensiero. Ed è per questo che riconosciamo che le verità
essenziali del marxismo fanno parte integrante dell'insieme culturale e scientifico dei popoli e le accettiamo con naturalezza,
come qualcosa che non ha più bisogno di essere messo in discussione. I progressi nella scienza sociale e politica, come in altri
campi, appartengono a un lungo processo storico i cui anelli si saldano, si sommano, si uniscono e si perfezionano
costantemente. Originariamente, esisteva una matematica cinese, una araba, una indù; oggi la matematica non ha frontiere. Nella
sua storia è possibile un Pitagora greco, un Galileo italiano, un Newton inglese, un Gauss tedesco, un Lobacevskii russo, un
Einstein, ecc. Così nel campo delle scienze sociali e politiche, da Democrito fino a Marx, una lunga serie di pensatori
accumularono, le proprie ricerche originali formando un corpo di esperienze e di dottrine.

Il merito di Marx risiede nell'avere prodotto di colpo nella storia del pensiero sociale un cambiamento qualitativo. Non solo egli
interpreta la storia, ne comprende la dinamica e ne prevede il futuro sviluppo ma, oltre a questo, che segnerebbe il limite del suo
dovere scientifico, esprime un concetto rivoluzionario: non basta interpretare la natura bisogna trasformarla. L'uomo cessa di
essere schiavo e strumento del mezzo e diventa l'architetto del proprio destino.

Da questo momento, Marx comincia a trovarsi in una situazione tale da costituire il bersaglio obbligato di quanti hanno uno
speciale interesse a conservare il vecchio, come prima era successo a Democrito, la cui opera fu bruciata da Platone e dai suoi
discepoli, ideologi della aristocrazia schiavista ateniese.

A partire da Marx rivoluzionario, si crea un gruppo politico con idee concrete che, appoggiandosi ai giganti Marx ed Engels e
sviluppandosi attraverso tappe successive, con personalità come Lenin, Stalin, Mao Tsetung e i nuovi governanti sovietici e
cinesi, costituiscono un corpo di dottrina e, diciamo, un esempio da seguire.

La Rivoluzione Cubana ha inizio là dove Marx lascia la scienza per impugnare il fucile rivoluzionario, e non certo con l'intento di
"rivedere" Marx, di opporsi a quanto è seguito a Marx, di rivivere Marx "puro," ma semplicemente perché fino a quel punto
Marx, lo studioso collocato fuori della storia, studiava e vaticinava. Dopo, Marx rivoluzionario pratico. Iniziando la nostra lotta,
abbiamo realizzato semplicemente leggi previste dal Marx studioso e, per questa strada di ribellione, lottando contro le vecchie
strutture del potere, appoggiandosi al popolo per distruggere queste strutture e avendo come base della nostra lotta la felicità
del popolo, non facciamo altro che confermare le previsioni di Marx teorico. Vale a dire, conviene precisarlo ancora una volta,
le leggi del marxismo sono presenti negli eventi della Rivoluzione Cubana, indipendentemente dal fatto che i suoi leaders
professino o conoscano interamente, da un punto di vista teorico, queste leggi. Per prima cosa bisognerebbe suddividere la
Rivoluzione nelle seguenti fasi: prima dello sbarco del "Granma"; dallo sbarco fino a dopo le vittorie di La Plata e Arroyo del
Infierno; da queste date fino all'Uvero e alla costituzione della Seconda colonna guerrigliera; e da qui fino alla costituzione della
Terza e Quarta, l'invasione fino a Sierra de Cristal e la creazione del Secondo Fronte; lo sciopero di aprile e il suo fallimento;
l'arresto della grande offensiva; l'invasione in direzione di Las Villas.

Ognuno di questi piccoli momenti storici della guerriglia implica diversi concetti sociali e diverse valutazioni della realtà cubana
attraverso i quali si precisò il pensiero dei leaders militari della Rivoluzione, i quali, col tempo, avrebbero riaffermato anche la
loro qualità di leaders politici.

Prima dello sbarco del "Granma," ci fu una cieca fiducia in una rapida esplosione popolare, entusiasmo e fede nella possibilità di
liquidare il potere batistiano per mezzo di una rapida sollevazione abbinata agli scioperi rivoluzionari spontanei con la
susseguente caduta del dittatore1. Il movimento era l'erede diretto del Partito Ortodosso e il suo motto principale era l'onestà
amministrativa come base del nuovo governo cubano.

Fidel Castro, tuttavia, aveva indicato in La Storia mi assolverà2, le basi che sono state quasi interamente edificate dalla
Rivoluzione, ma che sono state anche superate, procedendo verso un maggiore approfondimento nel campo economico; fatto,
questo, che ha portato a un maggiore approfondimento nel campo politico, nazionale e internazionale.

