NAPOLI: DOPO IL SACCO EDILIZIO DEL POST TERREMOTO
Può aprirsi la stagione della speculazione
legale
Chi discuterà di Mezzogiorno dopo il 3 maggio,
ora “x” dell’ingresso dell’Italia nella moneta unica? Forse ci sarà
chi impiegherà il suo tempo a spiegarci i benefici per noi e per
i nostri nipoti, chi magnificherà la tenuta monetaristica delle
politiche economiche continentali a scapito degli investimenti pubblici
nella spesa sociale. Oppure si dirà che la sfida della globalizzazione
richiede lavoratori flessibili e pronti alla precarietà per poter
competere con i colossi mondiali dell’economia. Figuriamoci quanto sarà
rilevante, in consessi così autocelebrativi, la domanda pressante
di lavoro, il grido strozzato degli esclusi dal banchetto europeo, la scoperta
di un futuro senza progetto nè identità. E’ in questo contesto,
difficile e pericoloso per la stessa democrazia, che ci ritroviamo a lottare
nelle aree meridionali del nostro paese contro il precariato, la disoccupazione,
il lavoro nero e illegale, lo sfruttamento dei minori e, per non dimenticare
quali sono gli immediati fruitori di queste condizioni di svantaggio sociale,
contro i poteri criminali che scelgono il sangue per “onorare” i debiti
dei loro soprusi. Il Mezzogiorno, del resto, è un’area naturale
di business nella quale sperimentare i modelli selvaggi della modernizzazione
capitalistica: infatti pur avendo caratteristiche disomogenee e una perdurante
frantumazione sociale, le linee di tendenza vanno nella direzione di costruire
un uniforme mercato del lavoro a costi contenuti, una riserva di disoccupati
pronti a mitigare le pretese degli altri lavoratori e un assetto istituzionale
capace di promuovere i primi due aspetti di un clima di sostanziale consenso.
E’ quindi differente il caso meridionale da quello altrettanto noto del
nprd-est, che propone una difesa territoriale, corporativa e trasversale
di una posizione di vantaggio acquisita in questi anni e vissuta contro
il resto del paese. Nel Mezzogiorno, per attuare in concreto quelle tendenze,
si dovrà mutuare un sistema di clientele e di assistenzialismo ben
noto ma comunque intrecciato agli interessi dei governi centrali. Storicamente
le regioni meridionali, tranne rare eccezioni, sono state “governiste”
nella espressione del voto politico; oggi lo stesso movimento dei sindaci
è espressione di una falsa domanda di autonomia, rappresentando
invece il peggior meridionalismo qualunquista. Non è un paradosso
la connessione stretta tra la modernizzazione che chiude le fabbriche e
la prepoliticità della ricerca del consenso attraverso l’invocazione
dell’uomo forte, nel contempo salvatore e rappresentante di una indistinta
società civile. Non è casuale che in queste aree il centro
di espressa matrice democristiana stia riprendendo consistenza; che il
Pds sia divenuto un grande partito di gestione del potere, spesso slegato
da una base che pure continua a essere di sinistra; che lo stesso sindacato
abbia assunto il paradigma della concertazione , al punto di dimenticare
di essere costituito di categorie autonome (per esempio nei contratti d’area
nessun ruolo hanno avuto i sindacati industriali). Proprio il sindacato
meridionale è stato il protagonista delle vicende dei contratti
d’area, brillando per la totale arretratezza rispetto alle richieste padronali
e ostacolando gli stessi propositi del governo di investimenti pubblici
tramite una agenzia forte nel Sud. Si accende per questa via un esito che,
ben oltre il Galles, farà del Mezzogiorno un deserto produttivo.
Altro che sconfiggere gli assistenzialismi! Si consentirà un gigantesco
flusso di denaro pubblico alle aziende che verranno a portare solo altri
appetiti e nessun nuovo posto di lavoro. Sul versante istituzionale la
situazione non è più confortante. In questo momento le principali
attività delle istituzioni locali sono rivolte agli interventi di
ridisegno del territorio. La preferenza va senza dubbio agli strumenti
amministrativi che consentono una deregolamentazione, all’insegna della
liberazione dai lacci e lacciuoli, della normativa urbanistica (come accade
proprio nei contratti d’area, negli accordi di programma, ecc.). Dopo gli
anni del sacco edilizio post terremoto, pare affacciarsi la stagione della
speculazione legale, magari azzannando l’ultima area industriale a disposizione
per pensare ad un centro commerciale o ad un albergo che non avrà
neppure i suoi clienti. Per questi e tanti altri motivi non è più
differibile la costruzione di una politica per il Mezzogiorno adeguata
ai conflitti in campo nel paese e anche nel nostro partito, che sappia
dare spazio democratico ai soggetti portatori di domande qualificate e
che sappia vedere e costruire un reale movimento di massa per la trasformazione. |