Dopo lo sbarco viene la disfatta, la distruzione quasi totale delle forze, il loro raggruppamento e la loro integrazione nella
guerriglia. Il piccolo numero di superstiti - superstiti decisi a lottare - già si caratterizza per la comprensione della erroneità dello
schema immaginato rispetto ai moti spontanei di tutta l'Isola, e per la convinzione che la lotta sarà lunga e dovrà contare su una
grande partecipazione contadina. Qui si verificano anche le prime adesioni dei contadini alla guerriglia e si hanno due scontri, di
poca importanza quanto a numero di combattenti, ma di grande importanza psicologica per il fatto che eliminarono la diffidenza
del gruppo centrale della guerriglia (costituito da elementi provenienti dalla città) nei riguardi dei contadini.

Questi, a loro volta, diffidavano del gruppo e temevano soprattutto le barbare rappresaglie del governo. In questa fase si
chiarirono due cose, entrambe molto importanti per fattori interdipendenti: i contadini videro che le persecuzioni e l'ostilità
dell'esercito non sarebbero state sufficienti a distruggere le loro case, i loro raccolti, i loro familiari, per cui consideravano una
buona soluzione quella di rifugiarsi in seno all'organizzazione che garantiva loro la sicurezza della vita; i guerriglieri dal canto loro
capirono che era necessario conquistarsi le masse contadine e che per ottenere ciò occorreva offrire loro quel che
desideravano con tutte le forze; e non c'è cosa che un contadino ami di più della terra.

Segue una fase nomade durante la quale l'Esercito ribelle conquista via via zone d'influenza. Ancora non può restarvi per molto
tempo, ma neanche l'esercito nemico può farlo. Attraverso numerosi combattimenti si va stabilendo fra le due parti una specie
di fronte non molto ben delineato.

Il 28 maggio del 1957 stabilisce un punto fermo, con l'attacco nell'Uvero a una guarnigione bene armata, abbastanza ben
trincerata con la possibilità di ricevere rapidamente rinforzi; vicino al mare e con un aeroporto. La vittoria delle forze ribelli in
questo combattimento uno dei più sanguinosi, visto che il 30% delle forze che vi parteciparono rimase fuori combattimento -
fece cambiare totalmente il panorama; c'era un territorio nel quale l'Esercito ribelle si muoveva a proprio agio, da dove non
filtravano verso il nemico notizie che avrebbero potuto essergli utili e da dove si poteva, con rapidi colpi di mano, discendere
fino alle pianure e attaccare le posizioni avversarie.

Poco dopo si produsse la prima suddivisione con la creazione di due colonne combattenti. La seconda, per ragioni di
mimetismo alquanto infantili, porta il nome di quarta colonna. Esse danno immediatamente prova della loro attività e così, il 26
luglio, viene attaccata Estrada Palma e, cinque giorni dopo, Bueycito, che si trova a circa trenta chilometri. Le manifestazioni
diventano importanti, si aspettano a piè fermo le repressioni, si bloccano vari tentativi nemici di salire alla Sierra e si crea un
fronte di lotta con vaste zone di terra di nessuno, violate dalle incursioni punitive di entrambe le parti, ma si mantengono
approssimativamente le stesse posizioni. La guerriglia ingrossa via via le proprie file grazie al sostanziale apporto dei contadini
della zona e di qualche membro del Movimento nelle città, diventa più combattiva, rafforza il proprio spirito di lotta. Dopo
avere respinto alcune offensive, nel febbraio del 1958 la Colonna di Almeida, la 3a e quella di Raúl Castro che porta il numero
6 e il nome del nostro eroe Frank País, morto pochi mesi prima - vanno ad occupare la cerchia di Santiago. Raúl realizza la
prodezza di attraversare la Carretera Central nei primi giorni di marzo di quell'anno, internandosi nelle colline di Mayari e
creando il Secondo Fronte Orientale Frank País.

I successi crescenti delle nostre forze ribelli filtravano pian piano attraverso la censura e il popolo stava rapidamente
raggiungendo l'acme della sua attività rivoluzionaria. Fu in questo momento che venne impostata dall'Avana la lotta su tutto il
territorio nazionale, puntando su uno sciopero generale rivoluzionario che doveva distruggere le forze del nemico, attaccandole
simultaneamente da tutte le parti.

Il ruolo dell'Esercito ribelle sarebbe stato, in questo caso, quello di catalizzatore, o di stimolo, per scatenare il movimento. In
quei giorni le forze guerrigliere intensificarono la loro attività e Camilo Cienfuegos cominciò a creare la propria leggenda eroica
lottando per la prima volta sulle pianure orientali con senso organizzativo e uniformandosi a una direzione centrale.

Lo sciopero rivoluzionario, però, non era stato adeguatamente preparato, dato che non si conosceva l'importanza dell'unità
operaia, né si cercò di fare in modo che i lavoratori, nell'esercizio stesso della loro attività rivoluzionaria, scegliessero il
momento opportuno. Si pretese di fare un colpo di mano clandestino, incitando il popolo a scioperare per mezzo di una radio,
senza accorgersi che il segreto del giorno e dell'ora era arrivato fino agli sbirri.

Il tentato sciopero fallì, e un considerevole e scelto numero di patrioti rivoluzionari fu assassinato senza pietà.

Un fatto curioso che un giorno dovrà essere ricordato nella storia di questa rivoluzione: Jules Dubois, il ruffiano dei monopoli
americani, conosceva anticipatamente il giorno in cui si sarebbe scatenato lo sciopero.

In questo momento si produce uno dei cambiamenti qualitativi più importanti nello sviluppo della guerra: l'acquisizione della
certezza che la vittoria sarebbe stata raggiunta soltanto con l'aumento graduale delle forze guerrigliere, fino a sconfiggere il
nemico in battaglie campali.

Già da allora si stabilirono ampie relazioni con i contadini; l'Esercito Ribelle detta i suoi codici penali e civili, amministra la
giustizia, distribuisce gli alimenti e riscuote le imposte nelle zone amministrative. Anche le zone confinanti subiscono l'influenza
dell'Esercito Ribelle; si preparano grandi offensive le quali, in due mesi di lotta, danno un totale di mille morti per l'esercito
invasore, interamente demoralizzato, e un aumento di seicento armi per la nostra capacità combattiva.

È chiaro, ormai, che l'esercito non può sconfiggerci; non c'è forza, a Cuba, capace di piegare i picchi della Sierra Maestra e
tutte le colline del Secondo Fronte Orientale Frank País; a Oriente, le strade diventano intransitabili per le truppe della
tirannide.

Respinta l'offensiva, si dà incarico a Camilo Cienfuegos, con la Colonna N. 2, e all'autore di queste pagine, con la Colonna N.
8 "Ciro Redondo," di attraversare la provincia di Camaguey, stabilirsi a Las Villas e tagliare le comunicazioni del nemico.
Camilo imitò poi le gesta dell'eroe del cui nome, "Antonio Maceo," si fregia la sua colonna: l'invasione totale da Oriente fino a
Occidente.

La guerra mostra ora una nuova caratteristica; l'insieme delle forze converge verso la Rivoluzione, due piccole colonne di
ottanta e centoquaranta uomini, attraverseranno in un mese e mezzo le pianure di Camaguey, costantemente accerchiate o
minacciate da un esercito composto di migliaia di soldati, arriveranno fino a Las Villas e daranno inizio al compito di tagliare in
due l'Isola.

A volte risulta strano, altre volte incomprensibile e, altre ancora, incredibile, che due colonne così piccole possano battersi
senza comunicazioni, senza mobilità, senza le più elementari armi della guerra moderna, contro un esercito ben addestrato e,
soprattutto, bene armato. La cosa fondamentale è la caratteristica di ogni gruppo; quanto più scomoda è la sua condizione,
quanto più è esposto ai rigori della natura, tanto più il guerrigliero si sente a casa propria, tanto più alto è il suo morale, tanto più
grande è il suo senso di sicurezza. Al tempo stesso, in qualsiasi circostanza sia venuto a giocare la propria vita, poco importa
che il guerrigliero esca vivo o morto dalla lotta.

Il soldato nemico, nel caso di Cuba, è un alleato minore del dittatore, l'uomo che riceve l'ultima briciola di pane dall'ultimo dei
profittatori: una lunga catena che incomincia a Wall Strett e finisce in lui. È disposto a difendere i propri privilegi, ma è disposto
a farlo nella misura in cui questi siano importanti.

I suoi stipendi e le sue prebende valgono qualche sofferenza e qualche pericolo, mai la vita. Se il prezzo da pagare per
conservarli deve essere quest'ultima, è meglio perderli, e cioè piegarsi di fronte alla guerriglia. Da questi due concetti e da
queste due morali sorge la differenza che doveva creare la crisi del 31 dicembre del 1958.

La superiorità dell'Esercito ribelle si afferma con sempre maggiore chiarezza e con l'arrivo in Las Villas delle nostre colonne; si
rivela inoltre la maggior popolarità del Movimento del 26 luglio su tutti gli altri: Direttorio rivoluzionario, il Secondo fronte di Las
Villas, il Partito socialista popolare e alcune piccole formazioni di guerriglia de L'Organizzazione autentica. A questo risultato si
era giunti soprattutto grazie alla personalità magnetica di un leader come Fidel Castro, ma grazie anche alla superiorità della sua
linea rivoluzionaria.

Qui ha fine l'insurrezione, ma gli uomini che arrivano all'Avana dopo due anni di ardente lotta sulle Sierre e nelle pianure di
Oriente, nelle pianure di Camaguey e sulle montagne, nelle pianure e nelle città di Las Villas, sono ideologicamente diversi da
quelli che arrivarono alle spiagge di Las Coloradas, o che si riunirono nel primo momento della lotta.

La loro sfiducia nei contadini si è tramutata in affetto e rispetto per le loro virtù; la loro totale ignoranza della vita nei campi si è
tramutata in una profonda conoscenza delle necessità dei guajiros; le loro "civetterie" statistiche e teoriche hanno subìto la
prova della pratica.

Con la riforma agraria come bandiera, la cui realizzazione inizia nella Sierra Maestra, questi uomini arrivano a trovarsi di fronte
l'imperialismo; sanno che la riforma agraria è la base sulla quale dovrà essere edificata la nuova Cuba; sanno anche che la
riforma agraria darà la terra a tutti i diseredati, ma ne priverà coloro che la detengono ingiustamente; e sanno che i più potenti
tra coloro che la detengono ingiustamente sono anche uomini influenti al Dipartimento di Stato o al Governo degli Stati Uniti
d'America; ma hanno imparato a vincere le difficoltà con il coraggio, con l'astuzia e, soprattutto, con l'appoggio del popolo, e
hanno già intravisto il futuro di libertà che ci attende al di là delle sofferenze.

Questa idea finale dei nostri obbiettivi è stata raggiunta dopo molto cammino e molti cambiamenti. Ai successivi cambiamenti
qualitativi verificatisi sui fronti di battaglia si sono accompagnati i cambiamenti nella compagine sociale della nostra guerriglia
nonché le trasformazioni ideologiche dei capi. Perché ognuno di questi processi, di questi cambiamenti, costituisce
effettivamente un cambiamento di qualità nella composizione, nella forza, nella maturità rivoluzionaria del nostro esercito. Il
contadino gli dona il suo vigore, la sua capacità di sofferenza, la sua conoscenza del terreno, il suo amore per la terra, la sua
fame di riforma agraria. L'intellettuale, di qualsiasi tipo, offre il suo piccolo granello di sabbia cominciando a fare un abbozzo di
teoria. L'operaio dà il suo senso dell'organizzazione, la sua tendenza innata alla riunione e alla unificazione. E al disopra di tutte
queste cose, l'esempio delle forze ribelli la cui lezione infiammò e sollevò le masse fino al punto di togliere loro la paura del boia.

Mai prima d'ora è stato per noi così chiaro il concetto di interazione: questa interazione che andava maturando e dimostrando
l'efficacia dell'insurrezione armata, la forza che l'uomo possiede quando, per difendersi da un altro uomo, ha un'arma in mano e
la sicurezza di vincere nello sguardo, e i contadini svelavano le insidie della Sierra, la forza che è necessaria per vivere e
trionfare in essa e le dosi di fermezza, di capacità, di sacrificio che bisogna avere per poter portare avanti il destino di un
popolo.

Per questo, quando bagnati di sudore contadino con un orizzonte di montagne e di nubi, sotto il sole raggiante dell'Isola, il capo
ribelle ed il suo corteo entrarono all'Avana, "la storia saliva con i piedi del popolo una nuova scalinata del Giardino d'Inverno."
 

1 Questa concezione può considerarsi sintetizzata nella seguente frase pronunciata da Fidel Castro poco prima di salpare con il
"Granma": "Se arriviamo entriamo e se entriamo abbiamo vinto."

2 Questo testo nella versione corretta (nel carcere di Isola dei Pini e filtrata clandestinamente foglio per foglio) del discorso
pronunciato da Fidel Castro in occasione della propria difesa al processo per l'attacco alla caserma "Moncada," è considerato
il primo manifesto programmatico del futuro "26 Luglio." In questa esposizione, ancor più che nella sua difesa, Castro enunciava
un'analisi di massima delle condizioni politiche, sociali ed economiche di Cuba; lanciava il suo anatema sul regime; esaminava
lucidamente tutti gli aspetti dell'azione armata; enunciava le leggi che sarebbero state promulgate se l'azione armata avesse
conseguito il risultato di accendere la miccia di un'insurrezione.
 

SPECIALE ERNESTO CHE GUEVARA
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